Grazie, Papa Leone, grazie per averci confermato nella fede, per averci ripetuto quanto il Signore ogni giorno dice a ciascuno di noi e ad ogni creatura: Ti ho amato. Sì, ci ha amati. Da sempre, per sempre. E tu ce lo hai ricordato invitandoci a percorrere le strade polverose del mondo, chiedendoci di stare accanto ai poveri, agli ultimi, a chi abita le periferie del cuore. E lo hai fatto non con discorsi solenni, ma con parole che sanno di Vangelo e di terra, di carne ferita e di luce risorta". Lo scrive il Cardinale Domenico Battaglia, Arcivescovo di Napoli, in una lettera aperta a Papa Leone XIV dopo la pubblicazione dell'esortazione apostolica Dilexi Te.

"Il tuo - osserva il Cardinale Battaglia - non è un trattato, non è un proclama, ma una mano che indica la strada, una voce discreta che ci raggiunge oggi, dentro le nostre stanchezze, nelle nostre strade piene di polvere e di sogni, nel cuore di questo tempo e di questa terra dove pochi si spartiscono la ricchezza che il Signore ha donato a tutti. Ho gioito nel leggere le tue parole che non ordinano, ma abbracciano, che non pretendono ma ricordano, come se il Signore, attraverso la tua voce, tornasse a dire a ciascuno: Ti ho amato, anche nella tua poca forza, anche nel tuo passo incerto, anche quando non sai più pronunciare il mio nome. E anche se non conti nulla per i potenti, conti per me. Perché per me non sei una statistica, un numero, una massa informe ma sei un volto, una storia, una figlia, un figlio amato da sempre e per sempre”.

"Leggendo la tua esortazione - scrive ancora l'Arcivescovo di Napoli - c’è un verbo che torna con insistenza, anche quando non lo pronunci: discendere. È la parola chiave di Dio. Discendere per liberare, come nel roveto ardente; discendere per servire, come nel cenacolo; discendere per salvare, come sulla croce. Lo dici con semplicità: Dio è amore misericordioso e il suo progetto d’amore è discendere e venire in mezzo a noi per liberarci. E questa è la radice di ogni rivoluzione cristiana: un Dio che non conquista, ma condivide; che non possiede, ma si dona. Da questa discesa nasce la Chiesa dei poveri. Una Chiesa che non parla dall’alto, ma dal di dentro dell’umanità, servendo e accompagnando. Una Chiesa che non misura la fede in prestazioni, ma in ferite guarite".

"Grazie Papa Leone - conclude - per averci ricordato che la dottrina sociale della Chiesa, non è un’aggiunta alla teologia, ma la sua carne, il suo corpo. Tu non lo dici con formule accademiche, ma con il tono di chi sa che la fede, se non diventa vita, muore d’asfissia. La giustizia, la pace, la solidarietà con gli ultimi, la dignità del lavoro, la custodia del creato non sono temi accessori: sono le conseguenze di chi decide di seguire Cristo. Perché seguire Cristo significa toccare le piaghe del mondo, prendere parte, non restare spettatori. Significa non parlare di Dio senza parlare dell’uomo".