L’arcivescovo ha detto che “porre la prima pietra è più di un gesto simbolico: è la dichiarazione del nostro impegno per il futuro”. E ha affermato che “l’Istituto Malankarese di Teologia sarà un luogo dove fede e intelletto saranno nutriti in armonia, un santuario di profonda riflessione, studio rigoroso e crescita spirituale trasformativa”, dove i giovani “non saranno solo formati ad essere pastori, ma anche leader compassionevoli, costruttori di ponti, e servitori dell’umanità”.
Secondo il ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati, l’Istituto è chiamato ad essere “fonte di speranza”, una istituzione che “sia aperta a tutti, senza distinzione di famiglia o circostanze”, dove “i marginalizzati trovino una voce, dove la giustizia e la misericordia camminino mano nella mano, e dove ogni individuo possa essere sostenuto per raggiungere il loro potenziale dato da Dio”.
L’auspicio è che l’Istituto Teologico diventi “un centro di eccellenza, riconosciuto non solo per il suo rigore accademico, ma anche per il suo impegno al servizio, la pace e la riconciliazione”.
Secondo Gallagher, lo scopo dell’Istituto è grande, come è grande la fede, e dunque si deve “lavorare insieme – laici ed ecclesiastici, insegnanti e studenti, benefattori e costruttori – per rendere questa visione fruibile”.
Gallagher in India, l’incontro con il ministro degli Esteri indiano
Il 17 luglio, a Nuova Delhi, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher ha incontrato il ministro degli Affari Esteri indiano Subrahmanyam Jaishankar. Secondo un post su X dell’account della Segreteria di Stato, lo scopo dell’incontro era di “rafforzare le relazioni tra le parti”. Lo stesso post sottolinea che tra i temi discussi ci sono stati “l’eredità culturale e religiosa dell’India e la promozione della pace regionale”.
Gallagher in India, l’incontro con i vescovi del Paese
Secondo un post dell’account X della Segreteria di Stato @TerzaLoggia, il 17 luglio l’arcivescovo Paul Richard Gallagher ha fatto visita a Nuova Delhi alla Conferenza Episcopale Cattolica dell’India. L’incontro aveva lo scopo di “rafforzare i legami di dialogo e collaborazione tra la Santa Sede e la Chiesa locale”, ed è stato “un incontro significativo per promuovere l’impegno comune in favore della pace e della giustizia”.
FOCUS TERRASANTA
Colpita chiesa della Santa Famiglia a Gaza, la reazione del Patriarcato
Il presidente israeliano Benjamin Nethanyahu ha chiamato Leone XIV dopo che l’Israeli Defence Force ha colpito la chiesa della Santa Famiglia di Gaza, causando anche vittime. Ed è la prima volta che c’è un contatto diretto tra i due, tra l’altro partito proprio dal presidente israeliano.
E c’è stata anche una telefonata di Leone XIV al Cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, per esprimere solidarietà e vicinanza dopo che la chiesa della Santa Famiglia di Gaza è stata colpita, lo scorso 17 luglio, da razzi sparati dall’Israeli Defense Force. Il cardinale stava entrando nella Striscia con aiuti umanitari insieme al Patriarca Ortodosso Teofilo.
L’attacco alla chiesa, l’unica parrocchia cattolica di Gaza, ha generato sconcerto e una dura reazione da parte del Patriarcato Latino di Gerusalemme.
In una forte dichiarazione, il Patriarcato ha notato che “approssimativamente alle 10.20 del mattino, il complesso della Santa Famiglia di Gaza, che appartiene al Patriarcato Latino, è stato colpito dall’esercito israeliano. Al momento, tre persone hanno perso la vita a seguito delle ferite e nove altre sono rimaste ferite, inclusa una persona in condizioni critiche e due in condizioni gravi”, mentre il parroco, padre Gabriel Romanelli, ha ferite lievi.
Il patriarcato nota che “le persone nel Complesso della Sacra Famiglia hanno trovato nella Chiesa un rifugio, sperando che gli orrori della guerra potessero almeno risparmiare loro la vita, dopo che le loro case, i loro beni e la loro dignità erano già stati strappati via. A nome di tutta la Chiesa di Terra Santa, porgiamo le nostre più sentite condoglianze alle famiglie colpite dal lutto e, da qui, preghiamo per la rapida e completa guarigione dei feriti”.
