“Per rispondere a questa domanda, occorre innanzitutto ricordare che il titolo ‘Il Leone la Tiara’ è intriso di un forte valore simbolico. Il Leone richiama il potere temporale della Repubblica Serenissima di Venezia, mentre la Tiara (ovvero il triregno) rappresenta l’autorità spirituale dello Stato Pontificio. Due poteri distinti, ma profondamente intrecciati nella storia italiana ed europea.
Queste due sfere, il laico e il sacro, il governo civile e la guida spirituale, non sono mai state realmente autonome l’una dall’altra. Al contrario, per lunghi secoli si sono trovate in un equilibrio dinamico, talvolta conflittuale, talvolta cooperativo, ma quasi mai indifferente. Del resto, il cittadino (o, nel linguaggio storico, il suddito, il regnicolo) non vive mai in una sola dimensione. È, allo stesso tempo, parte di un ordine giuridico e di una comunità di fede. La sua esistenza quotidiana è plasmata da leggi terrene e da valori spirituali, che si intrecciano e si influenzano a vicenda.
Proprio in questa interdipendenza risiede la possibilità (e la necessità) di un dialogo tra Leone e Tiara: un confronto tra potere e coscienza, tra norma e morale, tra Stato e Chiesa. Il volume esplora questo delicato ma fondamentale rapporto, offrendo una riflessione che è al tempo stesso storica, giuridica e profondamente umana”.
Perché racconta la storia di un rapporto tra lo Stato Pontificio e la Repubblica di Venezia nel XVI secolo?
“La scelta di concentrarsi sul rapporto tra lo Stato Pontificio e la Repubblica di Venezia nel corso del XVI secolo risponde a un intento duplice, di natura storico-giuridica. Questo periodo (in particolare la seconda metà del Cinquecento) è segnato da profonde tensioni tra le due potenze, ma anche da importanti tentativi di composizione, di mediazione e di equilibrio tra interessi divergenti.
Il XVI secolo rappresenta infatti un momento cruciale per la definizione dei rapporti tra potere temporale e autorità spirituale, tra l’autonomia degli Stati e la pretesa universale della Chiesa. In questo contesto, la Repubblica di Venezia si afferma come una realtà politica estremamente coerente, capace di esprimere una forte identità unitaria non solo sul piano istituzionale, ma anche su quello culturale e giuridico.
Venezia nel Cinquecento è molto più di uno Stato: è un modello politico, una visione del mondo, un laboratorio di convivenza tra diritto civile e sensibilità religiosa, tra ragione di Stato e libertà di pensiero. Raccontare la sua relazione (a tratti conflittuale, a tratti diplomatica) con lo Stato Pontificio significa entrare nel cuore di una riflessione che ancora oggi parla di sovranità, di pluralismo giuridico e del difficile ma necessario dialogo tra autorità terrena e istanze spirituali.
Quanto è importante il nome di Leone nella Chiesa?
“Il nome di Leone nella Chiesa non è soltanto un semplice appellativo: è un simbolo di straordinaria forza e profonda autorità morale, capace di attraversare i secoli con un richiamo potente e suggestivo. Il nome stesso evoca un ruggito: non solo un’espressione di potere temporale, ma soprattutto un segno di guida, fermezza e protezione.
Il nome Leone è programmatico, indubbiamente. Non è solo il nome assunto da papa Pecci alla morte di Pio IX, ma ricorda anche il primo papa a chiamarsi Leone. Papa san Leone Magno bloccò l’avanzata di Attila, salvando vite, prima ancora che territori. E, quindi, di papa Leone XIII non si dimentichi l’attenzione al sociale che, con la lettera enciclica ‘Rerum Novarum’, apre la Chiesa ad uno sguardo ancora più aperto nei confronti delle classi operaie e dei braccianti, che richiedono una maggiore attenzione e tutela. Ecco, quindi, che l’ultimo Leone, come abbiamo appreso anche dai suoi primi discorsi, pare aver fissato come linea portante del suo pontificato la pace e l’interesse verso chi soffre.
Non si tratta solo di papa Leone XIII, il papa della rivoluzione industriale, noto per l’enciclica Rerum Novarum, che ha aperto una nuova stagione di impegno sociale e giustizia; ma anche del primo Leone, papa Leone I, colui che con la sua sola presenza e autorità morale fermò l’avanzata di Attila, il re degli Unni.
Il nome Leone simboleggia dunque non solo la sovranità, ma un’autorità morale indiscussa, una figura di riferimento solida e rispettata, un primus inter pares (un ‘primo tra pari’) che si erge a guida sicura e sostegno affidabile, capace di offrire orientamento non solo ai credenti, ma anche a chi, pur senza fede, riconosce la sua autorevolezza etica.
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Oggi, immersi in una rivoluzione digitale e sociale (o meglio, in una rivoluzione sociale digitalizzata) il ‘ruggito’ di Leone acquista un valore ancora più attuale e necessario. In un mondo in rapido cambiamento, segnato da sfide tecnologiche, culturali e umane, la Chiesa e le sue figure di guida sono chiamate a incarnare questa autorità morale, offrendo un punto di riferimento stabile, saggio e coraggioso. Il nome di Leone diventa così il simbolo di una leadership che unisce forza e saggezza, autorità e compassione, rappresentando un faro di speranza e stabilità in un’epoca di grandi trasformazioni”.
Come sarà il pontificato di papa Leone XIV?
Risponde con un sorriso: “Non ho la sfera di cristallo! Ma qualcosa si può già intuire. In queste prime settimane, papa Leone XIV ha delineato alcune direttrici chiare. Al centro del suo messaggio c’è la pace, invocata con forza e costanza. Papa Prevost non affronta un’epoca più complessa di altre. Ogni tempo ha le sue sfide. La differenza sta nella capacità di leggere i segni dei tempi e di rispondere con coraggio e umiltà.
Proprio l’umiltà sembra essere la cifra di questo pontificato. Mi viene in mente sant’Agostino: ‘La prima virtù è l’umiltà. La seconda è l’umiltà. La terza è ancora l’umiltà’. L’umiltà di papa Leone XIV non è fatta di gesti appariscenti, ma si esprime nel tono sobrio, nella riflessione, nell’ascolto. E’ un atteggiamento che non cerca il clamore, ma la sostanza. Tuttavia, ritengo sia ancora troppo presto per dare un giudizio. Ma i primi passi indicano un pontificato attento, radicato, e pronto ad accompagnare la Chiesa in un tempo di cambiamento, nel solco dei suoi predecessori di venerata memoria”.
Come è sorta la sua ‘passione’ per lo studio dei rapporti tra Chiesa e Stato?
“La mia passione? In realtà, credo che ogni autentico interesse nasca dalla curiosità. E’ la curiosità, quella tensione interiore a voler comprendere di più, a spingerci oltre l’apparenza delle cose, che costituisce la radice più profonda di ciò che comunemente chiamiamo ‘passione’. Nel mio caso, è stata proprio la curiosità intellettuale e spirituale a guidarmi verso lo studio dei rapporti tra Chiesa e Stato: una relazione complessa, ricca di sfumature storiche, giuridiche e religiose, che ha plasmato la nostra civiltà in modi profondi e talvolta contraddittori.