Per i cristiani il Medio Oriente è una terra di esodo, ma anche di martirio. “Negli ultimi mesi siamo stati testimoni delle atrocità inaudite perpetrate da più parti”, dice monsignor Paul Richard Gallagher, Segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati e “migliaia di cristiani e di persone appartenenti ad altre minoranze religiose a fuggire dalle proprie case e cercare rifugio altrove in condizioni di precarietà, sottoposte a sofferenze fisiche e morali”: “Alcuni hanno venduto o quasi ceduto le loro proprietà allo scopo di pagare i “trafficanti” che li fanno arrivare in Europa o in altri Paesi. Tanti altri sono stati sequestrati e addirittura uccisi a causa della fede che professano”.

Molto atteso l’intervento del “ministro degli esteri vaticano”, che ieri a Bari ha partecipato alla Conferenza Internazionale “Christians in the Middle East: What Future?”, promossa dalla Comunità di Sant’Egidio in collaborazione con la locale Arcidiocesi.

Di fronte alle più grandi personalità del Medio Oriente e del panorama mondiale, il vescovo-diplomatico non ha rinunciato alle parole forti. “Questa situazione così grave e dolorosa in un certo senso ha risvegliato la coscienza della comunità internazionale – ha detto -. Sono in gioco principi fondamentali come il valore della vita, la dignità umana, la libertà religiosa, e la convivenza pacifica e armoniosa tra le persone e i popoli”.

Citando i numerosi interventi di Benedetto XVI prima e di Francesco poi,  Gallagher ha ricordato che “la Santa Sede da tempo segue con viva preoccupazione la situazione in Medio Oriente con un impegno per il bene di tutti, ma con uno sguardo particolare alla situazione dei cristiani e con un’attenzione speciale a questioni fondamentali quali il rispetto delle minoranze e dei diritti umani, in particolare, quello della libertà religiosa”.

Tra le sfide più urgenti, sulle quali, la “comunità internazionale non può rimanere inerte o indifferente”, “quelle che riguardano innanzitutto il rispetto dei diritti umani, in particolare quelli della libertà religiosa e di coscienza”, ma anche la possibilità per i “profughi di fare ritorno e di vivere in dignità e sicurezza nel proprio Paese e nel proprio ambiente”.

Invece, ha detto il Segretario vaticano, “l’esodo dei cristiani sembra non fermarsi, costringendo alcuni Patriarchi e Vescovi ad alzare la loro voce per cercare di rallentare questa diaspora. E’ un problema delicato perché i cristiani che rimangono nella Regione devono trovarvi condizioni adeguate di vita, di sicurezza e prospettive per il futuro”.

Per poi favorire la via del dialogo. “I cristiani, come un piccolo gregge, hanno la vocazione ad essere lievito nella massa e sono chiamati alla santità della vita. Essi, uniti tra di loro e in collaborazione con gli appartenenti ad altre religioni, soprattutto con i musulmani, sono chiamati ad essere artefici di pace e di riconciliazione e, senza cedere alla tentazione di cercare di farsi tutelare o proteggere dalle autorità politiche o militari di turno per “garantire” la propria sopravvivenza, devono offrire un contributo insostituibile alle rispettive società che si trovano in un processo di trasformazione verso la modernità, la democrazia, lo stato di diritto e il pluralismo”.

Perché, ha detto Gallagher,  “solo la via della pace porta alla speranza e al progresso. Si deve, quindi, promuovere la pace mediante il negoziato e il lavoro diplomatico fermando, come chiede spesso il Santo Padre, il traffico di armi”.

Ed è “responsabilità” di tutta la Chiesa, “sostenere con la preghiera e con ogni mezzo possibile i nostri fratelli cristiani che confessano la loro fede in Medio Oriente e d’incoraggiarli a continuare ad essere una presenza significativa per il bene di tutta la società”.

Mentre, infatti, “molti cristiani della Regione, infatti, si sentono soli o abbandonati”, “è importante che la Chiesa venga loro incontro, li sostenga, illumini la loro vocazione particolare di cristiani del Medio Oriente e possa stringere con loro legami di amicizia, di vicinanza e di comunione”.

Questo è un cammino da fare insieme. “Si rende sempre più evidente a tutti – ha detto ancora il diplomatico vaticano - l’importanza del dialogo interreligioso e tanti ne parlano. E’ fondamentale però impegnarsi seriamente e favorirlo, tanto più che esso costituisce l’antidoto migliore contro ogni forma di fondamentalismo. I leaders religiosi ebrei, cristiani e musulmani possono e devono svolgere un ruolo indispensabile per favorire sia il dialogo interreligioso e interculturale che l’educazione alla reciproca comprensione. Inoltre, essi devono denunciare chiaramente la strumentalizzazione della religione per giustificare la violenza”.