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Cristobal Lopez, un cardinale per “rendere visibili gli invisibili”

L’arcivescovo di Rabat parla della sua prossima creazione a cardinale. “Non è un riconoscimento a me, ma a tutta una Chiesa e una regione che resta invisibile”

Il prossimo cardinale Cristobal Lopez, arcivescovo di Rabat Foto: Daniel Ibanez / ACI Group | Il prossimo cardinale Cristobal Lopez, arcivescovo di Rabat | Foto: Daniel Ibanez / ACI Group Il prossimo cardinale Cristobal Lopez, arcivescovo di Rabat Foto: Daniel Ibanez / ACI Group | Il prossimo cardinale Cristobal Lopez, arcivescovo di Rabat | Foto: Daniel Ibanez / ACI Group

È arcivescovo di Rabat dal marzo 2018, dopo una vita spesa in missione, prima in Sudamerica, e in particolare in Paraguay e Bolivia, e dopo in Marocco dal 2003 al 2010, e poi da vescovo a marzo 2018 dopo una parentesi nella natia spagna. E lì ha potuto accogliere Papa Francesco durante il viaggio in Marocco. Cristobal Lopez Romero, salesiano, giornalista di formazione, è uno dei tredici cardinali che Papa Francesco creerà nel concistoro del 5 ottobre. Ma, ammonisce, la berretta rossa che gli viene consegnata non è per lui, ma per tutta la Chiesa del Maghreb. Una Chiesa quasi invisibile, che Papa Francesco ha reso visibile.

La sua creazione a cardinale è stata considerata dalla stampa marocchina come un segno di attenzione per Papa Francesco nei confronti del Marocco. Lei come ha letto la scelta di Papa Francesco di crearla cardinale?

Sono state fatte molte letture, alcune di tipo ecclesiale. Ma ho detto sempre che il Papa ha voluto fare un occhiolino al Regno di Marocco e al suo re. È come se Papa Francesco avesse voluto dire grazie al popolo marocchino per l’accoglienza che mi ha dato, grazie per il lavoro che fate per diffondere un Islam moderato, aperto e moderno. Grazie per il lavoro che avete fatto e continuate a fare per le popolazioni migranti. Credo questa sia una lettura legittima. Certo, non la sola lettura.

E per quanto riguarda le letture ecclesiali, quanto è importante avere un cardinale in Marocco adesso?

Io non parlerei soltanto del Marocco, ma parlerei delle Chiese del Maghreb e cioè della Conferenza Episcopale della Regione Nordafricana. Questa comprende Libia, Tunisia, Algeria e il Marocco. È una forma di fare visibile delle Chiese che erano quasi invisibili. Il Papa ha conosciuto il lavoro che queste Chiese fanno e ha voluto metterle in luce, perché altre Chiese possano approfittare della nostra esperienza. Siamo una Chiesa molto piccola, insignificante per il numero, ma abbiamo un messaggio da comunicare e condividere con tutta la Chiesa universale. C’erano tantissimi cristiani e vescovi e preti che non sapevano che nel Nord Africa c’erano delle comunità cristiane, delle diocesi, delle Chiese. La mia creazione a cardinale contribuisce a far conoscere delle Chiese che erano praticamente sconosciute. Il Papa ha fatto visibile una Chiesa che era quasi invisibile.

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La scorsa settimana, la Conferenza Episcopale del Nord Africa ha deciso di riunirsi a Roma. C’è stato un motivo particolare?

È stata piuttosto una difficoltà nell’ottenimento dei visti per entrare in Algeria. I vescovi della Tunisia non sono riusciti, così come alcuni dal Marocco, ma volevano essere tutti. Già il vescovo della Libia non può venire a causa della guerra che si svolge nel Paese. Allora abbiamo dovuto venire a Roma per questioni pratiche.

