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Il Cardinale Piacenza spiega "Penitenza e Penitenzieria" ai tempi del giansenismo

Il Cardinale Piacenza, Penitenziere Maggiore |  | Juan Martín Barajas Il Cardinale Piacenza, Penitenziere Maggiore | | Juan Martín Barajas

Si terrà giovedì e venerdì prossimo il Simposio "Penitenza e Penitenzieria al tempo del giansenismo. Culture, teologie, prassi", giunto alla sesta edizione. Ad aprire i lavori nel Palazzo della Cancelleria a Roma sarà il "padrone di casa", il Cardinale Penitenziere Maggiore Mauro Piacenza, al quale ACI Stampa ha rivolto alcune domande su questo importante convegno. 

Iniziamo dal Giansenismo. Papa Francesco lo indica spesso come un “pericolo” che corre anche oggi la cristianità. Ma di cosa si tratta?

Il giansenismo fu una corrente di pensiero che prese le mosse dalla celebre opera Augustinus del vescovo olandese Cornelius Jansen, più noto col nome di Giansenio (1585-1638), e che si diffuse in tutta Europa, con molteplici sfumature, nel corso dei Seicento e del Settecento.
Giansenio sosteneva che l’uomo fosse intrinsecamente e irrimediabilmente corrotto dal peccato e che la sua volontà fosse impotente ad agire per il bene senza l’indispensabile aiuto della grazia divina. Dio avrebbe predestinato ogni creatura all’inferno o al paradiso e Cristo sarebbe morto solo per i predestinati, ai quali soltanto sarebbe comunicata la grazia efficace che determina infallibilmente la volontà dell’uomo al bene.
Tale dottrina, annullando la libertà dell’uomo ed estremizzando il ruolo della grazia, portò ad un approccio rigoristico sul piano della morale. Di fronte a un Dio arbitro assoluto della nostra sorte, l'atteggiamento più spontaneo non è l'amore, ma il timore.
D’altra parte, i giansenisti combatterono ferocemente quanti, accusati di lassismo, dimostrarono all’opposto la tendenza a dissolvere l’osservanza della legge morale nell’esame talvolta capzioso dei singoli casi, finendo per giungere a negare l’obbligazione a favore dell’opinione di volta in volta più probabile.
Sappiamo bene come Papa Francesco abbia più volte condannato entrambe queste derive estremistiche, ancora oggi, seppure in ben diverse proporzioni, sono presenti nella cristianità. Nel 2014, per esempio, nell’annuale discorso ai Parroci di Roma, egli affermò che «né il lassista né il rigorista rende testimonianza a Gesù Cristo, perché né l’uno né l’altro si fa carico della persona che incontra. Il rigorista si lava le mani: infatti la inchioda alla legge intesa in modo freddo e rigido; il lassista invece solo apparentemente è misericordioso, ma in realtà non prende sul serio il problema di quella coscienza, minimizzando il peccato».

Il Simposio ormai alla VI edizione racconta la storia della Penitenza e della Penitenzieria Apostolica. Chi è interessato a seguirlo oltre gli storici?

Certamente i Simposi si rivolgono principalmente a un pubblico specialista, composto trasversalmente non solo da storici, ma anche da teologi, giuristi, moralisti, esperti di storia delle idee religiose e della prassi ecclesiale. Sin dalla prima edizione nel 2009, inoltre, notevole è stato l’interesse riscosso presso gli studenti delle Università Pontificie e Statali di Roma.
Tuttavia, poiché scopo del convegno non è semplicemente rievocare idee del lontano passato ma fornire spunti che interpellino ancora le coscienze dei cristiani di oggi, ritengo che le tematiche che saranno trattate potranno contribuire a far riscoprire l’importanza del sacramento della Riconciliazione per ciascuno di noi. Le controversie sulla dottrina e la morale che infervorarono il Seicento e il Settecento ci interrogano profondamente sulla nostra attuale capacità di vivere il sacramento e la virtù della penitenza.

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Tra i molti temi ci sono due personaggi che emergono: il Muratori e Sant’Alfonso. Cosa dicono agli uomini di oggi?

Ludovico Antonio Muratori (1672-1750) fu certamente personaggio eclettico. Stigmatizzando alcune manifestazioni della pietà popolare e delle superstizioni religiose, egli intendeva sottolineare l’importanza di una partecipazione non esteriore al Santo Sacrificio della Messa e di un cristianesimo consapevole e socialmente attento all’emancipazione economica e culturale del popolo di Dio.
Particolarmente preziosa e, direi, ispirata dalla Divina Provvidenza fu l’opera di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787). Grazie all’esperienza personale formata con l’ascolto misericordioso della realtà e le lunghe ore passate in confessionale, nella celebrazione del sacramento che chiamava «ministero di grazia e di perdono», egli riuscì a delineare il giusto equilibrio tra la severità e la libertà, superando una visione rigidamente applicativa della legge morale.
Si racconta che ai confratelli soleva ripetere: «Siccome la lassezza, ascoltandosi le confessioni, ruina le anime, così loro è di gran danno la rigidezza. Io riprovo certi rigori, non secondo la scienza, che sono in distruzione e non in edificazione. Coi peccatori ci vuole carità e dolcezza: questo fu il carattere di Gesù Cristo. E noi, se vogliamo portare anime a Dio e salvarle, Gesù Cristo e non Giansenio dobbiamo imitare, che è il capo di tutti i missionari».
Non a caso il Beato Pio IX, nel 1871, lo dichiarò dottore della Chiesa con il titolo di doctor zelantissimus e San Giovanni Paolo II nel 1987, nel secondo centenario dalla morte, indicandolo quale «maestro della morale cattolica», ha inteso proporlo a modello per tutti i confessori.

Come ha affrontato il Giansenismo il magistero pontificio, e in particolare la Penitenzieria?

Di fronte alla pluralità di manifestazioni espresse dal Giansenismo, si riscontrano prese di posizione del Magistero pontificio di diversa portata. La condanna della dottrina dogmatica formulata nell’Augustinus fu espressa da papa Innocenzo X con la costituzione Cum occasione, del 31 maggio 1653. I pronunciamenti magisteriali successivi, invece, affrontarono principalmente le questioni legate alle concezioni morali e spirituali del giansenismo, che si ripercuotevano con effetti assai negativi sulla vita di fede dei cristiani: l’atteggiamento del Magistero fu quello di frenare il rigorismo giansenista, richiamando alla misericordia divina e alla paterna bontà di un Dio sempre disponibile al perdono. In tale senso fu quanto mai provvido lo sviluppo, fra i fedeli, della devozione al Sacro Cuore di Gesù.
Sulla stessa linea d’azione è da collocare l’attività della Penitenzieria Apostolica, sempre fedele al suo mandato di essere, nella Chiesa e per la Chiesa, il “Tribunale della Misericordia”. Paragonandola significativamente alla sorgente zampillante destinata a lavare il peccato e l’impurità della Casa di Davide (cfr. Zc 13,1), Papa Benedetto XIV indicava la Penitenzieria come quell’«ufficio nel quale tutti i fedeli, da ogni regione della Terra, potevano trovare riparo ai mali spirituali e conseguire una rapida medicina per le loro ferite, somministrata in segreto e gratuitamente» (costituzione Pastor bonus, 13 aprile 1744).