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Dopo nove mesi, il Cardinale Sako è tornato a Baghdad

Il Patriarca dei Caldei ritorna nella sua sede dopo nove mesi di esilio volontario a Erbil. Appianata la polemica con il governo

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Si è tenuta il 12 aprile la Messa di ringraziamento del Cardinale Raffael Sako per il suo ritorno a Baghdad. Il Patriarca della Chiesa Caldea aveva lasciato la sede della sua Chiesa nove mesi fa, trasferendosi ad Erbil, in protesta contro il ritiro di un decreto governativo che gli conferiva la potestà di Patriarca.

Nell’omelia della Messa, il Patriarca Sako ha sottolineato di essere tornato “dopo nove mesi di sofferenza, pazienza, tenacia e non arrendersi all’ingiustizia”, e che il suo ritorno è “come una nuova nascita”, e ha ringraziato in particolare il primo ministro Muhammad Shiaa Al-Sawadni “per il suo incoraggiante invito a ritornare, e per la sua accoglienza e determinazione nel risolvere adeguatamente le questioni e restituire dignità alla Chiesa caldea”.

Il cardinale ha anche detto di non portare rancore per nessuno e ha chiesto a tutti, vescovi e sacerdoti, di “mettere da parte gli interessi personali e di lavorare insieme come una squadra per il bene del nostro Paese”.

Ma cosa era successo per portare all’esilio volontaria del Patriarca Sako? A luglio 2023, il capo dello Stato Abdul Latif Rashid aveva deciso di ritirare il decreto presidenziale 147 del 10 luglio 2013, che dava al Cardinale Sako una sorta di “riconoscimento istituzionale” della carica del primate.  Secondo il decreto, il Cardinale era anche “responsabile dei beni della Chiesa”.

Con il ritiro del decreto, dunque, il Cardinale ha sentito anche la possibilità dell’alienazione dei beni.

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La scorsa settimana Abudl Latif Rachid, presidente dell’Iraq, ha ritirato il riconoscimento istituzionale al Patriarca dei Caldei, il Cardinale Louis Raffael Sako. Il capo dello Stato ha infatti cancellato il Decreto 147, emanato dal predecessore Jalal Talabani il 10 luglio 2013, che sanciva la nomina pontificia del porporato a capo della Chiesa caldea “in Iraq e nel mondo” e per questo “responsabile dei beni della Chiesa”. In particolare, ad essere al centro dell’attenzione era proprio il controllo del denaro.

Con una nota, il presidente Abdul Latif aveva sottolineato che il ritiro “non pregiudica lo status religioso o giuridico del patriarca Sako” perché di nomina “della Sede Apostolica”. Esso, prosegue il leader musulmano curdo, intende “correggere” una questione di natura “costituzionale”, mentre la persona del patriarca continua a godere “del rispetto e dell’apprezzamento della presidenza della Repubblica come patriarca della Chiesa caldea in Iraq e nel mondo”.

La decisione, però, finiva per esautorare il patriarca dell’amministrazione dei beni ecclesiastici, togliendo un riconoscimento che c’è oltre 100 anni. Prima il re e poi il presidente avevano sempre stabilito per decreto che il Patriarca Caldeo è capo della Chiesa e custode delle sue proprietà”.

Il ritiro viene al termine di una campagna mediatica contro i cristiani di Iraq dal capo del Movimento Babilonia Rayan al-Kaldani.

Questi, spalleggiato da fazioni sciite collegate a potenze straniere (leggi Iran), vuole formare un’enclave nella piana di Ninive sfruttando la posizione di forza e disponendo di quattro parlamentari [su cinque riservati per quota alla minoranza, sebbene la loro scelta non sia esercitata in via esclusiva da cristiani, ndr] e un ministero da lui controllati. La fazione “Brigate Babilonia” è nata al tempo della lotta contro lo Stato islamico nel decennio scorso e si è affermata sul piano economico e politico.

Per questo, il Patriarca Sako aveva denunciato la campagna “deliberata e umiliante” e aveva trasferito provvisoriamente la sede a Erbil, protestando contro una decisione che riguardava la sola Chiesa caldea.

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La svolta è avvenuta all’improvviso, dopo che in una intervista ad Asia News il Cardinale Sako aveva anche criticato il “silenzio di Roma” sulla vicenda. Vicenda però seguita con attenzione dalla diplomazia del Papa, che ha portato all’ultima svolta.

Il cardinale Sako ha anche avuto un incontro con il primo ministro Mohammad al-Sudani. “

"Avevo ricevuto – ha detto il cardinale - una lettera dal premier Mohammad al-Sudani che mi invitava per un incontro personale. Ho subito risposto dando la mia disponibilità. Questa mattina sono atterrato a Baghdad e, subito ricevuto da due incaricati del governo, assieme ad altri due vescovi sono stato ricevuto dal primo ministro iracheno".

E il primo ministro, ha aggiunto, “mi ha accolto a braccia aperte. Gli ho spiegato tutta la situazione che mi aveva spinto a lasciare Baghdad: mi è parso al corrente di tutto e mi ha rassicurato dicendomi: noi teniamo molto alla sua presenza, il patriarca è una autorità per i cristiani come per tutta la società irachena".

 

vescovi del Nord (Mosul e piana di Ninive) hanno criticato con forza il sistema di assegnazione della quota per le minoranze, sostenendo in pieno la battaglia del porporato e annunciando il possibile boicottaggio delle prossime tornate elettorali da parte della componente cristiana. Lo stesso primate caldeo a maggio aveva accennato all’eventuale ricorso agli organi di giustizia internazionali per tutelare la corretta distribuzione della quota di seggi parlamentari.

Posizioni che hanno attirato gli attacchi verso la persona del patriarca e l’istituzione da parte di persone vicine al “Movimento Babilonia”.

In una dichiarazione congiunta inviata ad AsiaNews, l’Assyrian Democratic Movement, il Popular Chaldean Syriac Assyrian Council, il Betnahrain Patriotic Union, il Nahrain Sons Party e l’Assyrian Patriotic Party confermano “il sostegno” al patriarca. Una vicinanza che va oltre l’autorità religiosa, ma riguarda lo “status, in quanto istituzione religiosa che rappresenta una parte importante della società irachena”.