Lin Yuantuan aveva comunque preso questa direzione. Nel 2017, in occasione della nomina a Fuzhou di Cai Bingrui, 57 anni, molto più giovane di lui e in precedenza vescovo di Xiamen, Lin auspicava "la collaborazione attiva nel guidare il clero, le suore e i fedeli di Fuzhou affinché siano obbedienti e sostengano il vescovo Cai Bingrui”. Dunque l’atto avvenuto oggi conferma in maniera formale queste parole, affidandogli un ruolo ora riconosciuto anche dagli organismi ufficiali della Chiesa in Cina, controllati dal Partito.
Della cerimonia di insediamento avvenuta nella cattedrale di Fuzhou alla presenza di circa 300 persone ha dato notizia anche China Catholic, il sito dell’Associazione patriottica. L’evento è stato presieduto dal vescovo di Mindong mons. Vincenzo Zhan Silu (che è uno dei due vescovi cinesi che hanno partecipato al Sinodo dello scorso ottobre in Vaticano), insieme ovviamente al vescovo ordinario di Fuzhou Cai Bingrui e al vescovo Pietro Wu Yishun della prefettura di Shaowu (Minbei) nel Fujian settentrionale, uno degli ultimi vescovi nominati lo scorso anno secondo l’accordo.
Come di consueto, China Catholic ha notato che il nuovo ausiliare ha giurato di rispettare “la Costituzione e le leggi del Paese, salvaguardare l’unità della madrepatria e l’armonia sociale, amare il Paese e la religione, aderire al principio di indipendenza e autogestione della Chiesa, seguire la direzione della sinicizzazione del cattolicesimo nel nostro Paese e contribuire alla costruzione complessiva di un moderno Paese socialista e alla promozione a tutto campo della grande rinascita della nazione cinese”.
Di fronte a queste rassicurazioni formali, c’è un dato cruciale, ovvero il fatto che la Cina ha riconosciuto l’importanza delle comunità “sotterranee”, specialmente nel Fujan. Anche il predecessore di Cai Bingrui, il vescovo Pietro Lin Jiashian morto a 88 anni nel 2023, era un ex vescovo “clandestino”, passato anche per i lavori forzati e poi riconosciuto dalle autorità nel 2020, sempre ai sensi dell’Accordo tra Pechino e la Santa Sede.
La Santa Sede ha accolto la notizia con soddisfazione, ma resta da vedere quale ruolo effettivo verrà fornito a Lin Yuantuan nel governo della diocesi e in che modo potrà aiutare a superare la frattura tra le comunità ufficiali e le comunità sotterranee.
C’è un precedente, e riguarda il Mindong. Nel 2018, subito dopo l’accordo, la Santa Sede aveva nominato il vescovo “ufficiale” mons. Zhan Silu come ordinario, affiancandogli il “clandestino” Vincenzo Guo Xijin come ausiliare. Questi, però, fu marginalizzato, e dopo due anni, rinunciò all’incarico, e ha subito gravi restrizioni anche recentemente.
Leone XIV, però, è chiamato ad affrontare anche l’elezione di due candidati vescovi avvenuti nel periodo di sede vacante, con un nuovo ausiliare a Shanghai e un nuovo ordinario di Xianxiang.
Il 28 aprile, infatti, Wu Jainling, vicario generale di Shanghai, è stato “eletto” nuovo vescovo ausiliare di Shanghai da una assemblea di soci, mentre il 29 aprile padre Li Jianlin è stato eletto vescovo della diocesi di Xingjiang. Qui, tra l’altro, c’è già un vescovo, Giuseppe Zhang Weizhu, che fu nominato clandestinamente da Giovanni Paolo II nel 1991 e che è stato arrestato in diverse occasioni per essersi dedicato al ministero per decenni senza l’approvazione dello Stato cinese, e dal 2021 è detenuto non si sa dove.
