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Chiara Lubich e Madre Teresa, il racconto di una amicizia

Saluto tra Madre Teresa di Calcutta e Chiara Lubich al Giubileo dei Giovani, Roma 14 aprile 1984. |  | Centro S. Chiara Audiovisivi Saluto tra Madre Teresa di Calcutta e Chiara Lubich al Giubileo dei Giovani, Roma 14 aprile 1984. | | Centro S. Chiara Audiovisivi

«Tu fai quello che io non posso fare. Io faccio ciò che tu non puoi fare»[1], questo era il saluto abituale di Madre Teresa di Calcutta a Chiara Lubich ogni volta che la incontrava, e le occasioni sono state molte.

Parole che narrano la “semplice complessità” della loro amicizia, «grande, intima, profonda» dirà la Lubich.

Così questa descrive il loro incontro avvenuto a fine maggio 1997, presso una povera palazzina del Bronx, a New York, in una cella del convento delle Missionarie della Carità.

«Ebbi un colloquio con lei prolungato e indimenticabile. Era a letto con forti dolori alla schiena, in un ambiente povero (…). L’incontro era stato un’eccezione date le sue precarie condizioni di salute. Privato, gioiosissimo. (…) Poi cominciò a parlare e parlare. Era la fondatrice di un’Opera di Dio che parlava ad un’altra, ben più indegna, e poteva comunicarle i frutti di tutta la sua vita: case di vita contemplativa e attiva (...), diffusione in 120 paesi, progetti ostacolati da governi (…). Parlava del quarto voto che prevede di servire con tutto il cuore i più poveri dei poveri, dei moribondi accompagnati in Paradiso (…). Era il suomagnificat. I pochi minuti concessi dal medico diventarono venti. Peccato che non si sia potuta scattare nessuna foto della Vita che c’era in quella stanza, di quel colloquio che aveva sapore di Paradiso. Poi ci lasciammo, abbracciandoci. Non dimenticherò mai quel volto e quella gioia (…). Sono contenta di averla conosciuta e di averla avuta così vicino. Ho cominciato a pregare non tanto per lei, ma lei per tutti noi».[2]

E aggiungeva in un’altra occasione: «Ha realizzato quello che il Papa [Giovanni Paolo II] definisce genio femminile, che sta proprio in ciò che Maria aveva di caratteristico. Lei non era tanto investita da un ministero, ma (...) era investita dall’amore, dalla carità, che è il più grande dono, il più grande che viene dal cielo»[3].

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In un collegamento telefonico con i membri dei Focolari nel mondo il 25 settembre 1997, Chiara Lubich diceva di lei: «Madre Teresa è (...) una maestra eccelsa dell’arte di amare.

Amava veramente tutti. Non chiedeva al suo prossimo se era cattolico o indù o musulmano, ecc. (...)

Madre Teresa amava senz’altro per prima. Era lei che andava a cercare coloro per i quali era stata inviata da Dio.

Madre Teresa vedeva, come forse nessun altro, Gesù in ognuno: “L’hai fatto a me” era appunto il suo motto.

Madre Teresa si faceva uno con tutti. S’è fatta povera con i poveri, ma soprattutto come i poveri. Ed è qui che si differenzia dalla semplice assistente sociale (...) o da chi è dedito al volontariato.

Non accettava nulla che non potessero avere anche i poveri.

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E’ nota, ad esempio, la sua rinuncia e quella delle sue suore ad una semplice lavatrice, rinuncia che molti non comprendono – dicono infatti: in questi tempi! -, ma lei faceva così perché i poveri non ce l’hanno e quindi non voleva averla nemmeno lei.

S’è addossata, ha fatto propria la miseria dei poveri, le loro pene, le loro malattie, le loro morti.

Madre Teresa ha amato tutti come se stessa, sino ad offrire loro il proprio ideale. Invitava, ad esempio, i volontari che prestavano per un certo tempo servizio alla sua Opera, a cercare la propria Calcutta là dove ognuno tornava. Perché i poveri - diceva - sono un po’ dovunque.

Madre Teresa ha senz’altro amato i nemici. Non s’è mai fermata a contestare le accuse assurde che le si rivolgevano, ma pregava per i nemici»[4].

Due giorni prima, alla comunità dei Focolari dell’Emilia Romagna radunata a Rimini, Chiara confidava: «Ho ammirato Madre Teresa in modo specialissimo per la sua determinazione. Aveva un ideale: i più poveri fra i poveri. E vi è rimasta fedele. Tutta la vita ha puntato su quest’unico obiettivo. Anche in questo è per me un modello di fedeltà all’ideale che Dio mi ha affidato».