In questa domenica di Pasqua - dedicata alla preghiera per le vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa - la Chiesa propone alla nostra riflessione un brano del capitolo 10 del Vangelo di san Giovanni, dove Gesù applica a sé l’immagine del buon Pastore che è molto presente nei testi dell’Antico testamento.

Attraverso la parabola Gesù descrive il tipo di rapporto che esiste tra Lui e li discepoli che gli appartengono. Dichiara: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”. Questa affermazione ci porta a riconoscere che l’esperienza cristiana nasce innanzitutto dall’ascolto del Signore che parla, al quale fa seguito l’accoglienza della Parola detta che muove la volontà ad intraprendere un cammino di sequela, cioè di reciproca conoscenza e amicizia tra il Signore e l’uomo. Il discepolo, in definitiva, si qualifica come uno che riconosce un solo Maestro e Pastore, Cristo, e possiede un solo legame assoluto, da cui tutti gli altri legami prendono senso.

Gesù pretende tale assolutezza perché ha dato la sua vita per le pecore, cioè per noi. Ha accettato, Lui il Figlio di Dio, di divenire il Crocifisso che ha portato “i nostri peccati sul suo corpo” e dalla cui piaghe siamo guariti. Le ferite dei chiodi nelle mani e nei piedi ed il colpo di lancia nel fianco testimoniano che Dio non ci ha amati per scherzo. Poiché il Signore ha fatto tutto questo per noi, ha anche la giustificata pretesa di essere il buon Pastore, cioè Colui che è in grado di guidarci, con sicurezza e senza indugio, a perseguire il fine ultimo dell’esistenza umana, cioè la piena comunione di vita con Lui. Scrive l’Imitazione di Cristo: Chi abbraccia Gesù non potrà più essere scosso per tutta l’eternità. Ama lui e abbilo sempre amico: quando tutti ti abbandoneranno, lui solo non ti abbandonerà; e sarà lui a salvarti dalla rovina”. 

Si segue Gesù, dunque non perché promette ed assicura dei beni terreni e materiali, ma perché ci dice in maniera chiara e forte che se noi ci affidiamo a Lui avremo la possibilità di vivere al riparo del male e godere di una vita indistruttibile. Il Signore assicura a chi lo segue ciò che nessun uomo e nessun potere mondano è in grado promettere ad una persona: la sconfitta della morte e la felicità eterna. Certo anche per coloro che appartengono a Gesù la vita terrena finisce inesorabilmente con la morte, ma i suoi discepoli sanno che non saranno annientati perché parteciperanno della sua gloriosa resurrezione e saranno accolti nella vita che non tramonta mai, che è comune al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo.