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Dal Vaticano le linee guida per far tornare a vivere le chiese dismesse

Una chiesa di Maastricht trasformata in Hotel  |  | pd Una chiesa di Maastricht trasformata in Hotel | | pd

“Il problema della dismissione di luoghi di culto non è nuovo nella storia, ma oggi si pone all’attenzione delle Chiese per cause legate a una condizione moderna che possiamo definire sommariamente di secolarizzazione avanzata, ma allo stesso tempo in un contesto di maggiore consapevolezza del valore storico-artistico e simbolico dell’edificio sacro e dei manufatti in esso conservati”.

Lo scrivono il Pontificio Consiglio della Cultura e i delegati delle conferenze episcopali d’Europa, Canada, Stati Uniti d’America e Australia, che hanno partecipato convegno Dio non abita più qui? Dismissione di luoghi culto e gestione integrata dei beni culturali ecclesiastici, tenutosi a Roma presso la Pontificia Università Gregoriana il 29-30 novembre  scorso.

Il testo di 14 pagine è un occasione di riflessione anche per parrocchie e associazioni che si trovano davanti al grave problema della manutenzione di luoghi di culto storici e riprende un testo della Pontificia Commissione Centrale per l’Arte Sacra in Italia.

La prima parte mette in luce il contesto soci pastorale della dismissione delle chiese. Centri storici abbandonati, popolazione invecchiata, calo della pratica religiosa, ma è anche vero che “non tutte le chiese che oggi costituiscono il patrimonio storico erano destinate alla cura pastorale (come le parrocchie), ma erano espressione di confraternite, corporazioni, signorie, municipalità, rappresentanze nazionali, famiglie private, e pertanto la moltiplicazione di chiese poteva rappresentare anche uno strumento di autorappresentazione di strutture sociali e politiche, in gran parte non più esistenti o comunque non più in grado di assicurarne la conservazione”. Più che vendere o demolire è meglio riutilizzare per le nuove esigenze pastorali.

Un capitolo intero è dedicato alla questione giuridica partendo dal diritto canonico. Vietato ovviamente vendere le reliquie, ma le chiese si anche se con molti limiti. L’elenco prevede anche il divieto di destinare di fatto una chiesa ad attività diverse dal culto divino (sala per concerti, conferenze ecc.), mantenendo in modo sporadico le funzioni religiose.

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Diversi gli spunti normativi che vengono da varie parti del mondo con tre indicazioni: ogni singolo elemento del patrimonio ecclesiastico ha un rapporto stretto con in territorio che non va spezzato; il patrimonio immateriale rende comprensibile il valore del patrimonio materiale, e la sua conoscenza non può prescindere dalla corretta interpretazione dei significati sottesi ad ogni bene materiale; infine il coinvolgimento delle comunità locali, religiose e civili, nei processi di conoscenza e decisione è momento fondamentale per ogni pianificazione di interventi di riuso, che non può fondarsi che sulla diffusa consapevolezza dei valori in gioco, alle diverse scale.

Infine i criteri guida veri e propri che comportano una resistenza a sopravvivere di chiese e cappelle nonostante catastrofi naturali e storiche che va sostenuta, con la capacità appunto di sostenere processi di trasformazione. Si deve promuovere il senso di riappropriazione  e di responsabilità da parte della gente e se ne deve pianificare l’uso.

Per arredi e oggetti sacri poi la progettazione della musealizzazione o del riutilizzo deve essere fatta in largo anticipo e la “prima soluzione che si prospetta è pertanto quella della continuità d’uso e di vita dei manufatti nella collocazione in uno o più edifici di culto normalmente officiati, che presentino continuità territoriale o un legame storico con la chiesa dismessa, o di nuova fondazione”. Una nuova parrocchia può ereditare calici e panche da una antica dismessa.

Una raccomandazione speciale è per la formazione dei vescovi è opportuno trattare dei beni culturali, “al fine di preparare pastori e operatori pastorali sensibili all’importanza del patrimonio culturale nella vita e nella missione evangelizzatrice della Chiesa e in grado di interloquire con i tecnici e i funzionari dello Stato”.