Advertisement

Papa Francesco nel Baltico: il Centro Betanija a Vilnius

Centro Betanija di Vilnius | L'ingresso del Centro Betanija a Vilnius | Andrea Gagliarducci / ACI Stampa
Centro Betanija di Vilnius | L'ingresso del Centro Betanija a Vilnius | Andrea Gagliarducci / ACI Stampa
Centro Betanija di Vilnius | Il muro della campagna pubblicitaria per i senzatetto Caritas al Centro Betanija | Andrea Gagliarducci / ACI Group
Centro Betanija di Vilnius | Il muro della campagna pubblicitaria per i senzatetto Caritas al Centro Betanija | Andrea Gagliarducci / ACI Group

Non ci sono solo i poveri da sfamare. C’è una mentalità da estirpare, un mondo nuovo da costruire. È questa la grande sfida della Chiesa cattolica, nei Paesi post-sovietici. Ed è questa la grande sfida che viene portata avanti nel Centro Betanija, a Vilnius.

Il centro Betanija non è parte del tragitto ufficiale di Papa Francesco. Situato non lontano dalla nunziatura di Vilnius, dove Papa Francesco starà nei giorni del viaggio, Betanija rappresenta una sfida e un riscatto allo stesso tempo. Una sfida, perché in prima linea per aiutare la gente a cambiare mentalità. Un riscatto, perché le persone che frequentano il centro hanno la possibilità appunto di riscattarsi, di passare dall’idea di essere uno scarto all’essere protagonisti.

Lo raccontano ad ACI Stampa Vladyslava Bortkevic e Miroslavas Seniutis, il primo responsabile del centro Betanija dal suo allargamento, il secondo suo braccio destro e successore ora che Vladyslava è passato a coordinare il lavoro della Caritas a un livello più alto.

“Betanija – raccontano – è parte della Caritas diocesana. Qui accogliamo soprattuto le persone senza tetto, senza dimora, poveri. Ecco, possiamo dire che è il luogo centrale dove si radunano i poveri della città”.

I numeri sono grandi: vengono accolti 150 poveri al giorno, durante l’inverno anche 200 che, dopo essere passate dalla mensa, restano nel centro diurno, dove si svolgono attività ricreative, in modo da coinvolgere le persone.

Advertisement

“Il vero problema è quello di combattere la mentalità sovietica. Si deve passare da una idea assistenzialista, in cui lo Stato provvedeva al minimo indispensabile, ma poi non ti permetteva di avere iniziative, alla necessità e volontà di prendere iniziative. Betanija non può essere solo un luogo dove si distribuisce cibo”, raccontano Vladyslava e Miroslavas.

L’ingresso del Centro è una piccola porta di un edificio poco rifinito. Ma c’è una grande sala comune, che dà direttamente sulla cucina, e poi una lavanderia, le docce, e persino un laboratorio dove si producono candele di tutte le fogge e di tutti tipi, che vengono vendute.

Sulle pareti, una campagna pubblicitaria organizzata dalla Caritas locale, che ritrae i senzatetto truccati e ben vestiti, per dimostrare che al di là dell’aspetto c’è una persona. Ma non è solo una campagna pubblicitaria. C’è chi è rimasto nel centro, è diventato responsabile della produzione, aiuta, è uscito dalla sua condizione di senzatetto.

Raccontano i responsabili che i volontari si dividono in tre gruppi: una trentina hanno lavoro e famiglia e sono lì per dare una mano; quindi ci sono i volontari che vengono dai gruppi parrocchiali, che si aggiungono ai laboratori di alcune aziende, e sono 150 – 200 persone; e poi ci sono una quindicina di poveri che vengono coinvolti anche loro nel volontariato.

“Fino al 2014 – spiegano - Betanija era soltanto una mensa. Poi abbiamo allargato al centro diurno. Fino a quel momento, le persone per poter venire a mangiare dovevano ricevere i permessi particolari che distribuiva il comune, e dovevano tornare a casa per portare il cibo. Le persone dovevano stare fuori in questa fila, indipendentemente dalle condizioni del tempo”.

L’idea di fare un centro con servizi ampliati è stata ispirata dal lavoro fatto dalla Caritas di Milano, e subito hanno cominciato a chiamare i giovani per trascorrere del tempo con le persone, non solo distribuire il cibo.

More in Storie

Vladyslava e Miloslava raccontano che è stato allora “che i visitatori hanno cominciato a cambiare i loro comportamenti, stando a contatto con le persone: sono diminuite le parolacce e le bestemmie, sono stati più attenti nel vestire. I gruppi hanno cominciato a proporre varie attività, laboratori. E questo ha permesso di superare alcune barriere, si sono sentiti più liberi”.

Circa la metà dei frequentatori del centro sono senza dimora, altri sono anziani che sono soli, e vengono al centro diurno per cercare compagnia. In buona parte sono dipendenti dall’alcool. L’inverno si sta sviluppando anche l’idea di accogliere le persone nel centro, perché il freddo può essere pericoloso, letale.

La cosa di cui sono più orgogliosi, però, sono i volontari che sono stati precedentemente assistiti dal centro. Rappresentano, in qualche modo, la speranza che un cambio di mentalità ci potrà davvero essere. Anche dopo la pioggia acida degli anni Sovietici.

(8 – continua)