Inoltre, “il Patriarcato Latino condanna fermamente questa tragedia e questo attacco a civili innocenti e a un luogo sacro. Tuttavia, questa tragedia non è più grande o più terribile delle tante altre che hanno colpito Gaza. Molti altri civili innocenti sono stati feriti, sfollati e uccisi. Morte, sofferenza e distruzione sono ovunque”.
Infine, il Patriarcato Latino fa un appello forte. “È giunto il momento – si legge nella nota - che i leader alzino la voce e facciano tutto il necessario per porre fine a questa tragedia, umanamente e moralmente ingiustificata. Questa guerra orribile deve giungere alla fine, affinché possiamo iniziare il lungo lavoro di ripristino della dignità umana”.
Ciolpita la chiesa della Santa Famiglia di Gaza, la risposta del governo
In un post su X, l’ufficio del Primo Ministro di Israele ha espresso “profondo rammarico per i danni alla Chiesa della Sacra Famiglia nella città di Gaza e per ogni eventuale vittima civile. L’IDF sta esaminando questo incidente, le cui circostanze non sono ancora chiare, e i risultati dell’indagine saranno pubblicati in modo trasparente. Israele non prende mai di mira chiese o luoghi di culto e si rammarica per qualsiasi danno a un sito religioso o a civili non coinvolti”.
L’IDF (Israeli Defense Force) ha fatto sapere che “a seguito di una prima indagine, sembra che frammenti di un missile colpito durante l’attività operativa nell’area ha colpito la chiesa per errore. Le cause dell’incidente sono sotto scrutinio. L’IDF indirizza le sue azioni solo verso obiettivi militari e compie ogni sforzo fattibile per migrare il danno a strutture religiose e civili, lamentando ogni danno non intenzionale che possa essere loro causato”.
Colpita la Chiesa della Santa Famiglia di Gaza, la reazione del Cardinale Parolin
In una reazione a caldo nella sera del 18 luglio con Tg2 Post, il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, ha espresso dure parole di condanna per la situazione che ha coinvolto la Chiesa della Sacra Famiglia a Gaza, colpita dall’Israeli Defence Force, e ha però apprezzato la telefonata che il presidente israeliano Netanyahu ha fatto a Leone XIV.
“È stata opportuna – ha detto il cardinale – non si poteva non spiegare al Papa, non informarlo direttamente di quanto è successo, che è di una gravità assoluta. Quindi trovo la telefonata positiva, trovo la volontà del primo ministro israeliano di parlare direttamente con Papa Leone positiva”.
Il cardinale Parolin sottolinea che ci sono tre cose da attendersi. “Prima di tutto – dice il cardinale - che veramente si facciano conoscere i risultati reali dell'inchiesta che è stata promessa. Perché la prima interpretazione che è stata data è quella di un errore, però è stato assicurato che ci sarebbe stata un’indagine al riguardo. Quindi, che veramente si faccia questa indagine con tutta serietà e che si conoscano, si portino a conoscenza i risultati. E poi, dopo tante parole, finalmente si dia spazio ai fatti. Io spero davvero che quanto detto dal primo ministro possa realizzarsi nel più breve tempo possibile perché la situazione di Gaza è una situazione davvero insostenibile”.
Il segretario di Stato vaticano ha parlato di “guerra senza limiti”, mettendo in luce come la questione sia quella della proporzionalità. E poi ribadisce: “Diamo tempo per quello che è necessario perché ci dicano effettivamente cosa è successo: se è stato veramente un errore, cosa di cui si può legittimamente dubitare, o se c'è stata una volontà di colpire direttamente una chiesa cristiana, sapendo quanto i cristiani sono un elemento di moderazione proprio all'interno del quadro del Medio Oriente e anche nei rapporti tra palestinesi ed ebrei. Quindi, ci sarebbe ancora una volta una volontà di far fuori qualsiasi elemento che possa aiutare ad arrivare a una tregua perlomeno e poi a una pace”.
