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Caso Rupnik, i gesuiti rendono più restrittive le misure contro di lui

Con una dichiarazione resa nella mattinata, la Direzione Internazionale dei Gesuiti rende noto che ci sono altre testimonianze e che il gesuita ha sempre rifiutato di riferire

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I gesuiti hanno pubblicato nella mattinata una dichiarazione che restringe le misure restrittive su padre Marko Rupnik, sottolinea che le testimonianze di abusi sono state variegate e afferma che padre Rupnik ha sempre rifiutato di riferire al team che i gesuiti hanno stabilito per definire la questione degli abusi.

Si legge nelle dichiarazione che “il Team Referente per casi di denunce nei confronti di gesuiti della Delegazione per le case e opere Interprovinciali Romane della Compagnia di Gesù (DIR) ha ricevuto diverse nuove testimonianze e denunce riguardanti padre Marko Rupnik”, e riferiscono che le persone sono davvero “dei sopravvissuti”, e “molte di queste persone non hanno conoscenza le une delle altre e i fatti narrati riguardano periodi diversi (Comunità Loyola, persone singole che si dichiarano abusate in coscienza, spiritualmente, psicologicamente o molestate sessualmente durante personali esperienze di relazione con padre Rupnik, persone che hanno fatto parte del Centro Aletti)”.

Questo rende le accuse “molto credibili”, si legge ancora nella dichiarazione. Si spiega che “i comportamenti di padre Rupnik denunciati hanno avuto luogo in diversi periodi tra la metà degli anni ’80 al 2018.  coprono un arco temporale di più di trent’anni”, e che padre Rupnik ha sempre rifiutato di incontrare il team, che ha comunuque redatto “un dossier esaustivo del proprio lavoro”, che include anche “diverse possibilità relative a ulteriori procedimenti legali civili e canonici e dalle proprie indicazioni e raccomandazioni alla Compagnia sui possibili passi da adottare”.

Secondo il padre delegato Padre Johan Verschueren SJ, “la natura delle denunce pervenute tende a escludere la rilevanza penale, di fronte alla autorità giudiziaria italiana, dei comportamenti di padre Rupnik”, ma che questi hanno una rilevanza “da un punto di vista canonico e concernete al sua vita e la sua responsabilità religiosa e sacerdotale”.

Spiegano i gesuiti che lo studio del team “equivale alla raccolta delle primissime informazioni che di solito un Superiore Maggiore intraprende, per determinare se si tratta di reclami ragionevoli con un possibile fondo di veridicità”. Dopo questo primo giro, se le informazioni sono attendibili, si seguono diverse vie.

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O il “il denunciato è formalmente informato della denuncia (o delle denunce) e della procedura giuridica che sarà adottata”, e dunque le misure cautelari sono formalmente imposte dal Superiore Maggiore oppure sono già in vigore.

Oppure, “se in una denuncia c’è il sospetto che sia stato commesso un delitto più grave contro il sacramento della penitenza (assoluzione del complice nel peccato contro il sesto comandamento, sollecitazione a un peccato contro il sesto comandamento nell’atto o in occasione dalla confessione, violazione diretta o indiretta del sigillo sacramentale…), la denuncia deve essere presentata al Dicastero per la Dottrina della Fede della Santa Sede (DDF)”

Anzi, “è competenza esclusiva del DDF stabilire cosa fare della denuncia. Per esempio, il DDF può chiedere all’autorità religiosa (in questo caso la Compagnia di Gesù) di condurre un processo amministrativo penale per arrivare, se possibile, a una certezza morale rispetto alla colpevolezza o all’innocenza dell’accusato”.

Questo passaggio della procedura riguarda anche, indirettamente, la notizia avuta della scomunica latae sententiae di Rupnik, una vicenda ancora non chiara nei dettagli.

“Si noti – scrivono i gesuiti - che nella scelta di questa procedura, l’attenzione si concentra sul delitto relativo al sacramento e non su altri abusi che non sono di competenza del DDF, anche se possono essere intrecciati con esso

Se invece non c’è motivo di portare niente al dicastero, “il Superiore Maggiore del gesuita accusato può verificare se nelle denunce e nelle testimonianze vi siano elementi che riguardano direttamente la vita religiosa e i voti religiosi, o se la buona reputazione dell’ordine religioso e della Chiesa sia stata compromessa dal comportamento del gesuita in questione, e se alcuni fedeli abbiano subito qualche forma di abuso e danno”.

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C’è comunque l’invito ad un colloquio del denunciato, che non è avvenuto perché Rupnik avrebbe rifiutato di riferire.

Il Superiore può imporre ogni tipo di restrizione ministeriale, e “se il dossier mette in evidenza degli atteggiamenti che sono motivo di dimissione necessaria (c. 695) o facoltativa (c. 696) dall’istituto religioso, il Superiore Maggiore può decidere di avviare un procedimento di dimissione dalla Compagnia di Gesù”.

Resta fermo il diritto dell’accusato di difendersi. Se invece “gli atteggiamenti denunciati corrispondo a un delitto che non è di competenza del DDF, il Superiore Maggiore può decidere, sulla base del CIC Can. 1720 ecc., di avviare un procedimento penale amministrativo. Anche questo procedimento può portare, tra l’altro, alla dimissione dell’accusato. Tuttavia, per certi delitti, il Superiore Maggiore alla fine del processo può anche decidere di non procedere alla dimissione dall’istituto, ma di adottare altre misure”.

La decisione finale di p. Johan Verschueren, confermato “che la varietà delle testimonianze ricevute, unite, a quanto già conosciuto, dimostra come le stesse debbano essere prese in seria e piena considerazione”, è di “procedere con delle misure che assicurino che situazioni analoghe a quelle riferite non abbiano a verificarsi”, e dunque di “promuovere un procedimento interno alla Compagnia ove lo stesso p. Rupnik possa fornire la propria versione dei fatti (cosa che non ha fatto nei confronti del Team Referente, sebbene invitato)”. È un procedimento che “potrà sfociare in un provvedimento disciplinare”.

Nel frattempo, il delegato “ha reso più rigide le norme restrittive nei suoi confronti vietandogli per obbedienza qualunque esercizio artistico pubblico, in modo particolare nei confronti di strutture religiose (come ad es. chiese, istituzioni, oratori e cappelle, case di esercizi o spiritualità)”.

Le restrizioni si aggiungono “a quelle già attualmente in vigore (divieto di qualunque attività ministeriale e sacramentale pubblica, divieto di comunicazione pubblica, divieto di uscire dalla Regione Lazio)”.

Inoltre, viene sottolineato che “come Compagnia di Gesù, abbiamo il dovere di affrontare seriamente questi casi ed altri simili che si sono presentati e si presentano, a rispetto e tutela della verità e della giustizia per tutte le parti in causa”.

Padre Verschueren sottolinea di sentire “il dovere di affrontare seriamente questo caso e altri simili che si sono presentati e si presentano, per rispetto e tutela della verità e della giustizia per tutte le parti in causa”.

Conclude la dichiarazione che padre Rupnik “è stato informato della natura e del contenuto delle accuse, e pure, è stato informato della decisione presa. Il Team Referente ha così anche inviato alle persone denuncianti e ai testimoni notizia di questa decisione da parte di padre Verschueren”.