La sua casa si affaccia sulla riva oltre la quale il mare si accuccia nella risacca, ma poi dilaga nell’orizzonte infinito. Trieste si intravvede come un’ombra velata nei colori del tramonto, e appena più in là il profilo dolce della costa istriana. Da quelle finestre, ora spente dagli scuri, dunque, Biagio Marin, si specchiava nell’infinito e da quella immagine traeva la linfa vitale della sua poesia, che saliva al cielo come una preghiera.