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Cosa ha fatto il Cardinale Bechara Rai in Arabia Saudita?

Cardinale Rai e Papa Francesco | Il Cardinale Bechara Rai, patriarca dei cattolici maroniti del Libano, a colloquio con Papa Francesco nella Biblioteca del Palazzo Apostolico, 23 novembre 2017 | L'Osservatore Romano / ACI Group Cardinale Rai e Papa Francesco | Il Cardinale Bechara Rai, patriarca dei cattolici maroniti del Libano, a colloquio con Papa Francesco nella Biblioteca del Palazzo Apostolico, 23 novembre 2017 | L'Osservatore Romano / ACI Group

Tre giorni in Arabia Saudita, prima di partire alla volta di Roma per partecipare alla plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura. Quella del Cardinale Bechara Boutros Rai, patriarca di Antiochia dei Maroniti, è stata una visita storica, che solo per un accidente è coincisa con le dimissioni del premier Saad Hariri proprio mentre questi era in territorio saudita.

A Riyadh, il patriarca Rai ha incontrato re Salman, il principe ereditario Mohammed bin Salman e il dimissionario Hariri, insieme ai vescovi maroniti Boulos Matar e Boulos Abdelsater, e alla presenza di quattro ministri sauditi. Sono stati tutti incontri a porte chiuse, a volte brevi, ma tutti significativi.

Si è trattato della prima visita di un alto ufficiale cattolico in una terra considerata “santa” dall’Islam perché sede della Mecca e di Medina, e dove per questo non è consentita la costruzione di chiese né la celebrazione in riti diversi. Il Cardinale Bechara Rai ne ha presumibilmente parlato con Papa Francesco ieri. Ed ha anche raccontato ad ACI Stampa alcuni dettagli.

Eminenza, perché è stato in Arabia Saudita?

Perché ho ricevuto un invito ufficiale dal re, e ho accolto questo invito. Sono stato accolto quasi come un capo di Stato: sono stato ricevuto nel Saudi King Palace, e sono sempre stato accompagnato dalla scorta necessaria. Ho avuto un protocollo molto ufficiale.

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Che è coinciso proprio con la permanenza a Ryadh dell’ex premier libanese Saad Hariri, che ha annunciato le sue dimissioni il 4 novembre quando era in territorio saudita, e lì è rimasto…

La mia visita è stata naturalmente collegata, ma non c’è niente di vero. L’invito, e il periodo della mia visita, è stato deciso prima. Di certo, la particolare situazione ha dato più importanza al viaggio. Ho dovuto anche parlare della questione del ritorno del Primo Ministro in Libano. Le autorità saudite mi hanno fatto capire che loro incoraggiavano il ritorno in libano dell’ex primo ministro, e che non corrispondevano a verità le voci che volevano il primo ministro detenuto, arrestato, o impedito di venire. Mi hanno chiesto di convincerlo a rientrare in patria.

Quindi, durante la sua visita ha parlato anche con Saad Hariri?

Sì, ho avuto l’occasione di parlare con lui. Mi ha confermato che era libero di tornare, e io gli ho proposto di tornare con me, e di andare sia dal presidente della Repubblica che poi insieme in Vaticano per rendere conto alla Segreteria di Stato del suo gesto, perché anche la Segreteria di Stato mi chiedeva sempre della situazione. Mi ha detto che avrebbe dovuto regolare alcune cose, poi mi ha chiamato che sarebbe tornato in due giorni, e in effetti un paio di giorni dopo il nostro incontro si è mosso verso Parigi con la famiglia.

Ma cosa è significato questo storico viaggio a Ryadh?

Rappresenta una grande apertura da parte dell’Arabia Saudita, da parte del re e del principe ereditario. C’è da dire che ci sono grandi rapporti amichevoli tra l’Arabia Saudita e il Libano. In Arabia Saudita c’è una grande comunità libanese, molto rispettata, e il patriarcato e il re hanno avuto molta corrispondenza, tanto che già quattro miei predecessori avevano stabilito dei buoni contatti. Ma io sono il primo ad essere stato invitato. La mia presenza lì ha creato grande apertura a livello di dialogo interreligioso, ma soprattutto a livello di contatti tra la Chiesa e l’Arabia Saudita.

