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Diplomazia pontificia, una nuova geografia di nunziature

La nomina di Giampietro Dal Toso come nunzio a Cipro, che viene incorporata alla Giordania, ridisegna la mappa delle nunziature. Un nuovo ambasciatore turco presso la Santa Sede

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La nomina dell’arcivescovo Giampietro Dal Toso come nunzio a Cipro cambia la geografia delle nunziature, ed ha un suo significato. Il nuovo ambasciatore turco presso la Santa Sede ha presentato le lettere credenziali. Il nunzio in Bulgaria ha incontrato il patriarca Neofit.

Sono le tre notizie più importanti della settimana diplomatica della Santa Sede. Diversi gli interventi nel multilaterale. Particolarmente importante l’analisi della situazione in Nicaragua.

                                    FOCUS NUNZIATURE E AMBASCIATE

Un nuovo nunzio per Cipro

Tradizionalmente, il nunzio in Iraq aveva anche l’incarico di nunzio in Giordania, mentre il nunzio in Israele e delegato apostolico in Gerusalemme e Palestina univa l’incarico di nunzio apostolico a Cipro. La nomina dell’arcivescovo Giampietro Dal Toso a nunzio a Cipro, però, cambia la geografia delle nunziature. La nunziatura ad Amman è stata scorporata da quella di Baghdad, ma subito aggregata a quella di Cipro. Il nunzio in Israele, invece, va a concentrarsi completamente sulla Terrasanta.

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La nomina di un nunzio a Cipro collegato con la Giordania fa seguito anche all’apertura della “casa” del Patriarcato Latino di Gerusalemme nella capitale di Cipro, un momento storico in qualche modo.

Cambia così ancora la geografia delle nunziature della Santa Sede. Durante il pontificato di Papa Francesco, c’era già stato un altro cambiamento importante: l’Azerbaijan non era più stato collegato alla nunziatura di Tbilisi, in Georgia, e dunque anche alla nunziatura in Armenia, dove da poco c’è una sede della Santa Sede, ma era stata invece collegata alla nunziatura di Ankara. Questo anche per evitare che lo stesso diplomatico vaticano avesse in mano il “portafoglio” di due Paesi in guerra, come Armenia e Azerbaijan.

Le credenziali del nuovo ambasciatore turco presso la Santa Sede

Lo scorso 16 febbraio, Ufuk Ulutaş ha presentato le lettere credenziali come ambasciatore di Turchia presso la Santa Sede. Prende il posto di Lütfullah Göktaş, che durante il suo mandato come rappresentante di Ankara presso la Santa Sede ha anche organizzato una storica visita del presidente turco Erdogan a Papa Francesco.

Il nuovo ambasciatore, classe 1980, di Iskenderun, ha alle sue spalle studi negli Stati Uniti e un dottorato in relazioni internazionali. È stato: Direttore per la Politica Estera della Fondazione per la Ricerca Politica, Economica e Sociale (SETA) (2017-2018); Assistente Professore, Facoltà di Scienze Politiche, Dipartimento di Relazioni Internazionali presso l’ASBU (dal 2018); Presidente del Centro per le Ricerche del Ministero degli Affari Esteri (2018-2022).

L’ambasciatore Lütfullah Göktaş era stato in visita di congedo lo scorso 29 gennaio. Dopo l’udienza ha detto che il Papa ha chiesto che la Turchia continui la mediazione nel garantire la pace nella guerra russo-ucraina.

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"Penso di aver aumentato il numero dei nostri amici qui durante i quattro anni in cui ho lavorato in Vaticano – ha detto - Questo era un posto dove ho vissuto e studiato prima. Lavorare come ambasciatore questa è stata per me un'esperienza davvero unica, credo che le amicizie instaurate in questo periodo daranno un serio contributo al rafforzamento delle relazioni Turchia-Vaticano”.

L’ambasciatore emerito ha sottolineato una vicinanza tra Turchia e Santa Sede su molte questioni, come il sostegno ad una convivenza pacifica, la convinzione che la religione non può essere associata al terrorismo, al rispetto di tutti i valori religiosi.

Parlando del ruolo della Turchia in Ucraina, Göktaş ha dichiarato che la Santa Sede “è consapevole che la Turchia è un attore importante non solo nella regione ma anche nella politica mondiale. Gli sforzi di mediazione della Turchia tra Russia e Ucraina e il fatto che abbiamo convinto le parti per un accordo sul corridoio del grano sono apprezzati”. 

