Advertisement

Dalle diocesi, la Chiesa in Italia attende la Pasqua

Il Sabato Santo e le celebrazioni vigilari

Il fuoco della Veglia di Pasqua |  | pd Il fuoco della Veglia di Pasqua | | pd

Domenica scorsa la Domenica delle Palme che ha aperto la Settimana Santa. Una settimana intensa con tanti momenti di preghiera e celebrazioni a partire dalle messe crismali, alle Messe in Coena Domini, alle processioni del Venerdì Santo con le Via Crucis.

Oggi predomina il silenzio, il raccoglimento, la meditazione in attesa dell’annuncio della Risurrezione. Questa sera in tutte le chiese e cattedrali le Veglie Pasquali con anche i sacramenti dell’iniziazione cristiana per gli adulti. Per l’intera giornata non vi saranno celebrazioni liturgiche, né Sante Messe; è l’unico giorno dell’anno che non si può ricevere la Comunione, tranne nel caso eccezionale dell’Unzione degli Infermi per i malati gravi. Per l’occasione tutti i vescovi italiani inviano alle proprie comunità ecclesiali un messaggio per la Pasqua. Qui ne citiamo solo alcuni nei passaggi più significativi. Al centro spesso il tema della Speranza.

Giuliano Brugnotto, vescovo di Vicenza, parte dalla lanterna rimasta accesa dopo che i martiri della fraternità, beatificati in Congo nello scorso mese di agosto, sono stati uccisi per la loro attività di evangelizzazione. Per il presule vivere la speranza non significa avere solo una mera visione ottimistica della vita, ma si tratta di vivere qualcosa che non è ancora visibile all'esterno. “L’incontro con il Risorto libera questo desiderio [di eternità] dalle secche dell’individualismo e lo apre ai fratelli e alle sorelle per vivere un’esistenza nel dono”, scrive aggiungendo che “ogni vita umana ha il diritto di aspirare all’eternità e di vedersi perciò riconosciuta nella sua dignità”. I “missionari Martiri della fraternità” sono “per noi una testimonianza di accoglienza del Signore risorto nella Chiesa diocesana che vive nelle comunità parrocchiali. E ci spronano al dono, annunciando la ‘vita vera’ e seminando la speranza”.

Il Risorto “ci chiede di fare Pasqua di morte e risurrezione dentro di noi per sgretolare la forza del male che ci divide da Dio e dagli altri e ci contrappone tra noi”, scrive il vescovo di Aosta, Franco Lovignana: “fare Pasqua dentro vuol dire far morire il cuore duro per farlo diventare mite e umile come il cuore di Gesù. L’amore più grande, come per Gesù, scaturisce dal rapporto con Dio, dall’ascolto della sua Parola, e la sua forza risiede nel ‘disarmo  interiore’ (Madre Canopi) che fa guardare agli altri senza pregiudizi, senza violenza, con cuore aperto e accogliente, capace di abbracciare tutti per portarli all’abbraccio del Padre”.

Pasqua – scrive il patriarca di Venezia, Francesco Moraglia – “ci porta la notizia più bella: Gesù Cristo, il Crocifisso Risorto, è la speranza che non delude, la speranza che abbiamo continuamente bisogno di ravvivare nella nostra vita e nella nostra storia, la speranza forte che l’Anno giubilare ci fa riscoprire in tutta la sua ricchezza”. Cristo è “la nostra Pasqua, ossia la nostra salvezza e la nostra speranza, perché Lui è il Risorto, il Vivente, il nostro Redentore, la nostra gioia, la nostra pace”, scrive Moraglia evidenziando che è difficile oggi “avvertire intorno noi questa pace e questa gioia pasquale! Le cronache quotidiane gettano davanti a noi scene continue che lasciano interdetti e a cui stiamo, purtroppo, abituandoci; vi sono vicende sempre più cruente di violenza e di guerra contro civili, donne, vecchi e bambini indifesi (penso soprattutto all’Ucraina e a Gaza), in base ad una volontà di potenza e di scontro”.

