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Grazie a Gesù ritroviamo la nostra dignità di figli di Dio. X Domenica del Tempo Ordinario

Il commento al Vangelo domenicale di S. E. Mons. Francesco Cavina

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Oggi Gesù ci ricorda una verità, seppur scomoda: tutti siamo peccatori e per essere liberati dal nostro peccato abbiamo necessità di accogliere il perdono di Dio, che ci viene offerto da Cristo. Grazie a Lui ritroviamo la nostra dignità di figli di Dio.

Tuttavia, dice Gesù, c’è un peccato che non potrà ottenere misericordia: la bestemmia contro lo Spirito Santo. Come si manifesta questo peccato imperdonabile? Le parole di Gesù riportate nei Vangeli di Matteo (12, 31-33), Marco (3,28-30) e Luca (12,8-12) hanno suscitato svariate controversie all’interno della Chiesa, in quanto sembrano delimitare la misericordia infinita di Dio, il suo desiderio di salvare tutti gli uomini (cfr. 1Tm 2.4). Nei primi secoli del cristianesimo, sant’Ambrogio considerava peccato contro lo Spirito la negazione della divinità della terza Persona della Santissima Trinità, ossia dello Spirito Santo. Nei secoli a seguire si sono interrogati sulla questione studiosi della Sacra Scrittura, moralisti, mistici, maestri di vita spirituale. Le conclusioni delle loro ricerche sono state sintetizzate nel Catechismo di san Pio X, il quale insegna che è peccato contro lo Spirito Santo disperare della salvezza, presumere di salvarsi senza meriti, combattere le verità di fede conosciute, invidiare la grazia altrui, ostinarsi nel peccato, restare impenitenti fino alla fine. Ognuno di questi atteggiamenti costituisce una chiara chiusura all’azione della Grazia di Dio

Per comprendere la situazione della persona che pecca contro lo Spirito Santo possiamo prendere come esempio il malato che si rifiuta di prendere la medicina che può guarirlo. Nel nostro caso, il malato è il peccatore mentre la medicina, ossia il rimedio per guarire, è la Grazia, che il peccatore non solo rifiuta, ma addirittura combatte perché l’odio verso Dio lo acceca, lo fa diventare come un demonio. Il peccato contro lo Spirito, dunque, non è un peccato dovuto alla fragilità umana come, ad esempio, il tradimento dell’apostolo Pietro che una volta pentito è stato perdonato da Cristo. Ma, al contrario, è una sfida cosciente scagliata contro Dio, una avversione volontaria a Lui. È rifiuto di qualunque relazione positiva e costruttiva con Lui, tramite il Suo Santo Spirito. Le conseguenze sono devastanti: anziché opere sante fatte in Dio, si compiono opere malvagie frutto di una sostanziale sequela del Maligno.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma: “la misericordia di Dio non conosce limiti, ma chi deliberatamente rifiuta di accoglierla attraverso il pentimento, respinge il perdono dei propri peccati e la salvezza offerta dallo Spirito Santo”. (CCC §1864). Un tale indurimento può portare alla impenitenza, ossia al radicale rifiuto di convertirsi e di conseguenza alla rovina eterna. In altre parole, chi non riconosce il proprio peccato rivendica un presunto diritto di perseverare nel male. 

Gesù perdona tutti i peccati nell’infinita misericordia che sgorga dal suo Divin Cuore, ma per ottenere il perdono bisogna riconoscere la propria condizione di peccatore, una disposizione interiore assente in coloro che chiudono la porta al pentimento perché si considerano nella verità e non comprendono la gravità delle loro parole e delle loro opere. Chi non cambia certi comportamenti interni ed esterni  ostinati e pieni di cattiveria, si sottrae da sé al perdono di Dio. Tuttavia come afferma san Tommaso d’Aquino: «questo non impedisce all’onnipotenza e alla misericordia di Dio di trovare la via del perdono e della guarigione che talora sana spiritualmente anche costoro in una maniera quasi prodigiosa» (S. Tommaso, Somma Teologica, II-II, 14, 3).

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