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La PAV: "Togliere il diritto alla vita di chi è fragile significa rubare la speranza"

Presentato il documento “La vecchiaia: il nostro futuro. La condizione degli anziani dopo la pandemia” della Pontificia Accademia per la Vita

Il Papa saluta una donna anziana  |  | Alessio di Cintio/CNA Il Papa saluta una donna anziana | | Alessio di Cintio/CNA

“La pandemia ha fatto emergere una duplice consapevolezza: da una parte l’interdipendenza tra tutti e dall’altra la presenza di forti disuguaglianze. Siamo tutti in balìa della stessa tempesta, ma in un certo senso, si può anche dire che stiamo remando su barche diverse: le più fragili affondano ogni giorno. È indispensabile ripensare il modello di sviluppo dell’intero pianeta. Tutti sono interpellati: la politica, l’economia, la società, le organizzazioni religiose, per avviare un nuovo assetto sociale che metta al centro il bene comune dei popoli. Non c’è più nulla di privato che non metta in gioco anche la forma pubblica dell’intera comunità. L’amore per il bene comune non è una fissazione cristiana: la sua articolazione concreta, adesso, è diventata una questione di vita o di morte, per una convivenza all’altezza della dignità di ciascun membro della comunità”. Lo scrive la Pontificia Accademia per la Vita nel Documento  “La vecchiaia: il nostro futuro. La condizione degli anziani dopo la pandemia”, pubblicato oggi.

“Gli anziani – sottolinea il testo - sono stati tra i più colpiti dalla pandemia. Il numero di morti tra le persone oltre i 65 anni è impressionante. Durante la prima ondata della pandemia una parte considerevole dei decessi da Covid-19 si è verificato nelle istituzioni per anziani, luoghi che avrebbero dovuto proteggere la parte più fragile della società e dove invece la morte ha colpito sproporzionatamente di più rispetto alla casa e all’ambiente familiare. Dai calcoli comparati dei dati si rileva che la famiglia, invece, a parità di condizioni, ha protetto molto di più gli anziani. L’istituzionalizzazione degli anziani, soprattutto dei più vulnerabili e soli, proposta come unica soluzione possibile per accudirli, in molti contesti sociali rivela una mancanza di attenzione e sensibilità verso i più deboli, nei confronti dei quali sarebbe piuttosto necessario impiegare mezzi e finanziamenti atti a garantire le migliori cure possibili a chi ne ha più bisogno, in un ambiente più familiare. Tale approccio manifesta in maniera evidente ciò che Papa Francesco ha definito la cultura dello scarto”.

“E’ quanto mai opportuno – ribadisce la PAV - avviare una riflessione attenta, lungimirante e onesta su come la società contemporanea debba farsi prossima alla popolazione anziana, soprattutto laddove sia più debole. Peraltro, quanto è accaduto durante il Covid-19 impedisce di liquidare la questione della cura degli anziani con la ricerca di capri espiatori, di singoli colpevoli e, di contro, che si alzi un coro in difesa degli ottimi risultati di chi ha evitato il contagio nelle case di cura. Abbiamo bisogno di una nuova visione, di un nuovo paradigma che permetta alla società di prendersi cura degli anziani”.

Secondo l’Accademia “è indispensabile rendere le città abitabili anche per” gli anziani.  “E’ essenziale rendere le nostre città luoghi inclusivi e accoglienti per gli anziani e, in generale, per tutte le forme di fragilità”.

“A livello culturale e di coscienza civile e cristiana – si legge ancora nel testo - è quanto mai opportuno un profondo ripensamento dei modelli assistenziali per gli anziani. Imparare ad onorare gli anziani è cruciale per il futuro delle nostre società e, in ultima istanza, per il nostro futuro”. Abbiamo “il dovere di creare le condizioni migliori affinché gli anziani possano vivere questa particolare fase della vita, per quanto possibile, nell’ambiente a loro familiare, con le amicizie abituali. L’assistenza domiciliare deve essere integrata, con la possibilità di cure mediche a domicilio e un’adeguata distribuzione di servizi sul territorio. E’ necessario e urgente attivare una presa in carico dell’anziano laddove si svolge la sua vita. Tutto ciò richiede un processo di conversione sociale, civile, culturale e morale”.

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Parimenti è “evidente – prosegue il documento - la necessità di supportare le famiglie che, soprattutto se costituite da pochi figli e nipoti, non possono sostenere da sole, presso un’abitazione, la responsabilità a volte logorante di prendersi cura di una malattia esigente, costosa in termini di energie e di denaro. Va reinventata una rete di solidarietà più ampia, non necessariamente ed esclusivamente fondata su vincoli di sangue, ma articolata secondo le appartenenze, le amicizie, il comune sentire, la reciproca generosità nel rispondere ai bisogni degli altri. Il declino delle relazioni sociali colpisce in modo particolare gli anziani”.

“Anche la Chiesa Cattolica ha offerto e offre il proprio contributo nella gestione di molte case che ospitano e assistono persone anziane. La presenza di personale religioso costituisce un fattore di indubbio valore per istituzioni antiche e stimate, che per tanto tempo sono state una soluzione concreta ad una problematica sociale così complessa, come l’invecchiamento”.

“Le Diocesi, le parrocchie e le comunità ecclesiali – è l’appello della PAV - sono invitate ad una riflessione più attenta verso il mondo degli anziani. Negli ultimi decenni più volte i pontefici sono intervenuti per sollecitare senso di responsabilità e cura pastorale degli anziani. La loro presenza è una grande risorsa. Basti pensare al ruolo determinante che hanno avuto nella conservazione e nella trasmissione della fede ai giovani nei Paesi sotto i regimi atei e autoritari. L’evangelizzazione deve mirare alla crescita spirituale di ogni età, poiché la chiamata alla santità è per tutti, anche per i nonni. Non tutte le persone anziane hanno già incontrato Cristo e anche se l’incontro c’è stato, è indispensabile aiutarli a riscoprire il significato del proprio Battesimo, in una fase speciale della vita”.

“Preziosa – conclude il testo - è anche la testimonianza che gli anziani possono dare con la loro fragilità. Essa può essere letta come un magistero, un insegnamento di vita. Gli anziani ci ricordano la radicale debolezza di ogni essere umano. Nella debolezza è Dio stesso che, per primo, tende la mano all’uomo.  La vecchiaia va compresa anche in questo orizzonte spirituale: è l’età propizia dell’abbandono a Dio. Una società che sa accogliere la debolezza degli anziani è capace di offrire a tutti una speranza per il futuro. Togliere il diritto alla vita di chi è fragile significa invece rubare la speranza, soprattutto ai giovani. Ecco perché scartare gli anziani – anche con il linguaggio - è un grave problema per tutti. Implica un messaggio chiaro di esclusione, che sta alla base di tanta mancata accoglienza: dalla persona concepita a quella con disabilità, dall’emigrato a colui che vive per strada. La vita non viene accolta se troppo debole e bisognosa di cura, non amata nel suo modificarsi, non accettata nel suo infragilirsi. E non è purtroppo una remota eventualità, ma qualcosa che accade con frequenza, laddove l’abbandono, come ripete il Papa, diviene una forma di eutanasia nascosta e propone un messaggio che mette a rischio l’intera società. Privare gli anziani del loro ruolo profetico, accantonandoli per ragioni meramente produttive, provoca un incalcolabile impoverimento, un’imperdonabile perdita di saggezza e di umanità. Scartando gli anziani, si recidono le radici che permettono alla società di crescere verso l’alto e di non appiattirsi sui momentanei bisogni del presente”.