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La vera salvezza è la risurrezione. Quinta Domenica del Tempo Ordinario

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Domenica scorsa nel brano di Vangelo abbiamo contemplato Gesù che predica e compie un esorcismo. Oggi accompagniamo Gesù nella sua opera di guaritore e nella sua preghiera. Gesù lascia la sinagoga, luogo pubblico, e si reca nella casa di Pietro e Andrea, dove trova “La suocera di Pietro… a letto con la febbre…”

La malattia, da una parte, contraddice al nostro desiderio di stabilità, di sicurezza e di tranquillità perché rivela la fragilità della condizione e, dall’altra parte, richiama un’altra malattia che nessuna medicina può curare, la morte. In definitiva la malattia rivela una natura che ha bisogno di essere totalmente risanata.

Gesù compie un gesto: “…la fece alzare prendendola per mano”.

Il testo greco favorisce una traduzione diversa: “la resuscitò”. E’ lo stesso verbo utilizzato nel racconto della resurrezione della figlia di Giairo (5.41) e della resurrezione di Gesù (12.26; 16.6).

Per Gesù, dunque, la sola vera salvezza dell’uomo non è la guarigione da una febbre passeggera, ma è la nostra resurrezione con la quale entreremo definitivamente nel Regno di Dio dove “non ci sarà più la morte, né il lutto, né lamento, né affanno perché le cose di prima sono passate” (Ap.21.4). Questo dà ragione del perché Cristo non guarisce tutti i malati che incontra sul suo cammino. Intende sottolineare che il male radicale, la vera malattia che intacca la nostra vita è essere separati da Dio. Ciò che ci impedisce di raggiungere la meta finale della nostra vita è il peccato. Per questo motivo siamo chiamati ad avvertirne la gravità ed il bisogno della misericordia, che è invocazione della presenza del Signore.

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L’intervento salvifico di Cristo nella nostra vita ci fa risorgere e ci incammina sulla strada del servizio per alleviare le sofferenze dei fratelli. Pertanto, come la malattia è segno della nostra fragilità, così curare un malato diviene il segno di quella guarigione totale che è la resurrezione.

Gesù predica, esorcizza, guarisce, si ritira in preghiera.

Al mattino si alzò…si ritirò in luogo deserto e là pregava” (1.35). Mentre attorno a lui cresce la fama, il prestigio e l’emotiva ricerca di lui, il Signore si ritira a pregare. L’entusiasmo delle folle e la popolarità corrono il rischio di condizionare la missione di Cristo, il quale supera questa difficile situazione con la preghiera. La forza della preghiera si rende evidente quando al mattino i discepoli lo trovarono e gli dissero: “Tutti ti cercano” ed Gesù risponde: “Andiamo altrove” (1.38). Ciò che lo guida non è la ricerca della popolarità, ma la fedeltà alla sua missione.

Gesù nei Vangeli viene presentato come un insuperabile Maestro di preghiera.

La sua preghiera è breve. Non usa abbondanza di parole (Mt. 6.7). La sua preghiera è diversa da quella dei farisei che pregavano per farsi vedere (Mt. 6.5). Egli raccomanda una preghiera fatta nella discrezione e nella riservatezza (Mt.6.6). Anche il luogo che Gesù sceglie per pregare, è particolare: un monte, l’orto degli ulivi, il deserto. Il Signore ricerca il silenzio e la “compagnia della solitudine”. Una solitudine che non è ripiegamento su se stesso, ma ricca di presenze: c’è la presenza del Padre, c’è la presenza dello Spirito, c’è la presenza della folla, c’è la presenza di coloro che soffrono…

 

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