Il cardinale Parolin ha spiegato che non si tratta di una nomina “unilaterale”, e tuttavia si tratta di una sorta di abuso, perché in sede vacante non si nominano vescovi. Inoltre, è problematica la nomina di un ausiliare a Shanghai, dove già è stato inviato in maniera unilaterale il vescovo Giuseppe Shen Bin – nomina poi sanata da Papa Francesco – e dove l’ausiliare, Taddeo Ma Daqin, è agli arresti dal 2012, quando decise di non aderire all’Associazione Patriottica.
La Cina, nonostante il dialogo aperto, ha “forzato” già alcune situazioni. Come quando, nel 2023, annunciò la decisione unilaterale di trasferire il vescovo Giuseppe Shen Bin dalla diocesi di Haimen alla diocesi di Shanghai, che era vacante, e il cui ausiliare, Thaddeus Ma Daqin, era agli arresti domiciliari dal 2012, da quando aveva rifiutato di rimanere nell’Associazione Patriottica, l’organizzazione di Stato dove Pechino vuole che i sacerdoti si registrino in nome della sinicizzazione. Papa Francesco decise successivamente di “sanare” la nomina, ma rimaneva la frattura.
Papa Francesco ha teso diverse volte la mano alla Cina. Il 7 marzo, Meng Aming, professore di Biologia dello Sviluppo presso la Tsinghua University di Pechino è stato annoverato tra i membri della Pontificia Accademia delle Scienze. L’accademia è pontificia, ma l’idea è quella di includere sensibilità di ogni tipo.
Non deve sorprendere, dunque, che, se si scorre la lista degli accademici, si trovino personalità diversissime, e molte non cattoliche. Tuttavia, la nomina di un cinese colpiva perché significava anche che Pechino la aveva accettata. È parte di un dialogo che Papa Francesco ha voluto intensificare.
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Meng Aming non è il primo cinese ad essere annoverato tra i membri dell’Accademia vaticana. Prima di lui, a inizio giugno 2023, era stato chiamato tra i membri dell’Accademia Bai Tongdong, un politologo cinese che cerca di spiegare la geopolitica secondo i dettami del neoconfucianesimo.
Alla fine di quello stesso mese, la stessa Pontificia Accademia aveva ospitato il workshop “Dialogo tra civiltà e beni comuni”, con lo scopo dichiarato di comprendere le realtà emergenti in campo geopolitico come Cina e India dal punto di vista della loro stessa cultura.
Ma la manovra di avvicinamento era iniziata da prima. Nel 2017, a Casina Pio IV, sede dell’Accademia, si tenne una conferenza internazionale sul traffico di organi cui parteciparono due delegati cinesi, uno dei quali era Huang Jiefu, presidente del Comitato Nazionale Cinese sulla donazione e il trapianto di organi ed ex viceministro della Sanità cinese.
Quella partecipazione è considerata da alcuni osservatori come una presa di contatto decisiva in vista dell’accordo sino-vaticano sulla nomina dei vescovi, siglato nel 2018 e poi rinnovato nel 2020, nel 2022, e infine nel 2024 con la durata, stavolta, di quattro anni.
Sono stati undici i vescovi cinesi nominati nell’ambito dell’accordo, con alterne fortune. Lo scorso 24 maggio, in occasione della Giornata di Preghiera per i cristiani in Cina stabilita da Benedetto XVI, Asia News ha pubblicato una lettera di un sacerdote sotterraneo sul delicato tema della “registrazione ufficiale” che le autorità cinesi richiedono oggi a tutti i sacerdoti.
Questo sacerdote ha notato che “per alcuni sacerdoti, la registrazione appare come una compromissione con il potere politico, generando un senso di colpa per ‘tradimento della fede’, che si accumula nel tempo”, notando come si viva anche una sorta di “ambiguità nel rapporto con il Papa”, e che gli spazi pastorali ampliati, ma ci sono diverse limitazioni. Tra queste, le celebrazioni pubbliche sono messe sotto controllo, c’è una limitata libertà amministrativa, il clero vive una forte stanchezza mentale per la necessità di rinnovare continuamente le certificazioni, mentre i fedeli sotterranei perdono fiducia e si allontanano.