Verità e giustizia, dunque, come fondamento della pace…
Ci sarebbero altri aspetti. Tra questi, c’è necessariamente lo sguardo verso la riconciliazione. C’è un lavoro da fare per riconciliare i popoli e i cuori. Uno dei presupposti della riconciliazione è prima di tutto la riconciliazione nella vita di tutti i giorni, perché è umanamente difficile riconciliarsi con l’aggressore mentre questo continua ad aggredirti. Almeno l’aggressore deve smettere l’aggressione e deve riconoscere l’altro, il suo diritto di esistere.
E l’Ucraina sente il diritto di esistere?
C’è, in Ucraina, la grande preoccupazione di esistere. Lo noto quando leggo i commenti delle delegazioni ucraine a seguito dei vari negoziati che si sono svolti a maggio e all’inizio di giugno. Le delegazioni mostrano la riaffermazione del loro diritto di esistere e di sopravvivere. Se venisse costruita una pace in cui viene negato il diritto di un popolo ad esistere, già non si potrebbe parlare più di una pace giusta.
E in questa guerra lei vede la volontà di annientamento dell’Ucraina o la volontà della Russia di crearsi uno spazio di difesa?
Non voglio lanciarmi in un commento militare o politico. Mi limito ad osservare che tra Russia ed Ucraina sono stati firmati accordi anche riguardo le frontiere. E c’è un principio internazionale fondamentale, che è quello di rispettare l’altro. Questa aggressione prevede un mancato rispetto dei confini ucraini. E mi chiedo: in base a quale principio io posso decidere che i miei interessi prevalgano sugli interessi dell’altro Paese e della comunità internazionale?
Dopo tre anni di guerra ad alta intensità, e dieci dall’inizio del conflitto, come sta la popolazione ucraina?
C’è un medico che lavora sei giorni alla settimana in ospedale e il settimo giorno va a difendere il suo quartiere dai droni. Gli attacchi con i droni si sono verificati tutti i giorni in questo 2025. Non ci saranno stati più di dieci giorni e dieci notti nel corso di quest’anno in cui non ci sia stato un bombardamento. E la gente normale, come questo medico, sente il bisogno di difendersi con le proprie mani, si sente coinvolta nella difesa delle proprie case.
È una vita molto faticosa. Ma è più faticosa sul fronte o ovunque?
Ci sono posti come Kherson dove in quattro anni non sono mai passati più di 56 minuti senza alcuna esplosione. È un continuo, e porta una grande stanchezza fisica e psicologica.
Può condividere le sue esperienze di guerra?
È cosa molto diversa viverle sulla propria pelle e raccontarle. È eloquente ciò che succede nelle famiglie quando il marito trova torna dal fronte, e non riesce a comunicare con la moglie,
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perché il linguaggio, le esperienze sono così diverse. Il soldato ha una esperienza diversa, al limite tra la vita e la morte. E sa che sarebbe anche eccessivo caricare tutto questo peso sui famigliari. È anche la mia difficoltà, parlando con persone che hanno esperienze diverse addirittura all’interno dell’Ucraina, perché ci sono alcune regioni che sono meno direttamente colpite.
Cosa succede in questa situazione?
Si rimane con Dio. Si resta avvolti nella preghiera, ci si lascia abbracciare con Dio. Non c’è solitudine, perché c’è la preghiera di tante persone, di tutta la Chiesa. Direi che la grazia essenziale che ci avvolge è la presenza di Dio. Nelle letture di questi giorni, c’è Gesù che dice che se si ha il Padre, la gioia è piena e completa. È questa la vocazione della Chiesa, vivere una gioia piena nonostante la distruzione perché si sta con Dio. Senza fede e senza preghiera, la dispersione è quasi totale.
Quale è il ruolo che la Chiesa riesce ad avere?
Ci sono dei luoghi occupati in cui io, come nunzio apostolico, non ho nessun modo di adempiere al mio dovere evangelico di portare l’acqua agli assetati, dare una parola di sollievo agli afflitti. Ci sono dei territori dove fisicamente sembra di vivere in un altro mondo.
Ci sono poi realtà come quelle del fronte, dove la parola “militare” comprende tutti: uomini e donne, chi è volontario e chi è stato costretto, quelli che guardano la morte in faccia, quelli che sono feriti e sanno che moriranno in pochi minuti. I medici e i cappellani militari raccontano che quasi tutti chiedono il perdono dei peccati. C’è un ruolo molto importante della Chiesa: quella di distribuire la grazia, di perdonare i peccati perché questo è il dono più grande che abbiamo. Se non c’è il cappellano, ci sono i commilitoni che pregano per i morenti, che chiedono il perdono del Signore. La Chiesa ha il ruolo essenziale di supportare il Vangelo.