È una buona domanda. In realtà, la maggioranza delle persone non sono interessate alla loro religione. Sì, sono persone religiose, vanno ai loro santuari, ai templi per le preghiere, ma non si vogliono impegnare in alcunché di religioso. Essere cattolico, in questa situazione, significa fare una scelta precisa di coinvolgersi in una certa fede concreta.
Cristianesimo, in Giappone, significa dunque soprattutto impegnarsi per qualche buona causa…
Impegnarsi per le buone cause è parte del lavoro della Chiesa in Giappone. La Chiesa cattolica, in campo sociale, è stata molto attiva. Specialmente dopo il terremoto e relativo tsunami del 2011, la Chiesa cattolica si è impegnata in dieci anni di operazioni di aiuto alla popolazione. Così, molte persone hanno potuto conoscere al limite la presenza del cattolicesimo durante questo periodo. Siamo stati tuttavia molto sorpresi dalla risposta delle persone alla richiesta di aiuto. Ci sono stati volontari, donatori, che non hanno guardato alla natura cattolica dell’organizzazione. Volevano donare alle attività.
La fede in Giappone riguarda solo il lavoro sociale o c’è qualcosa di più spirituale?
Dall’inizio, missionari – quelli che cominciarono ad entrare in Giappone dopo la riapertura del Paese – avevano deciso di evangelizzare le persone attraverso l’educazione e il supporto sociale. È il motivo per cui in Giappone la Chiesa cattolica ha due principali attività: l’educazione e la carità. E la carità include le spese mediche e tutto il resto. E sta ancora andando avanti. Abbiamo molte scuole cattoliche, e molte strutture sanitarie cattoliche. Speriamo che, attraverso queste attività, gli insegnamenti cristiani saranno diffusi ad altre persone, e che così potremo evangelizzare.
Il Giappone, dopo la Seconda Guerra Mondiale, si è impegnato molto per la pace, e per il disarmo nucleare. Qual è il ruolo che può avere oggi, considerando anche le tensioni nel Sud Est asiatico?
Già prima della Seconda Guerra Mondiale, guardando alla minaccia proveniente dalle altre nazioni, avevamo pensato di essere pronti a difenderci. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, e il disastro nucleare – il Giappone è ancora la sola nazione ad essere stata sotto attacco militare – abbiamo cominciato a lavorare per la pace. Ci siamo detti che no, non potevamo essere solo motivati dalla paura delle minacce di altre nazioni o dal supportare la politica del governo. Avremmo dovuto sviluppare una dottrina della pace. E, nella nostra fede, la più grande fede è riflettere su ciò che dobbiamo scegliere. Ecco perché, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, non solo la fede cattolica, ma molte altre organizzazioni religiose in Giappone lavorano per la pace. Noi parleremo sempre di pace.
Il prossimo anno si celebrerà il 140esimo anniversario dell’uscita dal “silenzio”, ovvero dall’uscita dei Cristiani dalla clandestinità. C’è ancora il rischio del “silenzio” in Giappone?
In questo momento, non credo ci sia alcuna persecuzione. Almeno non visibile. Ma so che ci sono alcune persone che vogliono essere battezzate, ma a causa della famiglia, delle tradizioni radicate o della situazione sociale, vengono impediti dall’accedere al Battesimo. C’è ancora, insomma, un certo tipo di cristiani nascosti in Giappone, almeno in questo senso.
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