Sviluppare la responsabilità di proteggere, ed esaltare il ruolo dei leader religiosi nel prevenire i crimini e le atrocità. In un intervento del 20 settembre al summit sulle migrazioni presso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il Cardinale Pietro
Parolin, Segretario di Stato vaticano, esalta il ruolo dei leader religiosi, i primi chiamati a lavorare sul territorio e far sì che non avvengano crimini e atrocità.

Si chiama “responsabilità di proteggere” ed è uno dei leitmotiv delle diplomazia vaticana guidata dal Cardinale Pietro Parolin. E alla responsabilità di proteggere è dedicato un “side event” alle Nazioni Unite, cui la delegazione della Santa Sede è invitata a partecipare.

Sono molte le atrocità (dal genocidio alla persecuzione delle minoranze) che colpiscono l’umanità in differenti aree, e in generale si dà spesso una responsabilità alle religioni. Ma non è la posizione della Santa Sede, che invece rivendica l’importanza delle religioni nell’affrontare queste problematiche.

“Di fronte a questi gravi crimini – dice il Cardinale – c’è una grave responsabilità, prima degli Stati nazionali e poi della comunità internazionale. Oggi, come nel passato, le religioni vengono manipolate per spingere all’intolleranza e all’odio contro individui, gruppi e intere popolazioni”.

E allora si deve riflettere sulla “responsabilità dei leader religiosi” nell’aiutare a “contrastare la diffusione di odio e violenza in nome delle religioni” e di “promuovere società più pacifiche e inclusive”.

Il capo della diplomazia vaticana – consapevole dell’urgenza della situazione – riparte dal tema della “responsabilità di proteggere” che è fatta – documenti internazionali alla mano – di tre pilastri, il cui più importante è quello della prevenzione dei crimini
e della sollecitazione a tali crimini.

Spiega il Cardinale Parolin che la responsabilità “cade primariamente, ma non esclusivamente, sulle autorità nazionali”, ma anche la comunità internazionale è chiamata ad aiutare gli Stati nello sviluppare la responsabilità di proteggere, e questo incoraggiamento può prendere varie forme. Tra queste, “il dovere di evitare di rinfocolare la tenione e i conflitti in Stati terzi, cosa che potrebbe costituire il preludio, lo scenario o anche di più il terreno fertile in cui commettere gli odiosi criini in questione”.

Un dovere che riguarda non solo l’evitare di rifornire armi, finanziamenti o altri tipi di assistenza a quanti perpetuano questi crimini, ma riguarda anche la necessità di “prendere misure positive per porre fine al traffico di armi e finanziamento che può direttamente o indirettamente aiutare nel commettere crimini di atrocità”.

Certo – argomenta il cardinale – si può obiettare che “se le autorità nazionali hanno il dovere di prevenire l’istigazione a commettere tali crimini”, in un mondo “anche più connesso attraverso le comunicazioni sociali” le “autorità degli Stati terzi dovrebbero evitare di promuovere ideologie che incitano all’intolleranza, l’odio, la violenza, disprezzo per la vita e negazione della dignità della persona umana”.

Sfortunatamente, queste ideologie” si riferiscono spesso alla religione”, al punto che l’intolleranza religiosa “è stata usata per istigare all’odio”, con conseguenze estreme che hanno portato a genocidi, crimini di guerra, pulizie etniche.

Questo può portare a non comprendere le “reali cause” di queste “deprecabili azioni” attribuendone le “cause alla religione”. E allora il Cardinale Parolin riafferma che “tutte le religioni aspirano alla pace”, e ricorda il primo incontro tra le religioni di Assisi del 1986, in cui tutte le religioni si sono impegnate ad essere operatori di pace.

“E’ chiaro – dice il Segretario di Stato – che le religioni non sono la cause di queste devianze, che provengono invece da interessi di tipo politico, geopolitico ed economico e dal desiderio di pace e dominazione”. E d’altra parte – aggiunge il Cardinale – i “leader religiosi hanno una responsabilità morale” che consiste nel mettere in luce “tutte le circostanze in cui si affermano i principi e i valori etici scritti nel cuore umano da Dio”, e nella vocazione a “ispirare azioni che aiutino a costruire una società basata sul rispetto per la vita e la dignità umana, la carità, la fraternità (che va oltre la tolleranza) e la fraternità”.

Questo impegno “diventa una azione preventiva sempre valida”, anche quando non ci sono conflitti, ma che è ancora più importante “quando ci sono tensioni che potrebbero portare a forme più o meno intense di intolleranza religiosa”. Per questo, il Cardinale Parolin chiede urgentemente ai leaders religiosi di condannare “senza alcun ritardo tutte le forme di abuso di religione o dei testi religiosi che può giustificare la violenza e la violazione della dignità umana portata avanti in nome di Dio e della religione”.

Ma i leaders religiosi “hanno bisogno che le autorità nazionali riconoscano e assicurino la libertà religiosa come un diritto umano fondamentale” perché “confinare le religioni nella sfera intima delle persone” mette a rischio lo sviluppo e una cultura
di intolleranza”. La comunità religiosa – chiede il Cardinale Parolin – deve dunque “assicurare una interpretazione appropriata del diritto alla libertà religiosa nella legge internazionale”, e si devono rifiutare “interpretazioni restrittive che relegano la religione a una sfera meramente privata”.

Insomma – conclude il Cardinale – se “la religione è erroneamente considerata essere causa di intolleranza violenza e odio, c’è anche la tendenza di credere che relegarla nella sfera privata possa portare ad eliminare l’intolleranza religiosa”, un
ragionamento “debole alle radici” e anche “controproducente”, perché “invece di incoraggiare le persone “ a comprendere la fede dell’altro” facilita piuttosto “il rifiuto di ciò che è diverso”.

È questa la posizione della Santa Sede: fare in modo che si comprenda il ruolo delle religioni, con la speranza che “lo sforzo combinato dei leaders e di tutte le persone di buona volontà” renda possibile “un giorno di porre fine alle atrocità”.