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Gesù dà senso e speranza alla vita. III Domenica di Pasqua

Il commento al Vangelo domenicale di S.E. Monsignor Francesco Cavina

Gesù con i discepoli ad Emmaus |  | pubblico dominio Gesù con i discepoli ad Emmaus | | pubblico dominio

In questa terza domenica di Pasqua la Chiesa offre alla nostra riflessione l’apparizione di Cristo risorto ai due discepoli di Emmaus. Noi ci soffermiamo al momento in cui i due viandanti e lo sconosciuto che cammina con loro giungono finalmente nei pressi del villaggio dove erano diretti. E’ ormai sera e i due discepoli si preoccupano dello sconosciuto che li ha seguiti fin qui e che pare voler andare oltre: Resta con noi … gli dicono.  L’espressione “rimanere con loro” ricorre due volte e vuole mettere in evidenza quanto Cleopa e il suo compare cerchino la compagnia di questo misterioso Viaggiatore.  Si tratta di un desiderio che non è a senso unico, perché anche Gesù vuole rimanere con loro, così come desidera incontrare ogni uomo. Tuttavia, egli attende che siano i discepoli a chiedergli di fermarsi nella loro casa. Non vuole imporre a nessuno la sua presenza e la sua vicinanza. Il motivo per cui lo invitano con insistenza è dato dalla notte ormai imminente, la quale è l’immagine della situazione spirituale dei due discepoli, riassumendo la loro tristezza e desolazione interiore. Vivono nella solitudine e cercano la comunione. Cristo accetta l’invito e rimane con loro (v.29).

Le porte di questi due discepoli si spalancano per accogliere lo Straniero, e il risorto, sebbene ancora in incognito, entra nella loro casa, si siede a tavola in compagnia dei due discepoli e compie quattro gesti solenni: prende il pane; lo benedice; lo spezza; lo distribuisce. Ripete i medesimi gesti con i quali ha celebrato la prima Eucarestia nell’Ultima Cena, dove ha anticipato la sua morte e resurrezione, e ha donato sé stesso ai discepoli. Potremmo quasi dire che i tre viandanti hanno celebrato insieme la Messa: prima con la liturgia della Parola, poi con il convito Eucaristico, memoriale del suo sacrificio per la salvezza del mondo. In entrambi i momenti è Cristo ad avere la presidenza, come avviene in ogni azione liturgica dove il sacerdote agendo “in persona Christi”, con un ruolo cioè puramente ministeriale, mette la sua persona a disposizione del protagonista che è sempre e solo il Signore. E’ Lui che celebra, è lui che battezza, è Lui che perdona…

Allo spezzare del pane i discepoli riconoscono Gesù. Abbiamo visto che il dialogo sulle scritture ha fatto ardere il cuore dei due discepoli, ma la spinta decisiva al riconoscimento lo si ha solo nella cena (Ernst). Gesù ci svela che dopo il suo ritorno al Padre, è presente nella celebrazione dell’Eucarestia. Essa è il segno voluto da Cristo che garantisce il rinnovarsi del suo sacrificio nella Chiesa e il Suo essere sempre con lei e per lei. Nell’episodio si manifesta l’essenza stessa della Chiesa: essa vive della Parola di Dio e dell’Eucarestia. La Parola di Dio è preparazione per vivere più profondamente l’Eucarestia. Non appartiene alla Chiesa cattolica la separazione della Parola dal Sacramento.

Nella esistenza di ogni uomo ci sono tempi di luce come il giorno di Pasqua, a cui fanno seguito tempi nei quali il Signore sembra fare silenzio, come nella notte del Giovedì santo e nel giorno del sabato santo; o tempi di sgomento, come il giorno del venerdì santo, in cui Dio sembra abbandonare quelli che ama, sembra lontano dai nostri bisogni, insensibile addirittura alle nostre lacrime e sordo alle nostre angosce. In realtà il Signore con il dono dell’Eucarestia si avvicina discretamente ad ognuno di noi, ci parla, si fa nostro nutrimento e con la sua presenza discreta ci aiuta, per usare le parole del poeta Paul Claudel, a scoprire che “tutta la sofferenza che c’è nel mondo non è la sofferenza dell’agonia, ma il dolore del parto”. E così rianima la nostra fede, la nostra speranza e la nostra carità.

L’Eucarestia è il modo nuovo con cui Cristo si fa presente ai suoi “fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Come i due discepoli riconobbero Gesù nello spezzare il pane, così anche noi oggi nel “sacro convito” riconosciamo che Gesù è con noi. Scrive S. Agostino: “Fratelli dove volle farsi riconoscere il Signore? Nella frazione del pane. Noi siamo sicuri: spezziamo il pane e riconosciamo il Signore. Solo lì volle farsi riconoscere, per noi, che non l’avremmo visto nella carne, ma tuttavia avremmo mangiato la sua carne” (Serm. 235).

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Ma spezzato il pane, Gesù scompare dalla vista dei due discepoli. La sua sparizione è un potente messaggio che egli lascia a tutti noi. E’ come se dicesse: “Adesso tocca a voi!”. Il racconto dei discepoli di Emmaus si chiude proprio con gli stessi che pieni di gioia ritornano senza indugio a Gerusalemme, da cui si erano allontani tristi e a testa bassa. Tornano per comunicare ai discepoli e agli apostoli la loro esperienza di Gesù, e di come abbiano potuto riconoscerlo quando Lui ha compiuto il gesto inequivocabile di “spezzare il pane”, segno che da ora in poi lo rappresenterà compiutamente. Il sacerdote congeda i fedeli al termine della Messa con le parole: “La Messa è finita andate in pace”. Dopo avere incontrato il Signore risorto, esserci nutriti della sua carne e del suo sangue, siamo inviati nel mondo “a fare Gesù”. Non a sostituirlo, ma ad essere suoi testimoni perché Lui, il Signore, è morto e risorto per tutti, e tutti debbono sentire questa buona notizia. Il cristiano possiede un segreto che non può tenere solo per sè. E il segreto è Gesù che dà senso e speranza alla vita.

Prega Godfredo di Admont, un monaco medievale: “Resta con noi, o Dio; stabilisci in noi la tua dimora. Se te ne andrai, scenderà la sera della tentazione, della prova e della tribolazione; tramonterà e scenderà il giorno della gioia e della fecondità, il giorno della gioia spirituale e dell’esultanza”.