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Dopo il Papa in Armenia “Qui apostolici e cattolici hanno sempre vissuto insieme”

Gyumri, Chiesa apostolica | La croce dei prati martirizzati, all'ingresso della Chiesa delle Sette Piaghe a Gyumri  | Andrea Gagliarducci / ACI Stampa
Gyumri, Chiesa apostolica | La croce dei prati martirizzati, all'ingresso della Chiesa delle Sette Piaghe a Gyumri | Andrea Gagliarducci / ACI Stampa
Gyumri, Chiesa apostolica | Altare della Cattedrale Apostolica delle Sette Piaghe, Gyumri  | Andrea Gagliarducci / ACI Stampa
Gyumri, Chiesa apostolica | Altare della Cattedrale Apostolica delle Sette Piaghe, Gyumri | Andrea Gagliarducci / ACI Stampa
Gyumri, Chiesa apostolica | Icone della Vergine delle Sette Piaghe, Cattedrale Apostolica di Gyumri | Andrea Gagliarducci / ACI Stampa
Gyumri, Chiesa apostolica | Icone della Vergine delle Sette Piaghe, Cattedrale Apostolica di Gyumri | Andrea Gagliarducci / ACI Stampa

Il cammino dell’unità non è solo una questione teologica. Ne è convinto Miqayel Ahjapayan, vescovo apostolico di Gyumri. La sua cattedrale, dedicata alle Sette Piaghe, si affaccia su piazza Vartanants, dove Papa Francesco ha celebrato la Messa lo scorso 25 giugno. E proprio a Gyumri, nel periodo dell’impero sovietico, si sono visti i fronti di un cammino fianco a fianco che non è mai terminato. Anzi, si è rafforzato.

“Nei 70 anni di comunismo – racconta il vescovo Ahjapayan – la Chiesa apostolica si è presa in carico della cura spirituale dei cattolici, senza fare alcuna differenza tra chi è cattolico e apostolico. Per 70 anni, i cattolici sono venuti alla chiesa apostolica, perché la nostra cattedrale era l’unica rimasta attiva durante il comunismo. Ma nessuno è stato chiamato a diventare apostolico”.

Anzi. “Quando distrussero tutte le chiese – continua a raccontare il vescovo – c’era il crocifisso di una chiesa cattolica che noi abbiamo portato qui, nella nostra cattedrale, e lo abbiamo messo in uno spazio dove i cattolici potevano venire a pregare. Ho mostrato questo crocifisso al Papa, quando è venuto a visitare la nostra chiesa. Così come gli ho mostrato l’icona della Madonna delle sette piaghe”.

Si tratta di una icona risalente al XIII secolo, venerata come miracolosa da cattolici e apostolici. “Ne abbiamo fatte due copie: una è stata donata al Papa e una al Catholicos Karekin II, perché nemmeno lui ne aveva una copia”, dice il vescovo Ahjapayan.

La cattedrale delle Sette Piaghe presenta anche una recente vetrata dal sapore ecumenico, nonché una croce crivellata dai colpi delle pallottole dei sovietici, posta nel giardino antistante la chiesa insieme alle tombe dei sacerdoti che sono morti sotto il comunismo.

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Gyumri è la roccaforte cattolica dell’Armenia, sebbene la maggioranza assoluta (il 92 per cento della popolazione) sia apostolica. Nonostante siano solo il 3 per cento della popolazione, i cattolici rappresentano la maggioranza in Armenia. Nell’area, ci sono 9 villaggi dei cattolici e 2 villaggi in cui il 25 per cento della popolazione si professa di religione cattolica. A Gyumri sono una piccola minoranza, prima del 1920 avevano il loro quartiere, che si chiamava quartiere cattolico, e lì si trovava l’antica chiesa antica cattolica, che ora è nelle rovine.

Secondo il vescovo Ahjapayan, “il Papa è venuto a Gyumri perché la maggioranza della popolazione cattolica si trova qui”. Ma non è il solo motivo. Ce ne sono almeno altri due.

“Il secondo motivo – racconta - è che Gyumri è la città più ferita, sia dal terremoto del 1988 che dalla situazione economica: la frontiera turca è chiusa e allora questa città è diventata come una strada che non ha continuazione. E siccome il Papa ama i feriti, viene per dare la sua benedizione a questa città ferita, dove ci sono tanti senza tetto”

E infine, il terzo motivo, secondo il vescovo Ahjapayan, è che “il Papa è venuto a Gyumri per per dire grazie alla Chiesa apostolica e al popolo apostolico, che durante i 70 anni del comunismo ha dato una mano alla piccola minoranza cattolica”.

Resta una religiosità viva, profonda. “Noi – dice il vescovo - non abbiamo il problema della secolarizzazione, ma noi siamo sopravvissuti. Dopo 70 anni di fortissimo ateismo, temevano che nessuno sarebbe andato in chiesa. Settanta anni di ateismo non hanno fatto male al popolo armeno, e per adesso si spera che non succeda mai”.

 

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