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Quale è la situazione della libertà religiosa in Arabia Saudita?

Sinora l’Arabia Saudita non riconosce la possibilità di avere chiese e di praticare il cattolicesimo. I cattolici lo fanno, o nelle ambasciate o nella nunziatura apostolica, ma discretamente. I sauditi sanno e fanno finta di non sapere. Per il momento non è permesso di avere l’esercizio della religione cristiana.

Ha parlato di questo con il principe ereditario?

Ho notato con il principe ereditario che la mia presenza era un segno di grande apertura. Questi ha risposto testualmente: oggi i tempi sono cambiati, non siamo all’inizio dell’islam, ormai l’Islam è sparso nel mondo intero, noi dobbiamo aprirci alle altre culture, alle altre religioni e bisogna avere un altro stile di vita.

Lei cosa ha risposto?

Non sono andato oltre per parlare di Chiesa o non presenza della Chiesa. Ho detto: “Voi avete il vostro centro per il dialogo interreligioso a Vienna, il famoso centro del re Abdallah, il KAICIID (la Santa Sede vi partecipa come Stato osservatore, ndr) e voi esercitate questo dialogo già attraverso questo centro a Vienna”. Era un modo di dire indirettamente che era il caso di avere anche in patria questo dialogo interreligioso.

Il Libano che ruolo può avere?

Ho spiegato al re che il Libano è un luogo di dialogo, perché lì cristiani e musulmani vivono con uguale dignità, separano religione e Stato, partecipano insieme al potere. Il Libano è un modello. È il luogo migliore per avere il centro del dialogo interreligioso delle religioni, delle culture e delle civiltà.

Cosa è il Libano per i cristiani del Medio Oriente?

Per loro, il Libano rappresenta un faro di speranza a causa di questa convivialità tra cristiani e musulmani, hanno uguaglianza di diritti, c’è sempre speranza che questa corrente possa arrivare un giorno a questi Paesi. Però è venuta la guerra a fare emigrare tanti cristiani, ad avere grande paura. Non facciamo altro che incoraggiarli a rimanere, diciamo loro che siamo qui da 2000 anni. Tutto il Medio Oriente, inclusa l’Arabia Saudita, era cristiana. Una cultura cristiana, che c'era già 600 anni prima dell’Islam. Non possiamo lasciarli così facilmente.

Di certo, la situazione è difficile…

Noi diciamo parole, ma quando ci sono la guerra, la paura, la crisi economica, la diaspora, le parole non bastano. Ciononostante chiediamo a tutti quelli di buona volontà di rimanere sul posto, anziché di venire da noi. Perché quello che sta accadendo distrugge due volte: la prima volta si distrugge la presenza, la seconda volta si distrugge la civiltà e la cultura.

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L’ultimo viaggio di Benedetto XVI è stato in Libano, e lì consegnò l’esortazione apostolica Ecclesia in Medio Oriente, che già prevedeva la situazione. Perché la Chiesa non è stata ascoltata?

Io l’ho detto dall’inizio: il Sinodo per il Medio Oriente è stato un atto profetico di Bendetto XVI. Papa Francesco ha definito questa guerra un “commercio di armi”. Non c’è coscienza, la coscienza è morta. Gli Stati cercano i loro interessi, economici, politici e strategici e quindi commerciali e quindi la Chiesa per loro non importa. Uno dei presidenti di uno dei più grandi Stati, di cui non faccio il nome, mi ha detto “Il Papa può dire quello che vuole, noi facciamo quello che vogliamo”. Comunque la Chiesa deve parlare per scuotere le coscienze. Non può mai stare zitta. Lo ha detto Giovanni Paolo II. Non può rimanere con le braccia incrociate. La Chiesa deve parlare, deve riscuotere le coscienze.