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"Immagino che state seguendo quello che è accaduto a Goma" il racconto di un missionario

Padre Gabriele Cimarelli racconta la sua vita in Congo

Padre Cimarelli a Tolentino |  | SB Padre Cimarelli a Tolentino | | SB

“Immagino che state seguendo quello che è accaduto a Goma. Le ultime notizie parlano di 3.000 morti senza contare i corpi insepolti . C’è il rischio di epidemie! Qui a Bukavu c’è molta tensione per il timore che la guerra arrivi fin qui. La Conferenza Episcopale Congolese ed il Consiglio delle Chiese protestanti cercano una via per la pace”: alcuni giorni fa ci ha scritto il missionario saveriano, p. Gabriele Cimarelli, che, dopo 10 anni di residenza in Italia, a metà gennaio è ripartito in missione nella Repubblica Democratica del Congo, pochi giorni prima dell’inasprimento del conflitto.

Infatti la regione orientale della Repubblica Democratica del Congo è un posto complicato e instabile, in cui sono attivi diversi gruppi armati; da ormai un anno l’M23, storicamente radicato nelle città di Masisi e Rutshuru, ha esteso il territorio che controlla ed all’inizio di quest’anno aveva completato l’accerchiamento di Goma, occupando Minova e Sake, i due principali centri urbani attorno al capoluogo; è lo stesso saveriano che ci scrive che tale Stato non ha mai conosciuto la parola pace:

“La Repubblica Democratica del Congo non ha mai vissuto un periodo di pace duraturo e stabile. L’indipendenza del Paese dalla colonizzazione belga, nel 1960, ha fatto precipitare il paese nella guerra civile; con l’ascesa al potere del presidente Mobutu la situazione securitaria è migliorata, ma a prezzo di una dittatura che ha mantenuto le tensioni nascoste sotto la cenere. La guerra nel vicino Rwanda nel 1994 ha riversato nel paese oltre due milioni di rifugiati, che hanno fatto nuovamente precipitare la situazione politica e scatenare nel 1996 quella che viene chiamata la ‘prima guerra del Congo’, estesa su tutte le regioni del paese”.

Prima della sua ripartenza missionaria avevo incontrato p. Gabriele Cimarelli a Tolentino, nelle Marche, chiedendo di spiegare questa nuova missione nella Repubblica Democratica del Congo: “Io sono un missionario saveriano ed il nostro carisma e quello della missione ‘ad gentes’  (ai non cristiani), ‘ad extra’ (al di fuori del proprio Paese) ed ‘ad vitam’ (per tutta la vita). Nella mia vita missionaria ho alternato periodi in Italia e nella Repubblica Democratica del Congo per ridare slancio alla mia vocazione. Ormai i saveriani sono una comunità internazionale, per cui concretamente ciascuno di noi vive la propria missione nel Paese destinato.

Sono già stato per 22 anni nella Repubblica Democratica del Congo ed è stata un’esperienza molto bella, assaporando i frutti che la Parola di Dio porta, perché ci sono comunità cristiane molto vive anche in situazioni difficili, in quanto la Repubblica Democratica del Congo ha vissuto e sta vivendo momenti difficili con molte situazioni di guerra. Ho 73 anni e non sono più giovane, però sento ancora questa carica missionaria, perché, come ripete continuamente papa Francesco, quando uno incontra Gesù sente sempre il bisogno di dare testimonianza ad altre persone. Siamo nel giubileo, che ha a tema la speranza, ed occorre essere testimoni di Gesù risorto, che è la nostra speranza, perché porta la riconciliazione e la pienezza di vita”.

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Cosa significa essere missionari?

“Le nuove Costituzioni del 2008 hanno riaffermato in modo inequivocabile la nostra identità: ‘Fine unico ed esclusivo dell’Istituto è l’annuncio della Buona Novella del Regno di Dio ai non cristiani’.    Oggi la nostra famiglia saveriana ha assunto un volto multicolore con l’arrivo di confratelli provenienti dall’Africa, America Latina ed Asia. La missione oggi tocca tutti i continenti, compresa l’Europa. Come noi siamo partiti dal nostro Paese per annunciare il Vangelo negli altri continenti, allo stesso modo giovani  missionari lasciano l’Africa, l’America Latina e l’Asia per venire ad annunciare il Vangelo nel nostro continente”.

Alcuni mesi fa sono stati beatificati tre missionari saveriani italiani Luigi Carrara, Giovanni Didonè (presbiteri) e Vittorio Faccin (religioso) ed il sacerdote diocesano franco-congolse Albert Joubert, uccisi il 28 novembre 1964 a Baraka e a Fizi in odium fidei: come è possibile trovare il fervore missionario da questa beatificazione, avvenuta nello scorso agosto?