Per quanto riguarda una mediazione della Santa Sede, il Cardinale sottolinea che la Santa Sede è disponibile, ma “la mediazione vige soltanto nel momento in cui le due parti l’accettano: ci deve essere disponibilità dalla parte di ciascuno dei due contendenti, delle due parti in conflitto, dei due Paesi o delle due popolazioni in conflitto ad accettare questa mediazione della Santa Sede. Noi continueremo ad insistere come abbiamo sempre fatto senza perdere la speranza, però tecnicamente è molto difficile. D’altra parte, lei ha visto quante mediazioni esterne al Vaticano non hanno funzionato finora. Ci vuole volontà politica per finire la guerra sapendo che i costi di una guerra sono costi terribili per tutti, in tutti i sensi”.
Colpita la chiesa della Santa Famiglia di Gaza, il supporto della COMECE
Il vescovo Mariano Crociata, Presidente della Commissione degli Episcopati dell'Unione Europea (COMECE), esprime profonda commozione e grave preoccupazione per la notizia del recente attacco all'unica chiesa cattolica della Striscia di Gaza del 17 luglio.
La notizia – si legge in una nota della COMECE – “è giunta a Mons. Crociata mentre si trovava in Ucraina per una visita di tre giorni per esprimere solidarietà al popolo e alla Chiesa ucraina, profondamente colpiti dalla continua aggressione militare russa. In un contesto già segnato da sofferenze e violenze, la notizia dell'attacco alla chiesa di Gaza, che ha causato almeno due morti e quattro feriti, assume una gravità ancora maggiore”.
“Non sappiamo ancora esattamente cosa sia successo – ha detto il vescovo Crociata – ma posso dire che tali atti rinnovano il nostro dolore per il dilagare della violenza e ci costringono a riaffermare, con forza, la nostra ferma opposizione a ogni forma di guerra e conflitto armato”.
Il presidente della COMECE ha aggiunto che “questo breve messaggio nasce dal cuore di un cammino vissuto accanto a un popolo che ha portato a lungo il peso della guerra. Per questo, con ancora maggiore convinzione, mi unisco al grido di quanti invocano la pace e il rispetto di ogni vita umana, ovunque essa si trovi".
Crociata si trova in Ucraina, per un viaggio iniziato il 16 luglio e terminato il 18 luglio. Il vescovo dunque “dall’Ucraina, dove stiamo sperimentando il male e l’assurdità della guerra e le sue terribili conseguenze, desidero inviare un sentito messaggio di vicinanza e solidarietà alla comunità cristiana di Gaza, e alzare la nostra voce per la fine della guerra e per il rispetto verso il popolo palestinese”.
Colpita la chiesa della Santa Famiglia di Gaza, la reazione dei vescovi francesi
Il primo atto pubblico da presidente della Conferenza Episcopale di Francia del Cardinale Marc Aveline è la firma di una dichiarazione di solidarietà al Patriarcato Latino di Gerusalemme, con una lettera indirizzata al Cardinale Pizzaballa il 17 luglio, dopo aver appreso dell’attacco al complesso della Santa Famiglia di Gaza.
“A nome della Conferenza episcopale francese – si legge nel messaggio, firmato dal presidente e dai vicepresidenti - desideriamo esprimere la nostra più profonda solidarietà alla Chiesa e ai popoli della Terra Santa, nonché la nostra compassione per le vittime e le loro famiglie”.
La presidenza dei vescovi di Francia nota che “in questo contesto particolarmente difficile, la parrocchia della Sacra Famiglia si sforza di rimanere un luogo di pace, al servizio di tutti gli abitanti di Gaza. Non c'è alcuna giustificazione per cui sia lei il bersaglio di un simile attacco”, e sottolinea che “a pochi giorni dall’inaccettabile attacco al villaggio di Taybeh da parte di coloni radicali, ci uniamo alla vostra indignazione e a quella di tutti i leader cristiani”.
I vescovi di Francia annunciano anche che “nei prossimi giorni incontreremo le autorità francesi per discutere della situazione e delle azioni che potrebbero essere intraprese, sia per il rilascio degli ostaggi sia per la protezione di tutta la popolazione civile”.
