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Letture, novembre la "stagione dei morti" per i cristiani in momento di Grazia

Da Giovanni Pascoli a Padre Guido Bormolini il vero significato delle celebrazioni per i santi e per i morti

La preghiera nei cimiteri |  | pd La preghiera nei cimiteri | | pd

Novembre, le foglie ingiallite lentamente cadono, in un soffio d’aria, mentre anche se il cielo è chiaro e la luce scorre morbida  sui campi e sugli orti, tanto  da dare quasi un’illusione di primavera, ma ci sono i pruni secchi e piante ormai annerite che si stagliano contro l’orizzonte e che fanno capire in quale stagione si è davvero. “Silenzio, intorno: solo, alle ventate, odi lontano, da giardini ed orti, di foglie un cader fragile. È l'estate, fredda, dei morti”.

Giovanni Pascoli, nella sua poesia Novembre, descrive con  intensità questa “stagione dei morti”, un tema ricorrente soprattutto per i numerosi e dolorosi  lutti che il poeta ha vissuto fin da bambino. Una delle sue composizioni più famose e complesse è proprio dedicata al “Giorno dei morti”. Un dialogo serrato, commosso e commovente con i suoi cari, pervaso di tristezza e angoscia. Non ha una visione rasserenante, non possiede interamente  la speranza della fede nella vita eterna. Però esprime, e non solo in questa lirica, un concetto importante: la comunanza tra i vivi e i defunti. Coloro che ci sono cari non sono lontani da noi a causa della morte, ma sono in qualche modo presenti, si fanno presenti accanto, nella vita di tutti i giorni. Il poeta testimonia spesso questa vicinanza, sente la presenza dei suoi cari come un tenera carezza, sia pure colma di rimpianto e di nostalgia, a volte di dolore e di tormento, ma sempre con la convinzione che l’amore non finisce, i legami non si spezzano.

Io vedo (come è questo giorno, tetro!),
vedo nel cuore, vedo un cimitero
con un cupo cipresso alto sul muro.

E quel cipresso tra la nebbia si oppone al vento
che lo squassa con violenza: a ora a ora si scioglie in pianto
la nuvolaglia che sembra non finire mai.

Questa descrizione, che apre la poesia,  rimarca la tristezza del paesaggio, sia quello esterno che quello interiore. Il cimitero, casa dei defunti, quel cipresso che svetta oltre il muro, cupo sì, ma teso verso l’alto. Nebbia, vento, pioggia, ma il cipresso non si piega, li sfida e indica la via, interiore, al poeta, all’uomo, smarrito nel dolore e nelle lacrime.

Seguono gli incontri con il padre, i fratelli, e soprattutto la madre, figura sublime a cui si sovrappone, alla fine, quella della Madre di Cristo, a cui si leva una profonda preghiera corale, che Pascoli coglie con grande tenerezza:

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Ora, in ginocchio, pregano Maria
al suono delle campane, alte, lontane,
per chi (al cimitero) giunse e per chi resta in vita

là; per chi vaga tra i dolori della vita
per chi cammina, cammina, cammina,
e non trova luogo ove riposare.

Pietà per i figli che tu benedivi!
In questa notte che non finisce mai,
pregate requie, O figli morti, ai vivi!
O Madre! Il cielo si riversa in pianto
oscuramente sopra il cimitero (la pioggia che scende è come le lacrime).

Lo sguardo si rivolge alla Madre, anche se attraverso il pianto, che si trasfonde nella pioggia, in una sorta di preghiera che unisce i vivi e i morti.

Quello che stiamo perdendo, oggi. Oggi siamo alla vigilia di due importati feste, quella di Tutti i santi e la commemorazione dei defunti, che però sembrano oscurate, in generale, da una festa commerciale e banale, per dire altro, ossia Halloween.

Padre Guido Bormolini, fondatore di "Ricostruttori nella preghiera" movimento ispirato alla spiritualità monastica e alla preghiera del cuore (o esicasmo), scrittore e tanatologo, ha spiegato, in un editoriale pubblicato dal settimanale Credere, che il nostro tempo sta proprio perdendo il senso del legame tra i vivi e i morti, quel legame che è sempre stato molto forte, come anche le poesie di Pascoli, in un modo peculiare, testimoniano. Una comunione tradita da Halloween, la quale propaganda un passaggio  dei morti su questa terra, in forma però di mostri, zombies, vampiri e demoni vari, in una sorta di “saga consumistica”, come la descrive l’autore. In realtà, la festa ha le sue origini “nella tradizione irlandese” che vuole che “in quella notte ci sono creature che attraversano ‘il velo che separa il mondo dei vivi da quello dei morti’”, ma in quella autentica credenza era sostenuta da “una meravigliosa comunanza di morti e di viventi. Era un tempo mistico in cui tutto ciò che è ordinario era sospeso e si apriva un varco perché invisibile e visibile si compenetrasse. Tutto aveva un effetto educativo di enorme valore educativo sia per i grandi che per i piccoli: educava a una compresenza che l’amore rende benefica”.

Padre Bormolini in molti saggi descrive con serenità e profondità, teologico e mistica, il nostro rapporto con la fine della vita, che per i credenti non è certo la fine, ma passaggio, trasformazione, e che comunque è parte integrante della nostra umanità. Concetto che ormai i nostri tempi non sanno più interpretare.  I vivi e i morti, nell’abbraccio che accomuna il visibile e l’invisibile, testimoniano il passaggio della morte appunto come un passaggio, non uno “spettacolo” crudele e disperante, di cui ci nutriamo ogni giorno attraverso le immagini che ci assediano e tentano di distorcerne il senso, incutendo paura, insensatezza, irrealtà. Si tenta di cancellare il Mistero; al suo posto trucco sanguinolento, orrore da supermercato, kermesse da weekend. Ma il Mistero rimane, si fa strada nei nostri cuori. E nel leggere Pascoli possiamo ritrovarne il profilo, magari proprio la cima di un cipresso oltre il muro del cimitero.

Giovanni Pascoli, Tutte le poesie, Newton Compton Editore, pp.1258, euro 14,90

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Guidalberto Bormolini, Ricordati che devi morire. Prepararsi alla propria morte, Edizioni Messaggero Padova, pp.100, euro 9,50

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