Roma , venerdì, 18. luglio, 2025 16:00 (ACI Stampa).
La sua casa si affaccia sulla riva oltre la quale il mare si accuccia nella risacca, ma poi dilaga nell’orizzonte infinito. Trieste si intravvede come un’ombra velata nei colori del tramonto, e appena più in là il profilo dolce della costa istriana. Da quelle finestre, ora spente dagli scuri, dunque, Biagio Marin, si specchiava nell’infinito e da quella immagine traeva la linfa vitale della sua poesia, che saliva al cielo come una preghiera. In una sera luminosa d’estate essere a Grado e fermarsi a contemplare la casa del poeta, ricordare alcuni suoi versi e recitarli come una preghiera. Si pensa soprattutto, in quest’ora del vespero, alle liriche dedicate alla Madre di Dio. La Madona cantata da Marin è soprattutto Madre, che abita queste terre amate e difficili, ha le sembianze delle madri che cullano i propri figli bambini e poi li guardano andar via, scegliendo proprio quel mare di cui non si può conoscere i limiti. Ha il volto della madre di Marin, perduta quando lui era ancora bambino. La vede chinarsi su di lui come faceva quella mamma così presto perduta, la contempla e la prega come se implorasse quel sorriso perso nel ricordo, per sempre fissato nel cuore. Maria si china su questo dolore, su questa solitudine, risplende nelle realtà più semplici e pure del creato: nei fiori teneri che annunciano la primavera, la prima aria tiepida che arriva dal mare, la luce tenerissima che si effonde nel primo mattino.
Marin, nato a Grado nel 1891 e morto nella stessa bella cittadina nel 1985, ha seguito una propria personale ricerca poetica e di linguaggio, privilegiando l’uso del dialetto, per rinnovare il rapporto con la propria terra, con la cultura popolare, con il tempo e lo spazio trasfigurati nel canto. La sua religiosità è profonda ed ha un sapore antico. Lo si percepisce con chiarezza, per esempio, in una raccolta intitolata “Le litanie de la Madona” (Ancora, 2007). Alcune decine di poesie, o meglio commenti poetici alle litanie lauretane – la preghiera mariana che si recita alla fine del Rosario e la loro caratteristica sta nel fatto che ognuna è la ripetizione di un’apostrofe mariana, da Sancta Maria a Regina Pacis.– riproponendo così un’antica tradizione di preghiera trasfigurata dalla poesia e anch’esse rimandano alla luce – a volte tenera, a volte abbacinante, altre volte ancora corrusca – della laguna di Grado. Luogo affascinante, in cui terra e acqua si abbracciano e si confondono, dove case, chiese, capanni si mescolano a creare paesaggi onirici, sospesi, ma anche segnati dal dolore, dalla fatica di vivere, dal distacco, dalla morte.
L'opera di Marin, scrive Claudio Magris suo grande ammiratore e studioso, nell’edizione Garzanti che raccoglie un’ampia scelta di liriche di Marin, “si muove tra due poli: un'autenticità istantaneamente comunicativa e una raffinata coscienza delle lacerazioni del nostro tempo. Suo fulcro e chiave è un linguaggio che si sottrae a ogni compromesso, proteso verso quella "vita vera" di cui la lirica moderna constata e denuncia l'esilio: il dialetto. Il canzoniere di Marin ha la continuità del diario e il respiro dell'eternità: pervaso da un umanissimo senso del sacro e da un'illuminante percezione del cosmo, tocca con limpida e serena naturalezza apici di profondità metafisica”.
Si, è proprio così. L’uso del dialetto testimonia l’irresistibile richiamo della sua terra, di questa Grado tanto amata, nei suoi lenti e assorti ritmi di vita. Così nascono le immagini dei vicoli in cui si infila il vento che viene dal mare, il silenzio punteggiato dalle strida dei gabbiani e dalle voci dei pescatori che tornano dal mare e dalla laguna, luci che si accendono nella bellissima basilica di San’Eufemia, oggi come mille anni fa, forza della fede che non viene mai meno. In una serata d’estate, lungo la riva gradese, mentre il mare si adagia quieto nella risacca e lo sguardo si libera di grigiori e di selve di palazzi e strade ingombre, fiorisce nel cuore la poesia di Marin e fa librare il cuore verso l’infinito.
“Le litanie de la Madona” Ancora, , pp.112, euro 11