Advertisement

Il vescovo di Pavia, Corrado Sanguineti, invia il suo messaggio attraverso il settimanale diocesano “Il Ticino” evidenziando il rischio che corriamo tutti di “rimanere indifferenti a Cristo che prolunga la sua passione nella carne sofferente di tanti fratelli uomini, nel mondo, vicini e lontani, e quasi non ci lasciamo più ferire e scandalizzare da certe immagini di violenza e di desolazione, come quelle che ci provengono dall’Ucraina, da Gaza, dal Myanmar devastato dal terremoto, dall’isola di Haiti, dominio quasi incontrollato di bande che seminano morte e terrore, oppure dalla vista di migranti ammassati in gabbie, come accade negli Stati Uniti, o ammanettati, come delinquenti, per essere portati dalla nostra Italia ai centri di raccolta in Albania. Facciamo l’abitudine a tutto, ci chiudiamo nel nostro piccolo mondo, nel nostro comodo benessere”. Ma “possiamo chiudere gli occhi e il cuore anche – spiega il vescovo - su chi soffre vicino a noi, nelle nostre città e paesi: senza tetto, che restano per molti soggetti invisibili, le famiglie in povertà e in grave marginalità, gli adolescenti fragili ed esposti a forme di disagio, di solitudine e anche di devianza, i giovani schiacciati da una logica impietosa e disumana di prestazioni richieste e di competizione” morte”. La risurrezione “non è qualcosa che si dimostra, come nelle scienze empiriche, è qualcosa che s’incontra: un annuncio, una testimonianza, una vita che rifiorisce ora, spesso in esistenze ferite e travagliate, dove tutto sembrava perduto”. E “il frutto primo di una vita risorta è un cuore nuovo, vivo, un cuore di carne che sa amare, che non resta indifferente di fronte alla sofferenza del mondo, che si lascia ferire dai bisogni dei fratelli, che ovunque, anche là dove sembra vincere il male, sa porre segni, a volte fragili, di speranza”. “La grande domanda che abita il cuore di tutti in questo tempo difficile, segnato in tante parti del mondo da guerra e violenza, è quella della pace”, sottolinea l’arcivescovo di Chieti-Vasto, Bruno Forte. “Se il cristianesimo è la religione del Dio vivente che entra nella storia, Pasqua non può non riguardarci da vicino, proprio nelle nostre necessità più urgenti e profonde: il Figlio ha fatto sua la morte e ha dato a noi la vita non in astratto, ma per ognuno e per tutti, segnati come siamo dalle sfide del tempo. Si comprende, allora, come la speranza, che l’annuncio della Pasqua propone, non sia estranea al dolore del tempo, vada anzi incontro alla debolezza e alla fragilità della famiglia umana e di ciascuno, precisamente come esse oggi si affacciano nel nostro bisogno di pace”.

“Nulla impedirà al sole di sorgere ancora, nemmeno la notte più buia. Perché oltre la nera cortina della notte c’è un’alba che ci aspetta”. Cita queste parole del poeta Gibran l’arcivescovo di Camerino-San Severino Marche, Francesco Massara, nel suo messaggio per la Pasqua: “Nel buio di tante notti voglio fidarmi solo della Parola che sentiremo pronunciare nella veglia di Pasqua: ‘Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto’”.

Della Pasqua come “dono incomparabile” parla l’arcivescovo di Cosenza-Bisignano, Giovanni Checchinato in un messaggio all’intera comunità diocesana in questo anno giubilare e nello spirito

del cammino sinodale. Per l’arcivescovo la speranza è l’atteggiamento “antiidolatrico che si oppone alla sindrome dell’onnipotenza, alla voracità del potere che tanto affatica questo nostro tempo. Se l’ottimismo ti fa manipolare la realtà ancora prima di accoglierla, la speranza ti ci fa entrare dentro, accogliendola per quello che è”.

Un invito a vivere la Pasqua “disponendo il nostro animo, il nostro cuore, la nostra mente ad accogliere i misteri che la liturgia ci offre in questi giorni e anche impegnandoci a vivere le esigenze della Chiesa oggi per rispondere al cambiamento d’epoca cui assistiamo” è arrivato dall’arcivescovo di Siracusa, Francesco Lomanto, che ha incontrato i giornalisti e gli operatori della comunicazione per uno scambio di auguri. “La Pasqua – ha detto - è un dono, è la presenza del Risorto. Perché vivere la fede non è soltanto partecipare a dei momenti di incontro celebrativo, certamente ci vogliono anche quelli, ma la fede prima di tutto è scoperta profonda di Dio, è contatto con Lui, sentire che Dio abita la nostra vita. Se non riscopriamo questa realtà profonda della nostra fede c’è il rischio di ridurre la nostra fede e la vita della Chiesa a una dimensione soltanto sociale o umanitaria che ci vuole e ci deve essere, ma deve essere sostenuta e fondata nel mistero dell’amore di Cristo, che è dono, che è servizio”.

Il Signore a noi, “non chiede di attendere inoperosi soluzioni miracolistiche ma di collaborare ritornando ad annunciare la Parola di Dio”, scrive l’arcivescovo di Brindisi-Ostuni, Giovanni Intini: “una parola di vita, di speranza, di rinascita, di rinnovata fecondità generativa. Dunque, siamo invitati dal Signore a passare dal disorientamento all’annuncio, a una rinnovata evangelizzazione, che possa avviare processi di rinascita, di rigenerazione, di ritrovata vitalità evangelica”.

More in Italia