Göktaş ha anche fatto sapere che quest'anno ci sarà una partecipazione di alto livello del Vaticano al Forum della diplomazia di Antalya, che si sarebbe dovuto tenere a marzo, ma sarà posticipato all’ultimo quarto dell’anno per via del terremoto. "Il Forum della diplomazia di Antalya – ha detto - è seguito con interesse dal Vaticano, come lo è in tutto il mondo. La Santa Sede parteciperà all'incontro questa volta a livello di Ministro degli Affari Esteri. Il “Ministro degli Esteri vaticano”, l'arcivescovo Paul Richard Gallagher, ha risposto positivamente all'invito del nostro ministero”.

                                    FOCUS DIPLOMAZIA ECUMENICA

Il nunzio in Bulgaria incontra il Patriarca ortodosso di Bulgaria

Lo scorso 14 febbraio, l’arcivescovo Luciano Suriani, nunzio apostolico in Bulgaria, è stato ricevuto dal Patriarca della Chiesa Ortodossa Bulgara Neofit. All’incontro, avvenuto nella “santa sede” ortodossa di Sofia, hanno partecipato anche il metropolita dell’Europa occidentale e centrale Anthony, il vescovo Polykarp di Belogradchik, vicario del metropolita di Sofia, il rappresentante del metropolita presso la Santa Sede Ivan Ivanov, il capo ufficio Teodor Atanasov e Angel Mladenov, segretario della Metropolia di Santa Sofia.

L’arcivescovo Suriani ha portato i saluti di Papa Francesco al Patriarca Neofit e alla Chiesa Ortodossa Bulgara, ha raccontato della sua esperienza precedente come nunzio in Bulgaria e affermato che dedicherà la sua missione nel Paese a San Giovanni XXIII, che è stato delegato apostolico a Sofia, e che è considerato “il Papa Bulgaro”.

Nel corso della conversazione – fa sapere una nota del Patriarcato di Sofia – “sono stati delineati i rapporti tradizionalmente buoni tra la Chiesa ortodossa Bulgara e la Chiesa Cattolica”. Il Patriarcato ha anche ringraziato per le reliquie di San Clemente e San Potito donate da Papa Francesco al Patriarca Neofit nel febbraio 2020.

                                               FOCUS RUSSIA                            

L’intervento del metropolita Antonij alle Nazioni Unite

Lo scorso 17 gennaio, il metropolita Antonij, capo del Dipartimento di Relazioni Esterne del Patriarcato di Mosca, è intervenuto a distanza al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

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Nel suo intervento, Antonij ha sottolineato l’impegno della Chiesa ortodossa russa “per proteggere i diritti dei credenti in tutto il mondo”, e si è detto preoccupato per “le flagranti violazioni dei diritti universali e costituzionali dei credenti ortodossi in Ucraina”.

Il metropolita ha in particolare denunciato la decisione dell’1 dicembre 2022 del Consiglio nazionale per la sicurezza e la difesa dell'Ucraina, che ha intenzione di “limitare i diritti delle comunità della Chiesa ortodossa ucraina” attraverso una serie di misure, tra cui anche le sanzioni contro il clero della Chiesa ortodossa ucraina, il cui “centro di governo si trova a Kiev, non a Mosca, ed è amministrativamente indipendente dalla Chiesa ortodossa russa”.

Antonij ha denunciato anche la decisione del presidente Zelensky di emanare decreti con “l'elenco dei vescovi della Chiesa ortodossa ucraina sottoposti a ‘sanzioni’.” 

Secondo Antonij, “la privazione della cittadinanza delle figure religiose ucraine è senza dubbio una forma di repressione politica di massa che contraddice la Costituzione dell'Ucraina e gli accordi internazionali adottati da questo Stato. Allo stesso tempo, vengono violati proprio quei diritti e libertà, la cui restrizione è espressamente vietata dall'articolo 64 della Costituzione dell'Ucraina, anche durante la legge marziale o lo stato di emergenza”.

Antonij ha denunciato anche “perquisizioni di massa nei monasteri e nelle comunità della Chiesa ortodossa ucraina” in tutto il Paese a partire dall’ottobre 2022, e lamenta la creazione della Chiesa autocefala ucraina nel 2018.

Antonij ha notato che “nel 2019 sono state introdotte in Ucraina nuove norme di legislazione religiosa, che semplificano il sequestro di chiese da parte di predoni organizzando referendum fittizi di residenti di entità territoriali, ignorando le opinioni dei membri delle comunità religiose di queste chiese, ma con l'intervento di estranei, a volte persone armate. Tali sequestri sono accompagnati da falsificazione di documenti, gravi violazioni della legge, scontri di massa, percosse di credenti e clero” e ha ricordato che “nel 2022 sono state sequestrate 129 chiese della Chiesa ortodossa ucraina. La registrazione legale delle sue nuove comunità è completamente bloccata”.