“Questi martiri (tre saveriani ed un sacerdote franco congolese) sono stati beatificati lo scorso 18 agosto ad Ovida, martirizzati il 28 novembre 1964, poco dopo l’indipendenza dalla Francia. Questo martirio ci ricorda che ogni cristiano è chiamato ad essere testimone di Gesù risorto, anche fino all’effusione del sangue. Questi martiri erano giovani ‘ordinari’, che sono voluti rimanere accanto alla ‘loro’ gente pur sapendo che in quella situazione molto grave rischiavano di essere messi a morte, ma hanno voluto testimoniare questa fedeltà a Gesù fino in fondo.

La loro testimonianza diventa uno stimolo a non ‘sederci’: in Italia ed in Europa la Chiesa sta diventando sempre più minoranza con il rischio dello scoraggiamento; l’esempio di questi martiri ci dice che il Signore è capace di fare cose grandi con persone fragili e con piccole comunità cristiane, che come la Vergine Maria siamo disponibili a compiere la volontà del Signore rinnovando il nostro ‘sì’. Gesù come mezzi molto semplici è capace di compiere grandi cose”.

‘Perché è la speranza che vi anima, ben sapendo che se a tutti sta promesso il regno dei cieli, a coloro che abbandonano ogni cosa per seguire Cristo è riservato il centuplo nella vita eterna che ci attende’: così si esprimeva san Guido Maria Conforti, fondatore della congregazione saveriana, nell’omelia pasquale del 1929.

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Per quale motivo, secondo san Guido Maria Conforti, la speranza ci anima?

“Perché san Guido Maria Conforti ha sperimentato la speranza sulla sua ‘pelle’: seminarista a Parma a fine del XIX secolo ha scoperto la vocazione missionaria leggendo la vita di san Francesco Saverio, uno dei primi compagni di sant’Ignazio di Loyola, che è stato missionario in Oriente ed è morto alle ‘porte’ della Cina. Leggendo la sua vita san Conforti ha sentito il desiderio di partire per la missione; però aveva problemi di salute, per cui si è reso conto che non poteva partire per la missione ed ha deciso di fondare un istituto missionario.

E’ diventato anche vescovo di Ravenna e di Parma ed ha iniziato con pochissime forze: ad inizio del secolo scorso ha inviato in Cina un sacerdote ed un diacono, perché aveva grande fiducia in Gesù, che gli ha dato questa grande carica. Aveva ‘scoperto’ la vocazione da bambino ed un giorno, passando davanti al crocifisso di una scuola cattolica, ha iniziato un dialogo con Gesù: ‘io guardavo Lui e Lui guardava me’; da lì ha scoperto la sua vocazione sacerdotale. Quando noi partiamo per le missioni ci danno questo crocifisso: il crocifisso è il grande libro sul quale si sono formati i santi, è una sua frase. Ogni missionario, che parte, sa che Gesù lo accompagna, perché l’unica sua ‘forza’ è il Crocifisso e nella sua unione con Cristo è capace di superare gli ostacoli e di portare il Vangelo. Il suo motto era: fare del mondo una famiglia in Cristo”.

Allora, si può vivere senza speranza?

“Si può vivere senza speranza, però non è una vita. San Conforti nella vita ha avuto alcune ‘crisi’ a cui sono seguite le ‘ripartenze’, perché ha sperimentato che Gesù Cristo è la nostra speranza. Nella nostra spiritualità saveriana ci sono cinque caratteristiche: finalità missionaria; poi ha voluto che fossimo consacrati alla missione attraverso i tre voti di obbedienza, castità e povertà; altra caratteristica missionaria è quella di essere una famiglia in Cristo; infine il volto umano del saveriano. Oggi siamo saveriani provenienti da ogni parte del mondo ed è una ‘sfida’ vivere questo spirito di famiglia in un mondo lacerato da discordie. E’ una testimonianza per le nostre comunità: si può essere fratello pur facendo parte di culture diverse”. 

Avevamo concluso l’intervista con questo suo augurio di buon anno ai fedeli della parrocchia ‘Santa Famiglia’ di Tolentino: “In Gesù, Dio si è fatto uomo, si è messo al nostro servizio. Con Gesù, non dobbiamo più aspettare la venuta di Dio, ma accoglierlo nella nostra vita. La fede di un cristiano, la sua comunione con Dio appare da come ama, da quanto presta ascolto ai bisogni degli altri; dal sacrificarsi per il bene di tutti”.

 

Ecco i modi per sostenere la missione di p. Gabriele Cimarelli: Banca Nazionale del Lavoro IBAN: IT 09 F 01005 69200 000000 002001: Intesa San Paolo IBAN: IT 94 D 03069 69200 100000 006377; Poste Italiane: IBAN: IT 66 N 07601 13400 000014 616627, specificando la causale.