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Il Signore è il mio pastore. IV Domenica di Pasqua

Il commento al Vangelo domenicale di S.E. Monsignor Francesco Cavina

Gesù Buon Pastore |  | pubblico dominio Gesù Buon Pastore | | pubblico dominio

Gesù, in questa quarta domenica di Pasqua, si presenta con queste parole: “Io sono il buon Pastore”. Questa presentazione che Cristo fa di se stesso è una delle più commoventi e suggestive. Non a caso in una delle prime raffigurazione - in un affresco nelle catacombe romane - Cristo viene rappresentato come un Pastore che porta  sulle spalle una pecora. Il Signore, utilizzando questa immagine, ci svela che il  rapporto tra Lui e i suoi discepoli è di appartenenza. Al mercenario, cioè al pastore prezzolato, le pecore non interessano poiché non sono sue e così quando si avvicina il lupo le abbandona al loro drammatico destino. Il pastore, invece, non si comporta così.

Ma in che cosa consiste quest’appartenenza? In primo luogo in un rapporto di reciproca conoscenza: Io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me". Una conoscenza che, da parte nostra, è fatta di accoglienza della Parola di Gesù - “ascolteranno la mia voce” - per essere da Lui guidati e giungere ad un rapporto di vera e profonda amicizia con Lui.

Questa relazione fra Gesù e i suoi fedeli è posta in essere dal dono che Egli fa della sua vita: "e offro la mia vita per le pecore". Poiché noi siamo da Lui conosciuti ed a lui noi apparteniamo, egli non può permettere che altre forze ci rapiscano e ci disperdano. A questo scopo ha offerto la sua vita. Si è trattato di una scelta assolutamente libera. Potendo disporre completamente di se stesso, ha deciso di morire per la nostra salvezza: "nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il poter di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo".

Il Cippo funerario di Abercio, un cristiano del II secolo, riporta questa iscrizione: “…io di nome Abercio, sono discepolo del santo Pastore che pascola greggi di pecore per monti e per valli, che ha occhi grandi, che dallalto guardano per ogni dove”.

Abercio ci ricorda che il discepolo di Cristo non rimane in balia di forze oscure, di un destino inesorabile e crudele. Cristo ha grandi occhi capaci di scrutare il cuore di ogni uomo. Chi è da Lui “guardato” e accetta il suo amore non è abbandonato nella regione di morte, ma entra nella terra dei viventi. Se ascoltiamo la sua voce, se crediamo in Lui, entriamo nel possesso della vita stessa del Signore.

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Sapere che sono amato, che c’è qualcuno che sa che io esisto e che si interessa e si preoccupa di me, rende la vita degna di essere vissuta. L’esperienza dell’appartenenza è  per la persona umana ciò che sono le radici per un albero. Il vangelo oggi ci dice che il Signore è il nostro pastore e che noi gli apparteniamo. Siamo quindi “suoi". Non abbiamo nulla da temere!