Al termine del suo intervento, Antonij ha chiesto di “prestare attenzione alle azioni illegali delle autorità statali dell'Ucraina in relazione alla più grande confessione del paese, numerosi fatti di violazione dei diritti dei credenti garantiti dalla Carta delle Nazioni Unite, dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, dalla Dichiarazione sull'eliminazione di ogni forma di intolleranza e discriminazione fondata sulla religione o sul credo, dal Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, dalla Convenzione internazionale sull'eliminazione di ogni Forme di discriminazione razziale e molti altri strumenti internazionali che garantiscono il diritto inalienabile di ogni persona alla libertà di religione”.

                                                 FOCUS MULTILATERALE

La Santa Sede a New York, la questione dello sviluppo sociale

Lo scorso 13 febbraio, l’arcivescovo Gabriele Giordano Caccia, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, ha parlato alla 61esima sessione della Commissione per lo Sviluppo Sociale, che discuteva su come “creare impiego pieno e produttivo e lavoro degno per tutti come mezzo per superare le ineguaglianze accelerare la ripresa dalla pandemia COVID 19 e la piena implementazione dell’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile 2030”.

Nel suo intervento, l’arcivescovo Caccia ha parlato della “grave crisi” sperimentata dal mondo del lavoro a causa della pandemia, ma anche della “ciclica instabilità finanziaria”, con cambiamenti che hanno “contribuito alla proliferazione della cultura dello scarto” nel mondo del lavoro.

Questa cultura include ingiusta discriminazione contro le persone di mezza età e più anziane, la mancanza della protezione sociale nel momento della pensione ed una crescente disoccupazione giovanile, nonché cattive condizioni di lavoro e lavoro minorile.

Per la Santa Sede, ci vuole “una approfondita considerazione sulle vere fondamenta del valore e della dignità del lavoro”, e rimarca l’importanza di “sistemi di protezione sociale adeguati e politiche che rispettino i diritti fondamentali dei lavoratori”.

La Santa Sede a New York, la crescita del livello dei mari

Il 14 febbraio, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha dibattuto su “Crescita del livello del mare: implicazioni per la pace e la sicurezza internazionale”.

L’arcivescovo Gabriele Giordano Caccia, osservatore della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York, ha messo in luce come gli effetti negativi della crescita del livello del mare “appare prima che le terre siano sommerse, inclusa l’erosione delle coste e l’allagamento delle infrasrutture”, e ha messo in luce come siano “particolarmente a rischio” gli impianti nucleari sulla costa”, con minacce che richiedono “rapidi adattamenti al cambiamento climatico e strategie di mitigazione”.

La Santa Sede ha chiesto agli Stati più sviluppati di rendere il finanziamento più accessibile per gli Stati costali in modo da affrontare “questi impatti avversi”, e allo stesso tempo sviluppare “protezione legale per migranti sfollati a causa della crescita del livello dei mari”.

L’arcivescovo Caccia ha anche chiesto agli Stati di promuovere un “cambio degli stili di vita per ridurre l’impatto del cambiamento climatico e ridurre il degrado ambientale e la sofferenza umana che ne conseguono”.

                                                 FOCUS NICARAGUA

Situazione in Nicaragua

Dopo la condanna a 26 anni di carcere per il vescovo di Matagalpa Rolando Àlvarez, c’è stata una presa di posizione internazionale molto forte, e molti episcopati hanno chiesto il ritorno dello stato di diritto in Nicaragua.

Papa Francesco è intervenuto all’Angelus dello scorso 12 febbraio, parlando di una situazione che “coinvolge persone e istituzioni", ma senza prendere una posizione chiara sulla questione della persecuzione religiosa, che ha portato non solo alla condanna del vescovo Àlvarez, ma anche a quella di altri quattro sacerdoti che erano stati arrestati con lui ad agosto.

Tra l’altro, da un anno il Nicaragua è senza nunzio dopo l’espulsione, improvvisa, dell’arcivescovo Waldemar Stanislaw Sommertag.

Sempre il 12 febbraio, il Cardinale Leopoldo Brenes, arcivescovo di Managua, ha chiesto “riconciliazione” di fronte leggi che si sono fatte sempre meno virtuose, considerando il cambiamento della legge costituzionale annunciata dal presidente Daniel Ortega dopo che il governo aveva espulso verso gli Stati Uniti 222 nicaraguensi critici della sua amministrazione e considerati prigionieri politici.