FOCUS ECUMENISMO
Il nunzio nel Regno Unito celebra nella cattedrale di Canterbury
Per la prima volta un nunzio apostolico ha presieduto una essa nella cattedrale anglicana di Canterbury a Londra. Il 10 luglio, l’arcivescovo Miguel Maury Buendia, nunzio apostolico nel Regno Unito, ha presieduto una Messa nell’antica cattedrale di Londra diventata centro della Chiesa Anglicana in occasione della traslazione di San Tommaso di Canterbury, ovvero San Thomas Becket, che fu arcivescovo di Canterbury dal 1162 al 1170, quando fu martirizzato dai seguaci di Enrico II a seguito di una disputa che l’arcivescovo aveva avuto con il re riguardo i diritti e i privilegi della Chiesa. Thomas Becket è venerato come santo sia della Chiesa Anglicana che dalla Chiesa Cattolica.
Nel 1220, il corpo di Thomas Becket fu traslato dalla cripta della Cattedrale di Canterbury al santuario dietro l’altare centrale, dove rimase fino al 1538, quando Enrico VIII ordinò la distruzione della Cripta.
Una volta l’anno, il 7 luglio, il decano del Capitolo della Cattedrale di Canterbury permette alla parrocchia cattolica di San Tommaso di Canterbury di celebrare la Messa in onore di Thomas Becket. Dunque, la celebrazione di una Messa cattolica in quella che è diventata la cattedrale anglicana non può essere considerata una novità.
È tuttavia molto significativo, e una prima nella storia, che il nunzio apostolico celebra la Messa a Canterbury.
Nell’omelia, Buendia è detto che “questa messa di pellegrinaggio ha luogo nel contesto dell’anno giubilare. Enfatizza, dunque, la vita cristiana come una vita spirituale, che si muove tra le prove della vita e le gioie con la speranza ancorata in Cristo. Avendo viaggiato come pellegrini oggi, non stiamo solo onorando una figura della storia. Le vetrate intorno a noi illustrano molti miracoli attribuiti a Saint Thomas nel periodo medievale. Dovrebbe essere anche una storia vivente”.
Il nunzio ha anche portato la vicinanza di Leone XIV ai fratelli e sorelle anglicani, con l’invito ad ascoltare quello che lo Spirito Santo dice alle Chiese.
Guardando alla vita di Thomas Becket, l’arcivescovo Buendia ha notato che questi “non è morto per una ideologia. Il suo martirio era una testimonianza della relazione con Cristo che aveva nutrito il suo ministero episcopale”.
FOCUS MULTILATERALE
La Santa Sede a New York, il dibattito sugli obiettivi di sviluppo sostenibile
Il 14 luglio, si è tenuto presso la sede delle Nazioni Unite a New York un dibattito al Forum Politico di Alto Livello sull’obiettivo di sviluppo sostenibile numero 3, ovvero “assicurare vite sane e promuovere benessere per tutti a tutte le età”.
Nel suo intervento, l’arcivescovo Gabriele Caccia, Osservatore della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York, ha sottolineato che “la salute non è meramente assenza di malattia, ma uno stato olistico di benessere fisico, psicologico, sociale, spirituale ed emozionale”, ed è “una parte vitale dello sviluppo umano integrale”.
Eppure, ha aggiunto, il progresso verso il raggiungimento dell’obiettivo numero 3 “resta iniquo”, a causa di “persistenti ostacoli, inclusi fragili sistemi sanitari, ma anche fondi inadeguati e il crescente peso di malattie non comunicabili", che continuano ad “esacerbare le disparità sanitarie esistenti””.
La pandemia – ha sottolineato l’arcivescovo Caccia – ha messo in luce “debolezze strutturali e aggravato le ineguaglianze esistenti”, con disparità che sono evidenti “nei milioni di persone che non possono avere accesso alle cure sanitarie di base, i tassi di mortalità materna stagnanti, e la sofferenza silenziosa di quanti vivono con condizioni mentali non trattate”.
