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Avere mente e cuore che guardano in alto. XXXIII Domenica del Tempo Ordinario

Il commento al Vangelo domenicale di S.E. Monsignor Francesco Cavina

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Siamo ormai giunti alla fine dell’anno liturgico ed è per questa ragione che la Chiesa ci invita a volgere il nostro sguardo alla fine del tempo e della storia. Per aiutarci nella nostra riflessione la liturgia ci propone un brano del “discorso escatologico”, ossia delle “cose ultime”, fatto da Gesù. Si tratta di parole che a prima vista possono anche impaurirci perchè annunciano sia la fine della città di Gerusalemme che la fine del mondo.

La fine di Gerusalemme si è avverata alcuni decenni dopo la morte di Cristo. Nel 70 la città fu rasa al suolo dal generale romano Tito, provocando molte vittime tra gli ebrei. L’abbattimento di Gerusalemme è il simbolo, il segno certo che anche l’altra profezia si avvererà. Il cristiano, che legge la storia alla luce della fede e degli insegnamenti di Cristo, sa che il mondo è destinato a finire. Anche la scienza lo conferma. Tuttavia, il discepolo di Cristo è consapevole che la storia non va verso la fine, ma verso il “Fine”, il compimento. Gesù dunque parlandoci della fine vuole insegnarci a vivere bene il tempo con le sue contraddizioni, in vista dell’eternità.

La vita, dunque, può essere concepita come una corsa verso la fine o, invece, come una corsa verso l’incontro con il Signore. Ci saranno cataclismi, ci saranno guerre, eventi terrificanti in cielo ed in terra, anche persecuzioni per i cristiani, ma Cristo oggi ci dice che il tempo con le sue contraddizioni, con le sue paure è una preparazione all’eternità. Questo mondo è destinato alla rovina perché ne sia inaugurato uno migliore. E’ stato detto che “Il Signore arrotola i cieli non per distruggerli, ma per farli risorgere più belli”. La Sacra Scrittura parla di “cieli nuovi e di terra nuova”, vale a dire di una nuova creazione. Tutto questo diventerà realtà quando Cristo ritornerà glorioso a giudicare i vivi e i morti.

Al di là di questa storia esiste, dunque, la vita eterna.

Per il cristiano, con la nascita, la morte e la resurrezione del Figlio di Dio,  il futuro è già cominciato. Tutto il suo cammino è un procedere verso l’eternità. Questa certezza si attenua, purtroppo, nella misura in cui si affievolisce la fede. Sotto l’ influsso del razionalismo prima, del materialismo marxista dopo e del laicismo di oggi, anche non pochi credenti non pensano più alle realtà ultime (morte, giudizio, inferno, paradiso) con la conseguenza che vivono come i non credenti. La tensione escatologica rafforza l’ impegno a vivere nella quotidianità la propria fedeltà al Signore Gesù, a santificarsi, a glorificare Dio, a edificare la Chiesa, nella certezza che è l’unica scelta valida. Il giorno dell’incontro con Cristo glorioso verrà, non importa sapere quando verrà. Ciò che conta è avere mente e cuore che guardano in alto, anche per invertire la marcia di questa storia che sembra risucchiata verso il basso.

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Quando incontreremo il Signore, e quel giorno viene per tutti, ciascuno, spoglio di tutto, avrà in mano solo il suo cuore e sarà interrogato sull’amore.

Vorrei riportare come il papa emerito pensa la vita eterna: “…sono di grande consolazione e fanno molto riflettere le parole di sant’Agostino. Nel commentare il Salmo “Ricercate sempre il suo volto” dice: «Questo “sempre” vale per l’eternità». Dio è tanto grande che noi non finiamo mai di conoscerlo. È sempre nuovo. Il nostro è un moto continuo e infinito, una scoperta e una gioia sempre nuove… Contemporaneamente c’è il lato, del tutto umano, per cui sono contento di rivedere i miei genitori, i miei fratelli, i miei amici insieme e di immaginare che sarà bello come un tempo a casa nostra”. (Peter Seevald, Ultime conversazioni)