Si presenta così, il Secondo Rapporto della Commissione. Il primo era anche una sintesi del lavoro svolto in dieci anni di commissione, una sorta di saluto del Cardinale Sean Patrick O’Malley, che la commissione aveva pensata e voluta e che l’aveva delineata seguendo anche il metodo che aveva seguito quando aveva ereditato la disastrata arcidiocesi di Boston. Oggi, è il momento di normalizzare gli sforzi, di mettere a regime un sistema che ancora fa fatica ad essere compreso (nel rapporto, ci si lamenta spesso delle diocesi che non hanno risposto al questionario sulla risposta agli abusi) e di rendere operativi i quattro pilastri di verità, giustizia, riparazione e riforma istituzionale, tutti parte dell’approccio teologico-pastorale chiamato “Giustizia e conversione”.
Il tema di quest’anno è la riparazione, e per questo lo studio ha raccolto esperienze di riparazione di varie Chiese locali, mentre il gruppo di ascolto Vittime/Sopravvissuti della Commissione ha aiutato con diversi approfondimenti. “Abbiamo detto al Papa, nell’udienza che abbiamo avuto con lui lo scorso 16 settembre – dice il vescovo Luis Manuel Alì Herrera, segretario della Commissione – che si parla di un gruppo ampio di persone, abbiamo portato al Papa soprattutto voci, storie”. E il Papa “ci ha dato un appoggio incondizionato”, lo “stesso impegno di Papa Francesco, con uno stile ovviamente diverso, più personale, più analitico, ma ugualmente empatico”.
Le linee guida per la riparazione
Quali sono allora le linee guida per la riparazione? La commissione chiede prima di tutto di “assicurare centri di ascolto accoglienti per vittime/sopravvissuti” e di fornire servizi di supporto psicologico professionali. Ma chiede anche un riconoscimento e delle scuse pubbliche, una comunicazione proattiva e trasparente con le vittime, il coinvolgimento delle vittime e dei sopravvissuti nello sviluppo delle politiche e delle procedure della Chiesa.
Il rapporto è diviso in tre parti, e guarda sia alle Chiese locali che a quelle continentali. Si divide in quattro macroregioni, alle quali è stata applicata la metodologia del gruppo di ascolto delle vittime, le cui esperienze “informano direttamente l’analisi contenuta in questo Rapporto Annuale, in particolare per quanto riguarda le raccomandazioni della Commissione alle specifiche istituzioni ecclesiali”.
Il rapporto definisce anche un vademecum che delinea i sei ambiti in cui la Chiesa deve migliorare per adempiere ai suoi compiti verso le vittime: accoglienza, ascolto e cura; comunicazione, con scuse pubbliche e private; sostegno spirituale e psicoterapeutico; sostegno finanziario; riforme istituzionali e disciplinari; iniziative di tutela all’interno della comunità ecclesiale.
In quest’ultimo caso, è anche evidente l’esigenza di un protocollo semplificato per la dimissione e/o rimozione di leader/responsabili o personale della Chiesa in casi di abuso o negligenza.
È importante comunicare pubblicamente le ragioni delle dimissioni, quando la decisione riguarda casi di abuso e negligenza, dice il rapporto. Ed è interessante notare come questo vada un po’ contro la prassi che era invalsa con Papa Francesco, quando non veniva più specificato nel bollettino della Sala Stampa della Santa Sede sulla base di quale articolo del codice di diritto canonico il vescovo avesse lasciato il proprio incarico.
Dice il vescovo Alì Herrera, come membro della commissione che si occupa dei rapporti con gli altri dicasteri, che su questo tema si è sempre in contatto con i dicasteri interessati, con i quali si cerca di firmare un “impegno di collaborazione”.
Il Rapporto delinea anche l’importanza di creare una rete accademica con centri di ricerca universitari cattolici specializzati in diritti umani, così come quella di mettere a punto un meccanismo di segnalazione/denuncia, di tipo sistemico e obbligatorio, ad uso dei vari organismi di tutela nel contesto delle chiese locali. Raccomandazione, questa, complessa, perché è la stessa richiesta di molte organizzazioni secolari, e spesso va a toccare anche il Segreto stesso della Confessione.
“La Commissione - si legge nel Rapporto - osserva pertanto come la capacità della Chiesa di promuovere una maggiore trasparenza ed esercizio della responsabilità istituzionale, avvalendosi della sua consolidata tradizione di rendicontazione periodica, si possa estendere alle politiche di tutela e alla loro attuazione. Il ruolo chiave svolto dai Nunzi Apostolici che camminano a fianco delle Chiese locali. La Commissione sottolinea l’importanza della propria vicinanza al corpo diplomatico della Santa Sede nel mondo, il quale occupa una posizione unica per incoraggiare, sostenere e accompagnare il ministero della tutela nelle Chiese locali”.
Benyam Dawit Mezmur, membro della commissione, ricorda di venire "da quella parte del mondo in cui si dice non ci siano casi. E mi vergogno, perché so che ci sono casi. Ma allora il problema è capire perché non si riporta, se c'è rischio di rappresaglia, quale è il motivo per cui non si riporta?".
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Le novità metodologiche
Due le novità metodologiche del rapporto, specialmente nella prima sezione, dedicata alle Chiese locali. Prima di tutto, ogni Paese vede anche presentare le osservazioni provenienti dal meccanismo di segnalazione/denuncia del Comitato sui Diritti dell’Infanzia delle Nazioni Unite, inclusi i rapporti ombra delle organizzazioni della società civile”.
Quindi, “la Commissione esamina e registra tutti i dati rilevanti in materia di tutela pertinenti alla Chiesa locale all’interno dello specifico Paese”, e questo “rappresenta un potente insieme di dati esterni —per incrociare, contestualizzare e verificare i dati forniti dalle autorità ecclesiastiche”.
Altra novità: “Durante la fase sinodale, la Commissione invita sistematicamente le conferenze episcopali e gli istituti religiosi a esaminare e commentare il testo preliminare. Tale metodologia è stata ampliata invitando anche il Nunzio Apostolico presente nella Chiesa locale interessata a fornire un contributo parallelo nel corso della fase sinodale, il che fornisce un ulteriore meccanismo di verifica dei dati trasmessi dai superiori e leader della Chiesa locale”.
La situazione in Italia
Tra le Chiese locali analizzate c’è quella italiana, andata in ad limina con alcune delle sue conferenze regionali. Pur lamentandosi che non tutte le conferenze regionali hanno fatto visita alla Commissione, questa “riconosce il lavoro dedicato dalla Conferenza alla creazione di un sistema multilivello (nazionale, regionale, diocesano e interdiocesano) di coordinamento, formazione e supervisione che supporta le Chiese locali fornendo loro personale professionale e ben formato”.