Secondo la Santa Sede, l’Obiettivo Numero 3 deve essere adottato in interdipendenza con altri Obiettivi, come l’Obiettivo 1 che punta a superare la -povertà, l’Obiettivo 2 che vuole affrontare il problema della fame e del nutrimento, l’Obiettivo 4 che riguarda l’educazione e l’Obiettivo 6 su acqua pulita e sanità, ma anche l’Obiettivo 17, che tocca i temi delle partnership e dei finanziamenti.
Ci vuole, inoltre, una particolare attenzione “ai membri più vulnerabili della famiglia umana, inclusi i non nati, i bambini, gli anziani, le persone con disabilità, i migranti e quelli che vivono in aree colpite dai conflitti”.
Il diritto ad uno standard di vita adeguato, stabilito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, è “un diritto per tutti, non un privilegio per pochi, radicato nella verità fondamentale che ogni vita umana è sacra e merita di essere curata dal concepimento alla morte naturale”, e dunque “ogni approccio che minaccia la dignità umana o nega la cura basata su una percepita utilità o su un costo deve essere rifiutata”.
Invece, ha notato Caccia, ci deve essere “un impegno per la salute e il benessere che protegga e serva quelli più a rischio di essere dimenticati”, perché la cura sanitaria “deve rimanere centrata sulla persona” e questo non può essere cambiato da agende ideologiche, ed è questo il lavoro che fanno le organizzazioni religiose, a partire da quelle cattoliche.
Per questo, “stringere partnership con queste istituzioni potrebbe quindi aiutare a mantenere la cura sanitaria centrata alla persona”, mentre la Chiesa Cattolica, che “gestisce circa un quarto di tutte le strutture sanitarie del mondo, continuerà a fornire cura ai più poveri e a coloro che si trovano nelle aree più remote”.
La Santa Sede a New York, il dibattito sulla gender equality
L’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile Numero 5 è dedicato al raggiungimento di un'uguaglianza di genere e al rafforzamento di donne e ragazze. Se ne è discusso il 15 luglio al dibattito di Alto Livello alle Nazioni Unite. L’arcivescovo Caccia, Osservatore Permanente della Santa Sede ha notato che “l’eguaglianza di genere è radicata nell’eguale dignità data da Dio a uomini e donne”, principio che “sottolinea il primato della persona umana e la protezione dei diritti umani”.
Ma, ha aggiunto, “non basta il riconoscimento dei diritti, perché l’eguaglianza richiede di creare le condizioni che permettono lo sviluppo integrale di donne e ragazze, incluso l’accesso ad educazione di qualità e sanità, e un lavoro degno e la partecipazione in ogni sfera della vita”.
Per la Santa Sede, ogni discussione sull’Obiettivo 5 deve “affrontare i sistemici ostacoli allo sviluppo integrale di milioni di donne e ragazze inclusa la povertà, la violenza e le esclusioni”, un tema che “è un imperativo morale e un pre-requisito per uno sviluppo integrale e a lungo termine”.
Gli sforzi in questo senso, sostiene il nunzio, possono avere un “effetto immediato e trasformativo sulla vita di ogni essere umano e delle comunità”, sebbene si debbano anche proteggere “i ruoli che uomini e donne giocano nelle famiglie e nelle comunità”, perché “troppo spesso, l’eguaglianza di genere è trattata come una questione di autonomia individuale, separata dalle relazioni e dalle responsabilità”.
Secondo la Santa Sede, è cruciale “enfatizzare la comprensione relazionale della persona umana, valorizzando la complementarità di uomini e donne e affermando la famiglia come un posto di relazioni”, e che “politiche che supportano e proteggono le famiglia e la maternità devono essere implementate insieme alla promozione dell’eguaglianza tra uomini e donne”.
La Santa Sede a New York, lo sviluppo sostenibile e le nazioni africane
Il 15 luglio, l’arcivescovo Gabriele Caccia, osservatore permanente della Santa Sede alle nazioni Unite, ha parlato al Forum di Alto Livello in cui si è discusso di come accelerare il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile nelle Nazioni Africane, le Nazioni Meno Sviluppate, le Nazioni con Sviluppo Chiuso e le Nazioni di medio reddito.
