Roma , venerdì, 31. ottobre, 2025 18:00 (ACI Stampa).
Novembre, le foglie ingiallite lentamente cadono, in un soffio d’aria, mentre anche se il cielo è chiaro e la luce scorre morbida sui campi e sugli orti, tanto da dare quasi un’illusione di primavera, ma ci sono i pruni secchi e piante ormai annerite che si stagliano contro l’orizzonte e che fanno capire in quale stagione si è davvero. “Silenzio, intorno: solo, alle ventate, odi lontano, da giardini ed orti, di foglie un cader fragile. È l'estate, fredda, dei morti”.
Giovanni Pascoli, nella sua poesia Novembre, descrive con intensità questa “stagione dei morti”, un tema ricorrente soprattutto per i numerosi e dolorosi lutti che il poeta ha vissuto fin da bambino. Una delle sue composizioni più famose e complesse è proprio dedicata al “Giorno dei morti”. Un dialogo serrato, commosso e commovente con i suoi cari, pervaso di tristezza e angoscia. Non ha una visione rasserenante, non possiede interamente la speranza della fede nella vita eterna. Però esprime, e non solo in questa lirica, un concetto importante: la comunanza tra i vivi e i defunti. Coloro che ci sono cari non sono lontani da noi a causa della morte, ma sono in qualche modo presenti, si fanno presenti accanto, nella vita di tutti i giorni. Il poeta testimonia spesso questa vicinanza, sente la presenza dei suoi cari come un tenera carezza, sia pure colma di rimpianto e di nostalgia, a volte di dolore e di tormento, ma sempre con la convinzione che l’amore non finisce, i legami non si spezzano.
Io vedo (come è questo giorno, tetro!),
vedo nel cuore, vedo un cimitero
con un cupo cipresso alto sul muro.
E quel cipresso tra la nebbia si oppone al vento
che lo squassa con violenza: a ora a ora si scioglie in pianto
la nuvolaglia che sembra non finire mai.
Questa descrizione, che apre la poesia, rimarca la tristezza del paesaggio, sia quello esterno che quello interiore. Il cimitero, casa dei defunti, quel cipresso che svetta oltre il muro, cupo sì, ma teso verso l’alto. Nebbia, vento, pioggia, ma il cipresso non si piega, li sfida e indica la via, interiore, al poeta, all’uomo, smarrito nel dolore e nelle lacrime.
Seguono gli incontri con il padre, i fratelli, e soprattutto la madre, figura sublime a cui si sovrappone, alla fine, quella della Madre di Cristo, a cui si leva una profonda preghiera corale, che Pascoli coglie con grande tenerezza:





