Roma , venerdì, 28. novembre, 2025 13:00 (ACI Stampa).
Il viaggio in Libano di papa Leone XIV fino al 2 dicembre rappresenta un momento importante di questo inizio di pontificato, perché il Libano, con la sua complessa struttura politica e religiosa, costituisce da sempre un punto d’incontro tra Oriente e Occidente, tra cristianesimo e islam, tra memoria e speranza. Infatti da anni la Santa Sede guarda con apprensione al deteriorarsi della situazione economica e alla fuga di tanti giovani, ma anche con ammirazione alla capacità di resistenza di un popolo che continua a credere nel proprio futuro.
Per questo papa Leone XIV ha voluto che la sua visita fosse un gesto di incoraggiamento a chi non si rassegna al declino morale e materiale del Libano: domenica 30 novembre il papa, dopo il saluto alle autorità, parteciperà alla piantumazione simbolica di un ‘cedro dell’amicizia’ nel giardino del palazzo presidenziale, cui prenderanno parte anche il Segretario di Stato vaticano ed il Patriarca di Antiochia dei Maroniti. Il logo del viaggio apostolico è: ‘Beati gli operatori di pace’.
Partendo dal logo abbiamo chiesto ai volontari ed alle volontarie dell’ ‘Operazione Colomba’ che operano al confine tra Libano e Siria, chiediamo se questo logo è un messaggio per una speranza: “Per Operazione Colomba, che opera al fianco delle vittime dei conflitti, l’essere ‘operatori di pace’ è un’azione concreta e nonviolenta di vicinanza, condivisione e costruzione di ponti di dialogo. E dunque certamente un messaggio di speranza, non intesa come l’attesa passiva di qualcosa che avverrà, ma intesa come fiducia che l’impegno quotidiano e concreto possa portare un cambiamento nel mondo”.
Quanto è importante questo viaggio per i credenti?
“Il viaggio di un Pontefice in un Paese come il Libano è percepito come un segnale di vicinanza e sostegno per una nazione che ha sofferto enormemente”.
Come è la situazione in Libano?
“La situazione in Libano è estremamente complessa e precaria. In un Libano già al collasso economico e sociale, dove la società civile funge da ultima rete di sicurezza per cittadini e rifugiati, l’ombra della guerra aggrava drammaticamente ogni aspetto della vita quotidiana. Le continue tensioni con Israele al confine con i raid aerei ed attacchi con droni che colpiscono infrastrutture nel sud del Libano e nella valle della Bekaa, innescano una spirale di paura e precarietà per la popolazione civile. Questo conflitto latente, con i suoi attacchi che devastano il territorio, amplifica l’emergenza umanitaria, rendendo ancora più fragile l'esistenza di chi vive nei campi profughi.
La caduta improvvisa del regime ha generato un’ondata di speranza, portando migliaia di profughi a rientrare in Siria, principalmente dal Libano e dalla Turchia. Le ragioni del rientro sono duplici: l'intenzione di partecipare alla ricostruzione del Paese e le difficilissime condizioni di vita incontrate nei Paesi di accoglienza, tra cui appunto il Libano. La Siria è ora governata da un nuovo esecutivo provvisorio che, pur avendo promesso inclusione e moderazione (come il Presidente ad interim Al Sharaa), solleva ancora molti interrogativi sulla stabilità e sulla reale possibilità di un sistema equo e rappresentativo.





