Il Vangelo di questa domenica ci presenta l’apparizione di Gesù risorto ai due discepoli di Emmaus, che essi non riconoscono. Nel dialogo che Cristo incomincia con i due sconfortati discepoli emerge innanzitutto il rimprovero che Egli rivolge loro: “Stolti e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti” (v.25). E poi per aiutare i suoi afflitti compagni di viaggio a comprendere la Sua vicenda svela loro che la sofferenza e la resurrezione sono un unico mistero annunciato nelle Sacre Scritture. Nei quaranta giorni seguiti alla Resurrezione, Gesù risorto si mostra spesso agli apostoli e insegna loro a leggere in profondità l’Antico Testamento, e così li aiuta a comprendere che la croce, proprio perché appartiene al progetto di Dio per la salvezza dell’umanità, non è una sconfitta, ma la via necessaria che il Messia doveva percorrere per giungere alla vittoria e alla gloria. Questo discorso ha senso solo se noi riconosciamo e accettiamo che la gloria del Signore non nasce, come quella del mondo, dal potere, dalla ricchezza e dal dominio, ma dall’amore. Infatti, con l’Incarnazione, il Figlio di Dio si è fatto in tutto simile a noi e, con un atto di libera obbedienza alla volontà del Padre, ha offerto la sua stessa vita per la nostra salvezza. Pertanto, con Gesù la morte è stata vinta, l’uomo ritrova la sua amicizia con Dio e sono riaperte per lui le porte del Paradiso. “E’ stolto e tardo di cuore”, dunque, chi non cerca nella Parola di Dio la resurrezione del Crocifisso.

Nell’episodio si dice che mentre Gesù spiega le Scritture i due discepoli sentono “ardere il loro cuore”. Ma allora ci chiediamo: “Per quale motivo il nostro cuore quando ascoltiamo la Parola di Dio difficilmente si riscalda?”. Probabilmente capita anche a noi quello che è accaduto ai due discepoli di Emmaus che conoscevano le Scritture, ma non ne avevano colto il significato più profondo. Il loro cuore comincia ad ardere quando Gesù spiega che ogni pagina della Bibbia parla di Lui e del suo mistero di morte e resurrezione. Infatti, nel testo sacro Cristo, Parola di Dio, ha incarnato se stesso.  Osserva san Bernardo di Chiaravalle: “Il Libro della vita è Gesù. Felice colui che viene a leggere questo Libro! Egli dovrebbe sempre avere dinanzi agli occhi e tra le mani – ossia nel cuore e nelle opere – questo libro che è Gesù”. La Bibbia, dunque, si risolve in Gesù Cristo. Lui è la lettera d’amore inviata da Dio all’umanità, alla Chiesa, al singolo cristiano. 

Si tratta di un insegnamento che appartiene alla vita della Chiesa, la quale da sempre legge la Parola di Dio con l’intendimento di incontrare in essa il Signore Gesù. Essa, infatti, è convinta che “Tutta la Sacra Scrittura è un solo libro, e quell’unico libro è Cristo” (Ugo di san Vittore). Il totale e continuo riferimento a Cristo rende la Scrittura una parola viva, capace di dare ali alla nostra vita spirituale e al nostro cuore di ardere per Gesù. Gesù, infatti, dice di se stesso in un Vangelo apocrifo: “Io sono il fuoco; chi mi è vicino è vicino al fuoco”. La vicinanza con Cristo è un fuoco, commenta sant’Ambrogio, che “illumina l’intimo recesso del cuore” (Exp in Luc. VII, 132). Se perdiamo la capacità di vedere la presenza di Cristo nella Scrittura, o cerchiamo nella Sacra Scrittura altro da Lui, saremo certamente persone biblicamente erudite, ma dal cuore freddo, spento e arido.