Carpi , domenica, 31. agosto, 2025 10:00 (ACI Stampa).
In questa domenica vogliamo soffermare la nostra attenzione sul testo della prima lettura della Santa Messa, tratto dal libro del Siracide. Al cuore del brano troviamo un paradosso: quanto più una persona è grande, tanto più deve essere umile. È questo il cammino scelto Cristo, che “pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò sé stesso, assumendo la condizione di servo” (Fil 2,6-7). Commenta sant’Ambrogio: “L’umiltà è la scala per cui si sale al cielo. Più ti abbassi, più sei innalzato.” (De Officiis, II, 6). L’umiltà rende l’uomo gradito agli altri e intimo di Dio. Perchè? Perchè l’umile non si impone, ma si dona, non si innalza, ma condivide. Dio, inoltre, non si lascia affascinare dalle apparenze, ma guarda il cuore. E un cuore che non si gonfia diventa il suo tabernacolo. Luogo in cui Dio abita. L’umiltà non è finta modestia, né debolezza, ma verità su sé stessi, riconoscimento che la vita non ci appartiene, ci è data per rendere gloria a Dio e operare il bene a favore dei fratelli.
Il testo, poi, continua con queste parole: “Per la misera condizione del superbo non c’è rimedio, perché in lui è radicata la pianta del male.”(Siracide 3,28). Non è Dio a rifiutare il superbo. È il superbo che, gonfio di sé, rifiuta il Signore. Per questo la sua condizione è “misera”. In quanto accecato dalla presunzione, il superbo è incapace di riconoscere che anche lui è bisognoso di salvezza. Il Siracide qualifica la superbia come la “pianta del male” che contamina tutto la persona. Con questa immagine si vuole porre in evidenza che all’origine di ogni peccato c’è la superbia. È questo il peccato che ha portato il diavolo a ribellarsi perché non voleva servire Dio. A causa della sua scelta scellerata nel mondo è entrato il male con tutte le sue conseguenze. E le prime vittime sono stati i nostri primogenitori nel Paradiso terrestre, i quali hanno pretese di potere vivere senza Dio. San Gregorio Magno afferma che: Dove c’è superbia, non può esserci carità”. E senza carità, nessun cammino verso Dio è possibile. Il superbo non ama perché non sa uscire da sé stesso. Anche i gesti buoni, se ci sono, sono spesso compiuti per apparire, non per servire. San Tommaso d’Aquino descrive il superbo come una persona che desidera apparire al di sopra degli altri, e per questo li disprezza.”
Ma c’è una via d’uscita a questa situazione? Il testo della lettura, continua con queste parole: “la mente del saggio medita le parabole” e “l’orecchio attento è desiderio del saggio”. Il cuore umile è cuore docile, che si mette in ascolto, e proprio per questo può comprendere ciò che agli occhi del mondo resta nascosto e sa stupirsi davanti alla verità. Mentre l’arrogante crede di sapere già tutto, di potersi salvare da solo, di bastare a sé stesso, di avere tutto sotto controllo. Come dice il Salmo:“Nel suo orgoglio l’empio disprezza il Signore: ‘Dio non ne chiede conto, non esiste!’” (Sal 10,4)
L’orecchio attento è l’immagine di un’anima sveglia, desiderosa di comprendere, di crescere, di lasciarsi guidare. Il saggio non ascolta per curiosità, ma per trasformare il cuore, per aderire con più fedeltà al disegno di Dio. San Bernardo di Chiaravalle scrive:“Nulla è più contrario a Dio della superbia, nulla è più simile a Dio dell’umiltà.” La superbia è una prigione interiore, che esclude Dio e isola l’uomo. L’umiltà, invece, è la via della libertà, della sapienza e dell’intimità con il Signore e i fratelli.