Nel suo discorso, il nunzio ha notato che queste nazioni, nonostante gli impegni, hanno ancora difficoltà nel raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile, e uno dei problemi è “la realtà persistente e diffusa della povertà” che “continua a colpire milioni di persone, negando il loro benessere materiale e minando la loro dignità umana, soffocando il loro sviluppo umano integrale”.
La Santa Sede ribadisce che “la povertà deve essere la priorità centrale e urgente della comunità internazionale”, perché il suo sradicamento “non è solo un esercizio economico”, ma piuttosto un imperativo morale”, eppure gli sforzi per sradicare la povertà sono messi a rischio dall’insopportabile peso di restituire i debiti sovrani”.
La Santa Sede nota che è impossibile debellare la povertà quando 3,4 miliardi di persone vivono in nazioni che spendono più nel pagamento di interessi che in educazione e sanità insieme, e per questo cancellare o alleviare il debito “non è un atto di generosità, ma un passaggio necessario per creare lo spazio fiscale di cui le nazioni hanno bisogno per investire nella cancellazione e nella ristrutturazione del debito”.
La delegazione della Santa Sede ha chiesto un immediato sollievo del debito nonché “l’accesso a finanziamenti di concessione, in particolare per quelle nazioni africane il cui debito è in condizioni insostenibili”.
FOCUS EUROPA
Il pensiero della Chiesa inglese sull’evasione fiscale
Si chiama “Restituire a Cesare” ed è un documento di circa cento pagine redatto dalla Conferenza Episcopale di Inghilterra e Galles per offrire al governo britannico alcune line guida economiche ispirate dalla dottrina della Chiesa. Scritto insieme ad un gruppo di esperti, il documento si presenta come una sorta di “sommario” del pensiero cattolico sulla tassazione, e tocca temi come l’evasione fiscale, la crisi economica del 2008, la gestione del Welfare, il COVID e l’inflazione.
Tra gli esperti consultati per il documento, l’economista Philip Booth, la professoressa Anna Rowlands, consulente della Segreteria generale del Sinodo della Chiesa cattolica e del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano integrale, e Ruth Kelly, già ministro del Tesoro in Gran Bretagna e ora membro del Consiglio per l’Economia.
Il documento è diviso in quattro parti e dodici capitoli.
I primi quattro capitoli sono dedicati a quello che le scritture dicono sulle tasse, e sul pensiero sociale cattolico su società e Stato, perché lo Stato ha il diritto di prelevare tasse per finanziare le proprie funzioni in rapporto al bene comune con un’attenzione particolare per i più poveri. Tuttavia la pressione fiscale deve essere moderata e tenere conto che le famiglie hanno impegni finanziari, tra i quali vi sono anche donazioni e aiuti ai più poveri”.
Il documento sottolinea che esiste "un'opzione preferenziale per i più poveri”, mette in luce che i fedeli cattolici sono obbligati a pagare le tasse, tranne che in circostanze davvero eccezionali, sottolinea che lo Stato deve impegnarsi ad applicare una “giustizia distributiva che tenga conto dei bisogni delle future generazioni, della protezione dell’ambiente e delle esigenze delle famiglie””.
Scrivono i vescovi di Inghilterra: “Il principio della sussidiarietà richiede che il governo, a livello nazionale, non dovrebbe svolgere funzioni che potrebbero toccare ad amministrazioni comunali o provinciali o regionali e che lo stato dovrebbe alimentare e non sfruttare od esaurire la società civile e le famiglie”.
Nella sua seconda parte, il documento affronta le “Questioni attuali di politica fiscale”. Si parte dai primi giorni della storia del cristianesimo, e si nota che “una Chiesa nata come movimento di poveri e persone senza potere, alla quale ha dato vita Gesù Cristo, ha finito per contribuire a un sistema di istituzioni corrotte che ha tassato troppo i fedeli”, e che solo con le encicliche Rerum Novarum e Quadragesimo Anno che la Chiesa “è stata richiamata alla sua missione originaria di ‘difesa dei più poveri’ ed ha avviato il suo insegnamento in materia di dottrina sociale”.
