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Il Papa alla Curia romana, dopo le malattie gli "antibiotici"

Il Papa legge il suo discorso per gli auguri alla Curia  |  | CTV
Il Papa legge il suo discorso per gli auguri alla Curia | | CTV
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Il Papa legge il suo discorso per gli auguri alla Curia | | CTV
Il Papa saluta i presenti  |  | CTV
Il Papa saluta i presenti | | CTV

É la parola misericordia a guidare la riflessione del 2015 del Papa per la Curia Romana ma con lo sguardo anche alle “malattie” dello scorso anno che, dice il Papa “si sono manifestate nel corso di questo anno, causando non poco dolore a tutto il corpo e ferendo tante anime. Sembra doveroso affermare che ciò è stato – e lo sarà sempre – oggetto di sincera riflessione e decisivi provvedimenti”. Ma “la riforma andrà avanti con determinazione, lucidità e risolutezza, perché Ecclesia semper reformanda”.

Poi arriva la parte positiva: “le malattie e perfino gli scandali non potranno nascondere l’efficienza dei servizi, che la Curia Romana con fatica, con responsabilità, con impegno e dedizione rende al Papa e a tutta la Chiesa, e questa è una vera consolazione”. E, dopo aver citato Sant’ Ignazio, il Papa aggiunge: “Sarebbe grande ingiustizia non esprimere una sentita gratitudine e un doveroso incoraggiamento a tutte le persone sane e oneste che lavorano con dedizione, devozione, fedeltà e professionalità, offrendo alla Chiesa e al Successore di Pietro il conforto delle loro solidarietà e obbedienza, nonché delle loro generose preghiere. Per di più, le resistenze, le fatiche e le cadute delle persone e dei ministri rappresentano anche delle lezioni e delle occasioni di crescita, e mai di scoraggiamento”.

E per il 2015 il Papa propone un ““catalogo delle virtù necessarie” per chi presta servizio in Curia e per tutti coloro che vogliono rendere feconda la loro consacrazione o il loro servizio alla Chiesa”.

Misericordia, ogni lettera una riflessione, “come faceva Padre Matteo Ricci”, gli "antibiotici".

M come  Missionarietà e pastoralità per cui nasce “l’impegno quotidiano di seguire il Buon Pastore, che si prende cura delle sue pecorelle e dà la sua vita per salvare la vita degli altri”.

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Idoneità e sagacia, “contro le raccomandazioni e le tangenti” e anche “risposta umana alla grazia divina”.

S come  spiritualità e umanità.  Spiritualità “colonna portante di qualsiasi servizio nella Chiesa e nella vita cristiana” e l’umanità “che ci rende diversi dalle macchine e dai robot che non sentono e non si commuovono”.  E aggiunge: “Spiritualità e umanità, pur essendo qualità innate, tuttavia sono potenzialità da realizzare interamente, da raggiungere continuamente e da dimostrare quotidianamente”.

E si arriva alla e: esemplarità e fedeltà, “per evitare gli scandali che feriscono le anime e minacciano la credibilità della nostra testimonianza” e “fedeltà alla nostra consacrazione, alla nostra vocazione”.

Per la r il Papa sceglie “razionalità e amabilità” per “evitare gli eccessi emotivi” e “per evitare gli eccessi della burocrazia e delle programmazioni e pianificazioni” e aggiunge : “ogni eccesso è indice di qualche squilibrio”

E alla lettera i il Papa mette “ innocuità e determinazione” per essere “cauti nel giudizio, capaci di astenerci da azioni impulsive e affrettate” e “la determinazione è l’agire con volontà risoluta, con visione chiara e con obbedienza a Dio, e solo per la legge suprema della salus animarum”.