Per prudenza, il Cardinale Brenes non ha parlato direttamente del caso Àlvarez, ma resta colui che denuncio la persecuzione della Chiesa in Nicaragua.

                                                FOCUS AFRICA

Dopo il viaggio di Papa Francesco in Repubblica Democratica del Congo

L’arcivescovo Ettore Balestrero, nunzio apostolico presso la Repubblica Democratica del Congo, ha ripercorso i momenti salienti del viaggio di Papa Francesco nel Paese in una intervista con Vatican News.

Il nunzio ha sottolineato che, durante i giorni del viaggio papale, la Repubblica Democratica del Congo non è stato solo un Paese "insanguinato da conflitti armati, vittima dello sfruttamento; un Paese il cui Stato confinante ne vorrebbe un pezzo per mettere le mani sulle immense ricchezze del suo sottosuolo", dice il rappresentante pontificio. Per tre giorni è stato piuttosto "la capitale della Chiesa di tutto il mondo, un simbolo di speranza e vitalità, anche per le altre comunità cattoliche".

Insomma, la Repubblica Democratica del Congo “non è solo problemi”, ma piuttosto “speranza e resilienza, è un cuore che batte forte grazie ai suoi giovani che rappresentano i tre quarti della popolazione".

Secondo l’ “ambasciatore del Papa” a Kinshasa, le testimonianze delle vittime della violenza ad Est del Paese hanno dimostrato che la fede è incarnata nei cuori di decine di milioni di persone.

Il nunzio ha anche notato che le grandi potenze devono bandire il complesso di superiorità secondo cui il Congo, "questa fortezza assediata, deve essere sfruttata", e che poiché hanno bisogno delle sue risorse minerarie e della sua gioventù, hanno interesse alla stabilità e alla pace. Devono impedire la diffusione del jihadismo e dimostrare che tutte le dichiarazioni sui diritti umani non sono solo ideologie che non hanno nulla a che fare con la carne e il sangue dell'uomo. Ogni uomo è, infatti, titolare di tutti questi diritti, anche se non vive in Occidente.

Con i suoi messaggi, ha aggiunto, Papa Francesco "ha tracciato una tabella di marcia per i decenni a venire, ha dato uno stile e un contenuto per il popolo congolese. Uno stile di vicinanza per la pastorale, immagini con un contenuto profondo per la catechesi e la trasmissione della fede". Questo programma deve essere preso nella sua interezza e sfruttato in tutta la sua ricchezza, sia nei punti "che ci piacciono" sia in quelli che ci invitano a cambiare. "Queste parole dettate dal Vangelo devono diventare il criterio per la vita, l'azione e il ministero della Chiesa nella società congolese". In particolare, il presule esprime l'apprezzamento per l'iniziativa dei vescovi di far conoscere meglio i discorsi del Papa, di studiarli e di farne oggetto di catechesi. È una iniziativa importante perché la visita di Papa Francesco non può passare con la stessa rapidità con cui le notizie appaiono e scompaiono: "Dobbiamo prendere questi discorsi per quello che sono: un invito affettuoso, in accordo con il Vangelo, a diventare più evangelicamente profetici".

Per quanto riguarda l'attuazione degli accordi quadro firmati e ratificati, Balestrero ritiene che i punti fermi siano stati raggiunti e che l'attuazione sia sulla buona strada. Entrambe le parti, afferma, sono chiamate a mantenere questo slancio: "La visita del Papa è stata l'occasione per un cambiamento copernicano, perché, grazie a questa visita, la Chiesa e lo Stato congolese hanno lavorato fianco a fianco per attuare questi accordi".

Grazie a questi ultimi, la Chiesa cattolica in Repubblica Democratica del Congo non è più riconosciuta come "associazione senza scopo di lucro" come in passato, ma nel suo vero status canonico. A luglio, alla presenza del cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, sono stati firmati cinque accordi specifici in alcuni campi d'azione della Chiesa, in particolare: sanità, educazione, pastorale carceraria, tasse. Questi accordi specifici renderanno possibile e faciliteranno l'attività della Chiesa.

All'interno del Ministero degli Interni è stato creato un ufficio di coordinamento tra la Chiesa e lo Stato, e la Chiesa ora dipende da questo ministero, ha detto il nunzio I punti fermi sono stati fissati e ciò che accadrà in seguito dipenderà dalla buona volontà di entrambe le parti.