Quali sono le sfide delle Chiese della Conferenza Episcopale del Nord Africa? Si è trattato di un anno particolare, c’è stata la beatificazione dei martiri di Algeria, il viaggio di Papa Francesco in Africa…

Una sfida che abbiamo è continuare nel dialogo interreligioso, migliorare le nostre relazioni con i differenti Stati, riuscire a dare alle nostre Chiese uno statuto di esistenza giuridica in ogni Paese che rende possibile una esistenza pubblica, in tutte le dimensioni della vita cristiana, dall’educazione in poi. Abbiamo parlato anche della questione degli abusi nella Chiesa, perché è una indicazione della Santa Sede per tutto il mondo. Abbiamo affrontato il tema, abbiamo parlato di un documento che ci dia delle linee guida di azione in caso avvengano casi del genere.

Sei mesi dopo la visita di Papa Francesco in Marocco, si sente ancora parlare di questa visita?

Sì, si sente parlare. È stata una esperienza intensissima. Nella Festa del Trono, per i venti anni di “ascensione” al trono di Muhammad VI, ho potuto salutare personalmente il re. Prima di ascoltare quello che avevo da dire, quando mi ha visto ha detto: “Il ricordo della visita del Papa sarà indimenticabile”. Dal punto di vista civile, politico, religioso, di dialogo interreligioso, la visita del Papa avrà conseguenze nei prossimi 25-30, come già fu per la visita di San Giovanni Paolo II nel 1985. Gli effetti della visita di San Giovanni Paolo II sono durati fino ad oggi, ancora noi lavoriamo sui due interventi che Giovanni Paolo II aveva fatto nello stadio con i giovani musulmani e nell’omelia della Messa con i cristiani. Ci sono degli orientamenti che ci sono serviti per trenta anni, non solo per il Marocco, ma anche per la Tunisia, anche per l’Algeria. Io penso che adesso sarà la stessa cosa. Il Concilio Vaticano II è finito cinquanta anni fa e ancora stiamo cominciando a comprendere qualche cosa. Dunque la visita del Papa avrà delle conseguenze a lungo termine.

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Quali sono le indicazioni più importanti che vi ha lasciato la visita di Papa Francesco?

Una, molto importante, è accettare con gioia la nostra situazione di essere minoranza. Ci ha detto: non è un problema essere pochi, il problema sarebbe essere insignificanti, essere sale che ha perso il suo sapore, essere luce che non illumina ogni persona. Siamo chiamati ad accettare con gioia questa realtà in cui viviamo, a non farsi un problema di questo, e andare avanti. Altro tema è il dialogo interreligioso come cammino di costruzione del Regno di Dio come missione della Chiesa: favorire il dialogo interreligioso per fare del mondo un mondo fraterno, per promuovere la fraternità umana. C’è qui un richiamo al documento sulla Fraternità Universale firmato ad Abu Dhabi da Papa Francesco lo scorso 4 febbraio. Terzo tema è essere segno della tenerezza di Dio verso i più poveri, e concretamente verso coloro che migrano. Per questo, Papa Francesco ha voluto durante il suo viaggio ha voluto incontrare i migranti e anche i più poveri dei marocchini, andando nel centro delle Figlie della Carità. Io penso che queste tre cose sono veramente importanti.

Cosa ha detto al Papa che lo ha convinto a crearla cardinale? Lei ha fatto con lui il viaggio verso il centro delle Figlie della Carità, ha potuto passare un lungo tempo di dialogo insieme…

Io non ho detto niente per essere cardinale. Io gli ho raccontato come era la nostra Chiesa. Ho avuto il privilegio di essere cinquanta minuti con il Papa, come cardinale non credo avrò una udienza privata così lunga. Ma le circostanze hanno voluto che noi fossimo seduti insieme nel sedile posteriore, parlando nella nostra lingua, lo spagnolo, in tutta fraternità. Ma io non penso questo abbia influenzato la mia creazione a cardinale. Non sono creato cardinale per nomina personale, per Cristobal Lopez. È per la Chiesa nel Marocco e nel Maghreb, perché non è normale che io divenga cardinale dopo un solo anno e mezzo di episcopato. Papa Francesco ha voluto confermare nella fede il percorso, la traiettoria delle Chiese maghrebine e dirci che siamo nel buon cammino. Questo ha voluto dire Papa Francesco dandomi la berretta rossa. Non è un riconoscimento personale.