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Dopo la Laudato Si, come deve essere il lavoro del futuro?

La domanda in un rapporto di varie iniziative cattoliche. Che hanno poi delineato il rapporto “Work is care. Care is work”

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Quasi centocinquanta pagine, con varie appendici, delineano quello che deve essere il lavoro del futuro per raggiungere l’obiettivo dello sviluppo umano integrale. Si presenta così il rapporto “Work is care, care is work” (Lavorare è prendersi cura, prendersi cura è un lavoro) oggetto anche di un webinar lo scorso 11 dicembre.

Il rapporto si include nella ricerca “Il Futuro del Lavoro – Il Lavoro dopo la Laudato Si”, e coinvolge diverse sigle cattoliche, tra le quali l’International Catholic Migrationc Commission e la rivista Aggiornamenti Sociali, il tutto sotto l’ombrello dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, che nel 2019 ha compiuto il suo centenario.

Il progetto non ha solo l’intenzione di fotografare la realtà come è, quanto piuttosto di spingere per un cambiamento. E infatti, al termine del rapporto, si delineano tre risultati importanti; la costruzione di un network globale ecclesiale che coinvolge altri attori di tipo religioso così come partner nell’ambito del sociale per condividere conoscenza ed esperienze sul futuro del lavoro; la possibilità di fare ricerca e sviluppare abilità in grado di contribuire al dibattito sul futuro del lavoro; lo sviluppo della capacità della rete di far crescere l’attenzione sul tema.

Si tratta, alla fine, di una ricerca con un intento trasformativo, alla luce della Dottrina Sociale della Chiesa. “Portando avanti il nostro progetto – si legge nelle conclusioni – abbiamo toccato con mano che il lavoro condiviso per il bene comune, anche su una scala molto piccola, ha un potenziale che va oltre le aspettative”.

Il progetto sul Futuro del Lavoro dopo la Laudato Si è cominciato nel 2016, quando c’erano varie discussioni nei consessi internazionali sulle sfide date dal crisi del cambiamento climatico e dall’impatto che ci sarebbe stato con il cambiamento tecnologico.

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Ma il rapporto include anche un lavoro di collaborazione svolto nei primi otto mesi del 2020, mentre ci si confrontava con la crisi del Coronavirus, e in particolare la commissione anti-Covid messa su da Papa Francesco.

Cosa si poteva fare? Ci sono stati vari approcci. L’idea è quella di creare un nuovo modello economico, e anche un nuovo modello di lavoro, a partire dalla combinazione della definizione di “lavoro dignitos” dell’ILO con la ecologia integrale.

Ma il nodo centrale sta nel discernimento, e nel comprendere che “Prendersi cura è lavoro, e lavorare è prendersi cura”. Da qui, una serie di proposte che prevedono un cambiamento immediato, ma anche a lungo termine.

È l’idea di una cultura della cura, di cui Papa Francesco ha parlato spesso ultimamente, e che si trova proprio in questo progetto di ricerca.

Ma come funziona questo discernimento? Prima di tutto, considerando che “se ci si cura del lavoro, questo deve essere decente e contribuire alla dignità dei lavoratori”. Il secondo, il lavoro come cura “si riferisce a tutte le forme di lavoro, non solo al settore della cura o al lavoro nella economia formale”.

Così, un cambiamento di prospettiva ha luogo prima di tutto focalizzandosi su lavori e posti di lavoro sostenibili, e poi sul contributo potenzialmente positivo del business per la cura dell’ambiente, che sia portato avanti con un bilancio misto di incentivi e regolamentazioni.

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Ma c’è soprattutto bisogno di una governance “integrale ed efficiente”, perché “buona parte delle sfide sociali e ambientali hanno ormai una dimensione globale” e dunque ci vuole un dialogo tra “governi, istituzioni finanziarie internazionali, organizzazioni delle Nazioni Unite e altre agenzie multilaterali, di tipo globale o regionale”.

Il lavoro, ovviamente, non è finito. Si tratta di concretizzare questo cambio di paradigma nella società, nelle imprese, nei posti di lavoro.

Il rapporto, però, rappresenta un ulteriore tassello per portare avanti l’idea di sviluppo umano integrale. Anche a partire dal tema del lavoro.