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Gesù guida la storia verso il compimento. Solennità di Cristo Re

Il commento al Vangelo domenicale di S. E. Mons. Francesco Cavina

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La Chiesa, nell’ultima domenica dell’anno liturgico, celebra la Solennità di Cristo Re dell’Universo. Cristo è Re perché, insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica, «con la sua morte e risurrezione è diventato Signore delluniverso e della storia» (CCC 668-671). Questa festa è stata istituita nel 1925 dal Papa Pio XI e nell’enciclica Quas Primas ne spiega il senso: la regalità di Cristo non è finalizzata a dominare, ma a  portare pace ad un mondo lacerato e diviso. Cristo è Re perchè tutto ciò che esiste è stato creato per mezzo di Lui e in vista di Lui (cf. Col 1,16). È Re perché con la croce e la resurrezione ha vinto il peccato e annientato il potere della morte. È Re perché guida la storia verso il compimento.

Il Vangelo della santa Messa ci porta sul Calvario. Cristo è inchiodato sulla Croce e la gente che assiste al suo supplizio lo deride, lo insulta, lo sfida: Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso!». Queste parole esprimono la logica del mondo: un re, per essere tale, deve mostrare forza, imporsi, dominare. Ma Gesù non scende dalla croce. E questo è il cuore del suo mistero: il Suo regno non poggia sul potere o sulla violenza, ma sull’amore che si dona e salva.

Accanto a Lui, mentre soffre, c’è il cosiddetto buon ladrone. Questi, dopo avere riconosciuti il proprio peccato e l’innocenza di Gesù, Gli rivolge una preghiera semplice, ma piena di fiducia: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Riconosce in quel volto sfigurato dalla sofferenza e dagli sputi il suo Re. E Gesù gli risponde con parole che attraversano i secoli: «Oggi sarai con me nel Paradiso». Questo episodio ci racconta che il modo di regnare di Cristo è unico. Egli non estende il suo Regno conquistando territori, ma raggiungendo i cuori. Sul Calvario c’erano due uomini. Uno ha scelto di chiudersi nella rabbia, l’altro di affidarsi. Il buon ladrone ci ricorda che non è mai troppo tardi per aprire il cuore a Cristo. E ogni volta che anche noi sussurriamo: «Gesù, ricordati di me», la sua risposta non cambia: «Oggi sarai con me». Il suo, è davvero  un Regno che «non è di questo mondo» (Gv 18,36), perchè  capace di cambiare profondamente la nostra vita qui e ora.

Pio XI nell’enciclica citata, ci ricorda che «il regno di Cristo si estende anche a  tutto il genere umano» e che la sua autorità «non diminuisce, ma nobilita» l’autonomia delle realtà terrene. Accettare la regalità di Cristo non significa, quindi confondere la fede con il potere politico, né trasformare il Vangelo in un sistema di governo. Significa piuttosto riconoscere che la Verità annunciata da Cristo possiede una forza capace di orientare le culture, ispirare leggi giuste e purificare le strutture della convivenza umana.

Affermare che Cristo è Re vuol dire anche ricordare che nessun potere terreno può considerarsi assoluto, perché sopra ogni autorità c’è una Verità più grande, una Giustizia più alta, una legge d’amore che illumina la storia, la guida e la giudica. E quando una società accoglie questa luce, che è Cristo, tutto cambia: la politica diventa servizio e non dominio; l’economia mette al primo posto la giustizia e non il profitto; le relazioni sociali si fondano sulla dignità di ogni persona; e i più deboli non vengono lasciati ai margini, ma riconosciuti come il cuore stesso della comunità.

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In definitiva, la festa di Cristo Re ci ricorda che se accogliamo la sua regalità l’ultima parola sulla nostra vita non è il fallimento, non è  il peccato, non è neppure la morte. L’ultima parola è una promessa che risuona da duemila anni e che nessuno potrà mai cancellare: “Oggi sarai con me in Paradiso”.

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