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La Chiesa in Germania scopre il suo lato oscuro degli abusi sui minori

Il cardinale Marx  |  | Acistampa Il cardinale Marx | | Acistampa

Dal 1946 al 2014 nelle diocesi tedesche un minorenne ogni settimana è stato vittima di aggressione sessuale da parte di sacerdoti, diaconi o religiosi. Dai 38.156 atti presi in considerazione compilati da 27 diocesi nei 68 anni oggetto dello Studio, commissionato dalla Conferenza episcopale tedesca a tre università tedesche (Mannheim, Heidelberg e Gießen), risulta che ben 3.677 minori sono stati vittime di abusi sessuali commessi da almeno 1.670 religiosi “accusati”.

Ossia ogni accusato ha commesso abusi su 2,5 vittime. Queste sono nel 62,8% dei casi di sesso maschile: dato che secondo lo Studio, marca la maggiore differenza con gli abusi sessuali su minori commessi in ambito non religioso. Nel 51,6% dei casi la vittima al primo abuso non aveva più di 13 anni, mentre l’età media degli accusati al primo abuso era di 42,6 anni. Tra le vittime si è inoltre potuta accertare una vasta gamma di disturbi fisici e psichici – quali depressioni, paura, disturbi dell’alimentazione e del sonno, sintomi da stress post-traumatico come incubi, strategie di evitamento, tendenze suicide e comportamenti autolesionisti, quali consumo di alcol e droghe – che possono essere considerati conseguenze degli abusi.

Il presidente della CET, il cardinale Reinhard Marx, ha deciso di portare spontaneamente il tema alla luce del sole presentando alla stampa, con qualche anticipazione già fornita nei giorni precedenti dallo Spiegel Online, il risultato di una ricerca voluta dalla stessa CET. «Ci siamo voltati per troppo tempo dall’altra parte, per proteggere le istituzioni e noi stessi, sacerdoti e vescovi», ha detto martedì 25 settembre a Fulda, durante l’assemblea autunnale dei vescovi, il presidente della CET. «Provo vergogna – ha proseguito il porporato – per il fatto che molti abbiano preferito non vedere e non percepire ciò che invece è accaduto e non si sono occupati delle vittime. Questo vale anche per me. Non abbiamo ascoltato le vittime. Chiedo perdono, anche personalmente, per questo fallimento e per il dolore arrecato».

Il presidente della CET e arcivescovo della Diocesi di Monaco e Frisinga ha già informato Papa Francesco del risultato dello Studio e ha dichiarato di voler portare il tema a discussione nel prossimo Sinodo dei giovani, in programma in Vaticano dal 3 al 28 ottobre, e ad un incontro dei vescovi in Vaticano nel 2019 dedicato proprio al tema “abusi”.

Anche se il risultato non ha sorpreso il delegato alla questione degli abusi per la CET, il vescovo di Treviri Stephan Ackermann si è detto “spaventato” dalla proporzione delle violenze. Evidentemente, ha affermato, «le misure di intervento e prevenzione sono inefficaci se non si innestano in strutture ecclesiali che contribuiscano ad impedire efficacemente l’abuso».

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Il professor Harald Dreßing, dell’Istituto centrale per l’igiene mentale e coordinatore scientifico dello studio, si occupa ormai da decenni di abusi e tuttavia si è detto «scosso dalla misura degli abusi sessuali nella Chiesa cattolica». Responsabili, a detta dello studioso, sarebbero il clericalismo, il rapporto della Chiesa con l’omosessualità, il celibato e perfino il sacramento della riconciliazione. Dreßing ha difeso preventivamente da possibili critiche (già mosse da più parti alla scientificità del lavoro) la metodologia seguita.

Lo Studio “Abuso sessuale di minori da parte di sacerdoti cattolici, diaconi e religiosi di sesso maschile nella giurisdizione della Conferenza Episcopale Tedesca”, è frutto del lavoro di un team interdisciplinare, ma i ricercatori non hanno potuto analizzare direttamente gli atti, ma solo i documenti redatti da collaboratori delle varie diocesi. Lacuna che, come ha spiegato il professor Dreßing, deriverebbe dalla legge sulla protezione dei dati personali. I ricercatori hanno però potuto sentire vittime ed incolpati, redigendo uno Studio che ,pur non scevro di «fattori limitanti» mantiene, secondo il suo coordinatore, serietà e intelligenza.

Lo studio presenterebbe, a detta di alcuni suoi critici, altre lacune: i nomi dei colpevoli sono occultati; non si distinguono le diocesi collaborative da quelle ostruzioniste; gli oltre 38.000 atti diocesani analizzati sarebbero solo una parte di quelli in possesso delle diocesi che, dunque, non avrebbero documentato tutti i casi. Le proporzioni degli abusi, stimate dai ricercatori, sarebbero dunque troppo “ottimistiche”. Lo stesso professor Dreßing ha ammesso che «questo numero di abusi è una stima al ribasso: di sicuro non sono stati meno di così».

Dall’altra parte però, sottolineano altri critici, lo Studio mostra come, tra tutti i casi, solo un quinto sia stato oggetto di procedimento giudiziario, poiché l’avvocatura di stato tedesca in tutti gli altri casi non ha riconosciuto motivo a procedere. Inoltre una grossa parte degli atti accusatori, sarebbe rimasta non provata.