Algeri , giovedì, 24. luglio, 2025 12:30 (ACI Stampa).
Nel 2026 si celebrerà il 950esimo anniversario della lettera che Gregorio VII inviò ad al-Nāṣir ibnʿAlannās ibn Ḥammād, sovrano della dinastia berbera Ḥammādide la cui capitale era Bejaia. E uno dei documenti più antichi che testimoniano il legame dei Papi con la Chiesa di Algeria. Chiesa che, nel suo sito internet, non manca di ricordare con orgoglio che la cristianità è presente nel Paese dal II secolo. E, non va dimenticato, in Algeria nacque, e poi fu vescovo, Sant’Agostino.
E per questo che Leone XIV potrebbe fare il primo viaggio proprio lì, come segnalano vari indizi, non ultima la nomina del vescovo di Costantine, ultima sede vacante del Paese e luogo in cui si trova l’antica Ippona e la cattedrale di Sant’Agostino.
Della lettera di Gregorio VII ha parlato il vescovo Diego Sarrió Cucarella di Laghouat-Ghardaïa in un articolo pubblicato sul sito della Chiesa di Algeria lo scorso 9 luglio. Cucarella, che ha studiato al Pontificio Istituto di Studi Islamici (PISAI) ed è un esperto di dialogo interreligioso, ripercorre la lettera del Papa, nota che “dopo aver riconosciuto che Dio aveva ispirato al-Nāṣir ad agire con gentilezza nei confronti della comunità cristiana locale”, il Papa proseguiva “affermando che Dio è compiaciuto quando le persone, oltre ad amare Dio, amano il prossimo e non fanno agli altri ciò che non vorrebbero fosse fatto a loro”, affermando poi “che cristiani e musulmani devono mostrare in modo speciale agli altri popoli l'esempio di questa carità reciproca”.
Nota il vescovo che queste parole di Gregorio VII, quasi mille anni dopo, sono ancora attuali perché “rappresentano la sfida che cristiani e musulmani si trovano ad affrontare ancora oggi”, perché il riconoscimento di un Dio unico impone a cristiani e musulmani “di diventare, nel nostro rapporto reciproco, un esempio di amore e amicizia per l'intera famiglia umana”, perché anche se è vero che “i seguaci di Cristo e i seguaci dell'Islam parlano di Dio in modo diverso, Papa Gregorio VII credeva che ciò che abbiamo in comune dovesse spingerci alla carità reciproca e, in tal modo, diventare un modello per gli altri”.
Cucarella ammette che cristiani e musulmani hanno “troppo raramente” riconosciuto questo dovere religioso, ma piuttosto hanno “trasformato le nostre differenze dottrinali in ostacoli insormontabili che ci impediscono di collaborare o addirittura giustificano l'animosità”.




