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Giovanni e Giovanni Paolo, i vescovi di Roma che hanno tirato giù i muri

Basilica di San Pietro, l'alba della doppia canonizzazione | Piazza San Pietro, 27 aprile 2014 | Lauren Cater / Catholic News Agency Basilica di San Pietro, l'alba della doppia canonizzazione | Piazza San Pietro, 27 aprile 2014 | Lauren Cater / Catholic News Agency

Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, un anno dopo. L’immagine della Basilica di San Pietro con appesi gli arazzi dei due Papi Santi è ancora viva nella memoria. Era il 27 aprile 2014, esattamente un anno fa. Ancora oggi, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II parlano ai fedeli di tutto il mondo. Sono stati Papi che hanno buttato giù muri, l’uno in continuità con l’altro. Ma sono stati soprattutto vescovi di Roma.

Lo era Giovanni XXIII, che cominciò la sua storia d’amore con Roma il 28 ottobre 1958, primo giorno del suo pontificato. Parlava con monsignor Domenico Tardini, che aveva già scelto come suo Segretario di Stato, e parlando con lui disse che il suo obiettivo era quello di sviluppare “il primo servizio cui era chiamato,” ovvero quello di vescovo di Roma. Per questo, la sua messa di inizio pontificato fu tenuta in San Giovanni in Laterano, e disse nell’omelia: “Sono venuto come un pastore.”

Per Giovanni XXIII, essere vescovo di Roma significava soprattutto stare tra la gente. Per 152 volte uscì fuori dal Vaticano. Il giorno di Natale del 1958, andò a visitare i piccoli pazienti dell’Ospedale Bambino Gesù. Il giorno dopo, il 26 dicembre, andò a visitare i carcerati del Regina Coeli.

Fu con la proclamazione del Concilio Vaticano II che venne fuori fino in fondo la sua vocazione di vescovo di Roma. Perché in realtà il Concilio era solo il secondo punto di un programma in tre punti annunciato nella Basilica di San Paolo Fuori le Mura. L’ultimo punto era la riforma del Codice di Diritto Canonico, ma il primo era la convocazione di un sinodo diocesano a Roma. Una formula, quella dei sinodi diocesani, che Giovanni XXIII aveva usato molto da Patriarca di Venezia. Lì la faceva precedere da visite pastorali. Fece così anche a Roma, e cominciò – a partire dal 1959 – il giro delle parrocchie. Ma fece anche di più: spostò gli uffici del vicariato di Roma nel Palazzo Laterano, formando così una “cittadella laterana” composta dal vicariato, la Basilica e l’Università Lateranense.

Fu la morte ad impedire a Giovanni XXIII di fare il giro di tutte le parrocchie di Roma. Questo compito lo prese in carico Giovanni Paolo II, che – durante il suo lungo pontificato – ne visitò 317 su 333. Una serie di visite che era cominciato nel 1978 e che terminò nel 2002, tre anni prima della morte. Ma Giovanni Paolo II non aveva più forze di andare lì, e chiese alle rimanenti 16 parrocchie di andargli a far visita in Vaticano.

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C’è – ha affermato il Cardinal Camillo Ruini, che dal 1991 fino alla morte è stato il vicario di Giovanni Paolo II per la diocesi di Roma – “un vero e proprio magistero” di Giovanni Paolo II composto delle omelie che ha fatto nelle parrocchie di Roma, e che conteneva “una sorta di programma pastorale, pieno di suggerimenti sui temi dell’evangelizzazione, della catechesi, della famiglia, della difesa della vita umana.”

Ci teneva così tanto, Giovanni Paolo II, che preparava con cura ogni visita. Il parroco della chiesa che andava a visitare era generalmente invitato a pranzo la settimana prima, insieme al vescovo ausiliare della zona e al Cardinal Vicario, e il Papa polacco si informava della situazione dell’aerea, dei problemi comunitari, e di qualunque altra cosa potesse includere nell’omelia.

Molte delle visite ebbero luogo per il sinodo diocesano del 1992 e nel 1985, anno della Missione della Città di Roma. Una missione che Giovanni Paolo II aveva voluto per confrontarsi con la crescente secolarizzazione della Città Eterna.

Una secolarizzazione che preoccupava anche Giovanni XXIII. L’indizione del Concilio era una risposta ai segni dei tempi, come lo era stata la sua applicazione portata avanti con tenacia da Giovanni Paolo II.

Questo profilo spirituale e pastorale è la più forte linea di continuità tra i due Papi Santi. Che proprio per questo seppero tirare giù i muri. Il muro del dialogo ecumenico, supportato da Giovanni XXIII e portato avanti da Giovanni Paolo II. Il muro del comunismo, che cominciò a crollare quando l’attività diplomatica di Giovanni XXIII in qualche modo fermò la Crisi Cubana nel 1962, e che ebbe il colpo definitivo con la diplomazia della cultura e della verità di Giovanni Paolo II, l’uomo venuto da molto lontano. Il muro stesso del prevedibile, perché è stato attraverso i loro gesti, istintivi, improvvisi, che hanno entrambi portato la Chiesa verso il terzo millennio.