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Quattro storie di santità, dal Laos al Piemonte

Canonizzazioni in Piazza San Pietro | Canonizzazioni in Piazza San Pietro | Lauren Cater / Catholic News Agency Canonizzazioni in Piazza San Pietro | Canonizzazioni in Piazza San Pietro | Lauren Cater / Catholic News Agency

Ci sono i primi martiri del Laos, il Paese asiatico in cui i cristiani hanno vissuto una atroce persecuzione. Ma c’è anche una coppia di coniugi, la “marchesa dei poveri,” il primo vescovo di Montevideo, più vari fondatori delle Congregazioni. E, ovviamente, l’ufficializzazione della canonizzazione di Junipero Serra, che Papa Francesco in persona celebrerà a Washington il prossimo 23 settembre. Dall’incontro tra il Papa e il Cardinale Angelo Amato, Prefetto ad Interim della Congregazione delle Cause dei Santi, viene fuori una lenzuolata di nuovi Santi e Beati. Tra di loro, quattro storie da raccontare.

I primi martiri del Laos

A partire proprio dai primi martiri del Laos, uno dei pochissimi Paesi al mondo senza rapporti diplomatici con la Santa Sede, in cui i cattolici sono lo 0,9 per cento della popolazione. I due nuovi martiri sono il missionario Oblato di Maria Immacolata (OMI) Mario Borzaga e il catechista laotiano Paul Thoj Xyooj, uccisi nel 1960; un secondo relativo ad altri 15 martiri, fra missionari e catechisti laici, uccisi in Laos tra il 1954 e il 1970.

Borzaga, lasse 1932, di Trento, sacerdote dall’età di 25 anni e Oblato dai 20, viene inviato in missione in Laos nel 1957. Trascorre un anno a studiare la lingua, poi si trasferisce a Kiucatiam, un piccolo villaggio di etnia homng, dove fa grande opera pastorale. Il 24 aprile 1960, alcuni hmong gli chiedono di andare nel loro villaggio di Pha Xoua, a tre giorni di marcia. Il giorno dopo, Borzaga si incammina, insieme al giovane catechista Paul Thoj Xyooj. Non torneranno più. Le testimonianze confermano che i due sono stati uccisi dai guerriglieri comunisti “Pathet Lao”, che oggi danno persino il nome alla nazione laotiana.  

La marchesa dei poveri

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L’avevano definita bigotta, perché così l’aveva liquidata la storiografia dell’Ottocento, di stampo massonico e anticlericale. Ma Giulia Colbert, nipote di quel Colbert che fu ministro delle Finanze di Luigi XIV, giovane bella, ricca, amica di Carlo Alberto, del Conte Camillo Benso di Cavour e della Torino altolocata, è una delle personalità più interessanti dell’Ottocento. Se non altro per quella scelta, completamente controcorrente, di dedicarsi ai poveri, piuttosto che alla bella vita.

Proveniente dalla Vandea, conosce il marchese Carlo Tancredi Falletti di Barolo alla Corte Napoleonica, e lo sposa. Non hanno figli. Così i due si dedicano ai bisognosi. È di Giulia la riforma delle carceri femminili torinesi, che diventeranno un modello per l’Europa. Ed è sempre merito di Giulia la fondazione del “Rifugio,” centro di educazione preventiva per ragazze a rischio e di riabilitazione per detenute non in grado di reinserirsi nella società. E ai marchesi di Barolo si devono anche il primo asilo infantile e il primo ospedale pediatrico per bambine e ragazze disabili: fu qui che don Bosco ebbe l’idea dell’Oratorio Salesiano. Poi, la Marchesa fonda anche una Congregazione religiosa  le Sorelle Penitenti di S. Maria Maddalena, oggi Figlie di Gesù Buon Pastore, e col marito dà vita anche alle Suore di S. Anna per l’educazione dell’infanzia e della gioventù. La morte la coglie il 19 gennaio 1864.

I coniugi Bernardini

Le virtù erocihe dei coniugi Bernardini sono state riconosciute separatamente. Ma la loro vita in comune è di quelle da seguire come esempio, specialmente alla vigilia della seconda parte di un Sinodo della Famiglia.

Sergio Bernardini ha vissuto una vita fatta di capitoli dolorosi. Nato nel 1882 a Sassoguidano, sulle montagne del modenese, sposa nel 1907 Emilia Romani, da cui ha i tre figli Mario, Medardo e Igina. Ma il destino è in agguato. In 5 anni, a partire dal 1907 perde prematuramente il padre, la madre, il fratello, la moglie e i suoi tre figli. A 30 anni Sergio è solo, pieno di debiti, e parte per Chicago, ma poi, a letto per alcuni mesi a seguito di un incidente, capisce che deve tornare in Italia per non perdere la fede. Quando torna, il parroco gli propone di diventare sacerdote. Ma non è quella la sua vocazione. Incontra Domenica, una giovane del luogo, si sposano, fanno 10 figli, e 8 su 10 si consacrano e diventano missionari e missionarie. Tra questi, padre Sebastiano, che si è fatto cappuccino, e che chiede ai genitori di adottare a distanza un seminarista africano. Loro accettano, e si prendono cura di Felix, che diventerà addirittura vescovo in Niger e presiederà alla cerimonia con cui l’ultimo figlio della coppia, padre Germano, verrà incardinato arcivescovo metropolita di Smirne, in Turchia.

Il vescovo di Montevideo

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Fa un passo avanti per essere iscritto al registro dei beati anche Giacinto Vera, che è stato il primo Vescovo di Montevideo. Nato il 3 luglio del 1813, in mare aperto, mentre il padre viaggiava dalle Canarie all’Urugay, fu ordinato sacerdote a 19 anni, e nel 1865 fu consacrato vescovo di Megara e nominato Vicario Apostolico dell’Uruguay. La carità di vera era proverbiale. Si racconta che alcuni Curati della sua Diocesi deposero nelle sue mani certi risparmi fatti nell' esercizio del loro ministero. Un giorno si presentarono al loro Vescovo per ritirare ciò che gli avevano consegnato, ed ebbero la seguente risposta : “Voi mi diceste che erano quelli i risparmi vostri, ed io per sicurezza di maggior frutto per voi li ho depositati in mano dei poveri delle vostre parrocchie. Gesù Cristo, che nel suo Vangelo si nomina il rappresentante dei poveri, vi renderà i vostri risparmi col cento per uno, come ha promesso.” Morì nel 1881.