Il dodicesimo capitolo è intitolato “Per il bene comune. Gli obblighi morali della giustizia fiscale”. I vescovi ribadiscono il loro appello per tasse giuste che tengano conto dei bisogni dei più poveri e raccomandano ai fedeli di investire in modo etico, seguendo criteri come il “Fair Tax Mark”, un certificato che viene conferito dalla “Fair Tax Foundation” a una società, se quest’ultima non evita le tasse e applica trasparenza al suo bilancio.
“Incoraggiamo i fedeli – si legge ancora nel documento – a chiedersi se le compagnie che scelgono per i loro risparmi stiano seguendo una politica fiscale giusta e stiano adempiendo ai loro obblighi nei confronti degli investitori”. E questo perché “come Gesù ci insegna, a chi è stato dato molto, molto sarà richiesto. Per imprese e individui è un peccato cercare di evitare questo obbligo e, facendo così, aumentare il carico di coloro che sono meno fortunati, ed è sbagliato un sistema che consenta loro di fare così”.
FOCUS ASIA
Corea, decimo pellegrinaggio per la pace nella zona demilitarizzata
Nel 1953, a seguito dell’armistizio della guerra di Corea, è stata creata tra Corea del Nord e Corea del Sud una zona “demilitarizzata”, che funge da cuscinetto tra le due nazioni. Da dieci anni, questa zona è oggetto di un pellegrinaggio per la pace, organizzato dal Comitato per la Riconciliazione della Corea dell’Arcidiocesi di Seoul.
Il pellegrinaggio ha avuto quest’anno anche il supporto del Ministero della Cultura, dello Sport e del Turismo. Vi hanno partecipato una quarantina di giovani, nati sia a Nord che Sud della penisola e da diverse altre nazioni, che hanno toccato vari luoghi simbolici, come la Torre dell’Unificazione di Odusan, dalla quale è possibile ammirare il panorama spettacolare dei fiumi Han e Imjingang che si uniscono e sfociano nel Mar Giallo e, più in lontananza, la provincia di Hwanghae, in Corea del Nord. I giovani partecipanti al pellegrinaggio hanno poi raggiunto il parco di Imjingak diretti all’Osservatorio di Jangsan, presso l’isola di Chopyeongdo: nota per essere habitat di uccelli migratori, è disseminata di recinzioni di filo spinato che delimitano il campo d’addestramento militare.
Qui è stata recitata la “Preghiera semplice” di San Francesco d’Assisi mentre in sottofondo si sentivano gli spari esplosi dai soldati in addestramento.
Il gruppo si è quindi spostato a Cheorwon, nella provincia di Gangwon, dove sorge l’Osservatorio della Pace, situato oltre la linea di controllo civile e a circa due chilometri dal confine nordcoreano. Da qui è stato raggiunto l’altopiano di Sapseulbong, noto come “Altopiano del Gelato” così chiamato per la sua forma che ricorda un gelato che si scioglie, dove durante la guerra di Corea si tennero feroci scontri armati.
In bicicletta è stato poi raggiunto il caffè “Open the Moon”. Situato nel punto più a nord della Corea del Sud, vicino a un checkpoint della zona di controllo civile, è gestito da giovani nordcoreani cresciuti in una casa-famiglia.
Dopo la sosta, il pellegrinaggio è ripreso verso il crematorio per le truppe ONU a Yeoncheon e il cimitero militare per i soldati nordcoreani.
Il terzo giorno, i partecipanti hanno camminato lungo un sentiero costiero di 10 chilometri da Nanjeong a Ganghwa, pregando insieme il Rosario. L'ultimo giorno, a conclusione del pellegrinaggio si è celebrata una Santa Messa durante la quale si è pregato per la pace nella Penisola coreana e nel mondo.
FOCUS NUNZI
Morto il nunzio Alberto Bottari
Lo scorso 13 luglio è morto l’arcivescovo Alberto Bottari di Castello. Aveva 83 anni, e aveva servito a lungo come nunzio apostolico. Sacerdote dal 1966, dopo una serie di incarichi in varie nunziature, è stato nominato da Giovanni Paolo II nunzio in Gambia, Guinea, Liberia e Sierra Leone, incarico che mantenne per cinque anni. Dal 2005 al 2011 fu nunzio apostolico in Giappone, e poi fu nunzio in Ungheria dal 2011 al 2017.