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Benedetto XVI, l’essere cristiano mi dona l’amicizia con il giudice delle mia vita

La lettera del Papa emerito che accompagna la risposta tecnica al dossier sugli abusi nella diocesi di Monaco - Frisinga

Una recente foto di Benedetto XVI e l'arcivescovo Gänswein al Mater Ecclesiae |  | Fondazione Ratzinger Una recente foto di Benedetto XVI e l'arcivescovo Gänswein al Mater Ecclesiae | | Fondazione Ratzinger

“In tutti i miei incontri, soprattutto durante i tanti Viaggi apostolici, con le vittime di abusi sessuali da parte di sacerdoti, ho guardato negli occhi le conseguenze di una grandissima colpa e ho imparato a capire che noi stessi veniamo trascinati in questa grandissima colpa quando la trascuriamo o quando non l’affrontiamo con la necessaria decisione e responsabilità, come troppo spesso è accaduto e accade”. 

La lettera che Benedetto XVI scrive a tutti a seguito della relazione sugli abusi del clero nella diocesi di Monaco e Frisinga, che lo chiama in causa, non è solo un chiarimento. Il Papa emerito mette a nudo la sua coscienza e insegna a preti e vescovi, a responsabili e singoli cristiani come tutti  davanti a Dio siamo peccatori e che solo Lui può perdonare “se con sincerità mi lascio scrutare da Lui e sono realmente disposto al cambiamento di me stesso”. Del resto, scrive Benedetto “ l’essere cristiano mi dona la conoscenza, di più, l’amicizia con il giudice della mia vita e mi consente di attraversare con fiducia la porta oscura della morte”.

Il testo si apre con la cronaca e alcuni dettagli pratici sulla comunicazione di una svista: “Nel lavoro gigantesco di quei giorni – l’elaborazione della presa di posizione – è avvenuta una svista riguardo alla mia partecipazione alla riunione dell’Ordinariato del 15 gennaio 1980. Questo errore, che purtroppo si è verificato, non è stato intenzionalmente voluto e spero sia scusabile. Ho già disposto che da parte dell’arcivescovo Gänswein lo si comunicasse nella dichiarazione alla stampa del 24 gennaio 2022. Esso nulla toglie alla cura e alla dedizione che per quegli amici sono state e sono un ovvio imperativo assoluto. Mi ha profondamente colpito che la svista sia stata utilizzata per dubitare della mia veridicità, e addirittura per presentarmi come bugiardo”. 

Non ha paura di dire le cose come stanno, Benedetto, e aggiunge: “ Tanto più mi hanno commosso le svariate espressioni di fiducia, le cordiali testimonianze e le commoventi lettere d’incoraggiamento che mi sono giunte da tante persone. Sono particolarmente grato per la fiducia, l’appoggio e la preghiera che Papa Francesco mi ha espresso personalmente. Vorrei infine ringraziare la piccola famiglia nel Monastero “Mater Ecclesiae” la cui comunione di vita in ore liete e difficili mi dà quella solidità interiore che mi sostiene”.

Archiviata la cronaca degli ultimi eventi ecco la parte più intima e personale, quando all’inizio della celebrazione della Messa “Preghiamo il Dio vivente pubblicamente di perdonare la nostra colpa, la nostra grande e grandissima colpa. È chiaro che la parola “grandissima” non si riferisce allo stesso modo a ogni giorno, a ogni singolo giorno. Ma ogni giorno mi domanda se anche oggi io non debba parlare di grandissima colpa. E mi dice in modo consolante che per quanto grande possa essere oggi la mia colpa, il Signore mi perdona, se con sincerità mi lascio scrutare da Lui e sono realmente disposto al cambiamento di me stesso”.

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La Misericordia Divina, che nasce dalla “profonda vergogna, il mio grande dolore e la mia sincera domanda di perdono”. 

Benedetto scende ancora più nel profondo, non è questione di cronaca ma di teologia: “ Sempre più comprendo il ribrezzo e la paura che sperimentò Cristo sul Monte degli Ulivi quando vide tutto quanto di terribile avrebbe dovuto superare interiormente. Che in quel momento i discepoli dormissero rappresenta purtroppo la situazione che anche oggi si verifica di nuovo e per la quale anche io mi sento interpellato”.

La grandezza della richiesta del perdono perché tutti sbagliamo. “Ben presto- scrive Benedetto-  mi troverò di fronte al giudice ultimo della mia vita. Anche se nel guardare indietro alla mia lunga vita posso avere tanto motivo di spavento e paura, sono comunque con l’animo lieto perché confido fermamente che il Signore non è solo il giudice giusto, ma al contempo l’amico e il fratello che ha già patito egli stesso le mie insufficienze e perciò, in quanto giudice, è al contempo mio avvocato (Paraclito). In vista dell’ora del giudizio mi diviene così chiara la grazia dell’essere cristiano”. 

La lettera si conclude con una immagine potente dell’ Apocalisse: Giovanni “vede il Figlio dell’uomo in tutta la sua grandezza e cade ai suoi piedi come morto. Ma Egli, posando su di lui la destra, gli dice: “Non temere! Sono io...” .