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Cardinale Backis, “la diplomazia di Giovanni Paolo II, una azione per i diritti dell'uomo"

L’arcivescovo emerito di Vilnius ha trascorso in Segreteria di Stato dal 1973 al 1988. Ad ACI Stampa racconta il senso della diplomazia di San Giovanni Paolo II

Cardinale Backis e San Giovanni Paolo II | Il cardinale Backis, appena ricevuta la berretta rossa, saluta San Giovanni Paolo II, concistoro del 21 febbraio 2001 | Youtube Cardinale Backis e San Giovanni Paolo II | Il cardinale Backis, appena ricevuta la berretta rossa, saluta San Giovanni Paolo II, concistoro del 21 febbraio 2001 | Youtube

Nei confronti dei Paesi dell’Est europeo, San Giovanni Paolo II non abbandonò la linea diplomatica che era stata portata avanti fino a quel momento. Piuttosto, la arricchì con un vigoroso lavoro a favore dei diritti dell’uomo. “Per il Papa – spiega il Cardinale Audrys Backis, arcivescovo emerito di Vilnius – l’azione diplomatica rimase un semplice, ma utile, strumento al servizio della sua missione di pastore universale”.

Il Cardinale Backis è un testimone di eccezione di quel mondo diplomatico. Il padre, Stasys, era segretario dell’ambasciata lituana a Parigi quando i sovietici invasero la Lituania, e il cardinale crebbe in esilio in Francia, divenne sacerdote nel 1961 ed entrò nella carriera diplomatica della Santa Sede nel 1964, servendo nelle Filippine, in Costa Rica, Turchia e Nigeria. Nel 1973, fu chiamato a servire nella seconda sezione della Segreteria di Stato. Vi rimase fino al 1988, quando poi fu nominato nunzio nei Paesi Bassi, mentre nel 1991 fu inviato arcivescovo di Vilnius. Nel 2001, Giovanni Paolo II lo creò cardinale.

“Quando cominciai il mio servizio in Segreteria di Stato – racconta – la Santa Sede era riuscita a risolvere alcuni problemi spinosi, come i casi dei cardinali Mindszenty e Beran. Inoltre, la Santa Sede era riuscita ad avviare contatti più o meno stabili con un buon numero di Paesi oltre Cortina, come Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, e persino ad avviare relazioni diplomatiche con la Jugoslavia nel 1970. Con l’Unione Sovietica non si era riusciti a fare quasi nulla, c’erano contatti che non portavano a un vero dialogo. A un delegato ungherese che lodava la diplomazia pontificia perché sa dire cose sgradevoli senza offendere, il Cardinale Casaroli rispose ‘avrei preferito ascoltare cose gradevoli, anche se dette in modo un po’ offensivo’.”

Si trattava – spiega il Cardinale Backis – “della diplomazia dei piccoli passi, che non fu abbandonata sotto Giovanni Paolo II, ma fu accompagnata da una vigorosa azione a favore dei diritti fondamentali dell’uomo, della libertà religiosa, della libertà della nazione, che possiede una sovranità fondamentale in virtù della propria cultura, come il Santo Padre ebbe a spiegare nel suo discorso all’UNESCO nel 1980”.

Il Cardinale Backis sottolinea che “per il Papa, l’azione diplomatica rimase un semplice, ma utile, strumento al servizio della sua missione di Pastore universale. Una attività rivolta certo a salvaguardare la libertà della Chiesa e a ottenere la nomina di buoni vescovi, ma proseguita con uno sguardo, un respiro più ampio”.

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Giovanni Paolo II avrebbe voluto andare a Vilnius per il cinquecentenario della morte di San Casimiro nel 1984, ma le autorità sovietiche non accolsero il suo desiderio. Il Papa, racconta il Cardinale Backis, “lo dichiarò pubblicamente all’Angelus del 26 agosto 1984, e mentre precedentemente aveva invitato tutte le Conferenze Episcopali Europee ad inviare un rappresentante alla Cappella Papale del 3 marzo 1984”. Durante quella Messa, il Papa “ricordò al mondo che la Lituania appartiene alla famiglia delle nazioni europee”.

Per quanto riguarda l’Unione Sovietica, “non vi furono progressi nel campo diplomatico fino al 1988 quando il Cardinale Casaroli si recò a Mosca per celebrare il Millennio del Battesimo della Russia ed incontrò Michail Gorbaciov e l’allora ministro degli Esteri Shevernadze”.

La Santa Sede aveva partecipato alla Conferenza di Helsinki, su invito tra l’altro dell’Unione Sovietica, e il lavoro diplomatico fatto aveva portato a inserire il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali tra i principi che reggono le relazioni tra gli Stati. Il Cardinale Backis ricorda che quella partecipazione era “considerata come un successo”, e anche il seguito della Conferenza, che “prevedeva uno scambio di veduto sull’attuazione delle disposizioni dell’Atto Finale e permettevano alla Santa Sede di tornare sulla questione delle violazioni dei diritti umani e della libertà religiosa”.

Così, continua il Cardinale, “San Giovanni Paolo II ne approfittò per enucleare i requisiti di una vera libertà religiosa sul piano personale e comunitario nel messaggio ai capi di Stato dei Paesi firmatari dell’Atto Finale di Helsinki, divulgato nel 1980”.

Ritornando a parlare della Lituania, il Cardinale Backis si rammarica che non ci furono progressi significativi, mentre il Gruppo di Helsinki fondato in Lituania fu rapidamente liquidato. Non vi furono miglioramenti nel campo della legislazione in materia religiosa. La Santa Sede ottenne solo la possibilità di inviare le encicliche del Papa tradotte in lituano e stampati in Vaticano e carta (Fabriano) per stampare il Messale. Forse si riuscì a favorire i contatti fra la Santa Sede ed i Vescovi. Nel 1983 vi fu la prima visita ad limina dei Vescovi lituani”.

Nota il Cardinale Backis: “Sul piano diplomatico non si poteva fare di più. Anche le trattative per la nomina dei Vescovi in Lituania si svolsero tramite il Vescovo che otteneva il permesso di recarsi in Vaticano e proponeva i candidati approvati dall’Ufficio per i Culti”.

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