Alla c il Papa mette “carità e verità. Due virtù indissolubili dell’esistenza cristiana”. La o ricorda al Papa “onestà e maturità”. E dice il Papa “chi è onesto non agisce rettamente soltanto sotto lo sguardo del sorvegliante o del superiore; l’onesto non teme di essere sorpreso, perché non inganna mai colui che si fida di lui”.  E poi si arriva alla r di “rispetto e umiltà”. Rispetto “delle persone che cercano sempre di avere giusta considerazione degli altri, del proprio ruolo, dei superiori e dei subordinati, dalle pratiche, delle carte, del segreto e della riservatezza” . E  “l’umiltà invece è la virtù dei santi e delle persone piene di Dio, che più crescono nell’importanza più cresce in loro la consapevolezza di essere nulla e di non poter fare nulla senza la grazia di Dio.”

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Alla d il Papa sceglie la parola “Doviziosità” : “Più abbiamo fiducia in Dio e nella sua provvidenza più siamo doviziosi di anima e più siamo aperti nel dare, sapendo che più si dà più si riceve”.

Impavidità e prontezza indicano la lettera i. “ Essere impavido significa non lasciarsi impaurire di fronte alle difficoltà” ed “essere pronto vuol dire essere sempre in cammino, senza mai farsi appesantire accumulando cose inutili e chiudendosi nei propri progetti, e senza farsi dominare dall’ambizione”.

Infine la a : “affidabilità e sobrietà”. É affidabile chi “ irradia intorno a sé un senso di tranquillità perché non tradisce mai la fiducia che gli è stata accordata”. E la sobrietà “è uno stile di vita che indica il primato dell’altro come principio gerarchico ed esprime l’esistenza come premura e servizio verso gli altri”.

Il Papa conclude il suo discorso con una citazione di Ermes Ronchi. “Misericordia: scandalo per la giustizia, follia per l’intelligenza, consolazione per noi debitori. Il debito di esistere, il debito di essere amati si paga solo con la misericordia”.

E con una preghiera “che viene comunemente attribuita al Beato Oscar Arnulfo Romero, ma che fu pronunciata per la prima volta dal Cardinale John Dearden”.

Ecco il testo integrale:

Ogni tanto ci aiuta il fare un passo indietro e vedere da lontano.

Il Regno non è solo oltre i nostri sforzi, è anche oltre le nostre visioni.

Nella nostra vita riusciamo a compiere solo una piccola parte

di quella meravigliosa impresa che è l’opera di Dio.

Niente di ciò che noi facciamo è completo.

Che è come dire che il Regno sta più in là di noi stessi.

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Nessuna affermazione dice tutto quello che si può dire.

Nessuna preghiera esprime completamente la fede.

Nessun credo porta la perfezione.

Nessuna visita pastorale porta con sé tutte le soluzioni.

Nessun programma compie in pieno la missione della Chiesa.

Nessuna meta né obbiettivo raggiunge la completezza.

Di questo si tratta:

noi piantiamo semi che un giorno nasceranno.

Noi innaffiamo semi già piantati, sapendo che altri li custodiranno.

Mettiamo le basi di qualcosa che si svilupperà.

Mettiamo il lievito che moltiplicherà le nostre capacità.

Non possiamo fare tutto,

però dà un senso di liberazione l’iniziarlo.

Ci dà la forza di fare qualcosa e di farlo bene.

Può rimanere incompleto, però è un inizio, il passo di un cammino.

Una opportunità perché la grazia di Dio entri

e faccia il resto.

Può darsi che mai vedremo il suo compimento,

ma questa è la differenza tra il capomastro e il manovale.

Siamo manovali, non capomastri,

servitori, non messia.

Noi siamo profeti di un futuro che non ci appartiene.

L’incontro si è svolto nella Sala Clementina con il presepe al fianco del Papa e con le decorazioni natalizie. Nel suo saluto iniziale il cardinale Angelo Sodano, Decano del Sacro collegio, ha ricordato che molti erano assenti ed avevano mandato saluti personali al Papa e avevano anche telefonato per scusarsi. E citando l’anziano Michelangelo ha detto : “ io ci metto corpo e anima per Santo Petro”. Papa Francesco ha letto il testo stando seduto perché, ha detto "sono sotto influenza della influenza". Al fianco del Papa il Prefetto della Casa Pontificia Georg Gaenswein e l’ Elemosiniere Konrad Krajewski.

Il Papa si è poi soffermato a salutare i presenti facendo personalmente il giro della sala.