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L'Anno di Giovanni Paolo II, scienza e fede e la questione di Galileo Galilei

Il lavoro della Pontificia Accademia delle Scienze voluto da Giovanni Paolo II per imparare dal passato e cambiare il futoro

Giovanni Paolo II in visita alla Pontificia Accademia della Scienze |  | Pontificia Accademia della Scienze Giovanni Paolo II in visita alla Pontificia Accademia della Scienze | | Pontificia Accademia della Scienze

Uno dei grandi temi che ogni Pontefice “moderno” ha affrontato è quello del rapporto tra fede e scienza. Giovanni Paolo II fin di primi mesi del suo pontificato ha voluto mettere in evidenza la sua attenzione alla Pontificia Accademia delle Scienze.

La Accademia ha origini antichissime. Le sue origini sono legate alla Accademia dei Lincei, fondata a Roma nel 1603 come prima accademia esclusivamente scientifica del mondo.

Ne era socio Galileo Galilei dal 25 agosto 1610. Ma con la morte di Federico Cesi si dovette attendere il 1847 quando Papa Pio IX rifondò l’Accademia col nome di Pontificia Accademia dei Nuovi Lincei. Fu poi Pio XI nel 1936 a rifondarla con il nome di Pontificia Accademia delle Scienze. La sede nella prestigiosa Casina Pio IV, costruita nel 1561 come residenza estiva di Papa Pio IV nel verde dei Giardini vaticani è un luogo simbolo anche della internazionalità degli accademici.  Ottanta uomini e donne di ogni perte del mondo nominati dal Santo Padre per i loro merito scientifici.

La particolarità della Pontificia Accademia delle Scienze è la sua indipendenza. Il suo lavoro è gestito solo dallo statuto per “promuovere il progresso delle scienze matematiche, fisiche e naturali e lo studio dei relativi problemi epistemologici”.

Il primo incontro di Giovanni Paolo II con l’Accademia avvenne il 10 novembre 1979. L’occasione era speciale, si commemorava la nascita di Albert Einstein. Il Papa delineò immediatamente i vantaggi della ricerca scientifica e i rischi di una scienza troppo fiduciosa in se stessa.

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“La scienza pura è un bene, degno di essere molto amato, perché è conoscenza e quindi perfezione dell’uomo nella sua intelligenza: essa deve essere onorata per se stessa, ancor prima delle sue applicazioni tecniche, come parte integrante della cultura. La scienza fondamentale è un bene universale, che ogni popolo deve poter coltivare con piena libertà da ogni forma di servitù internazionale o di colonialismo intellettuale”.

Ma il rischio c’è: “purtroppo, come ho già detto nella mia Enciclica Redemptor Hominis, “l’uomo d’oggi sembra essere sempre minacciato da ciò che produce... In questo sembra consistere l’atto principale del dramma dell’esistenza umana contemporanea” (Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 15). L’uomo deve uscire vittorioso da questo dramma, che minaccia di degenerare in tragedia, e deve ritrovare la sua autentica regalità sul mondo e il pieno dominio sulle cose che produce”.

La strada da seguire il Papa la vede alla luce del Concilio Vaticano II: “Come la religione richiede la libertà religiosa, così la scienza rivendica legittimamente la libertà della ricerca. Il Concilio ecumenico Vaticano II, dopo aver riaffermato col Concilio Vaticano I la giusta libertà delle arti e delle discipline umane, operanti nell’ambito dei propri principi e del proprio metodo, riconosce solennemente “la legittima autonomia della cultura e specialmente delle scienze” (Gaudium et Spes, 59). Nell’occasione di questa solenne commemorazione di Einstein desidero riconfermare le affermazioni conciliari sull’autonomia della scienza nella sua funzione di ricerca della verità scritta nel creato dal dito di Dio”.

La strada segnata è chiara. E il compito che il Papa affida alla Accademia è grandioso: rivedere la questione di Galileo alla luce proprio del rinnovato rapporto tra scienza e fede. Un compito storico.

É ancora il Concilio a fare da guida: “La confessione galileiana della illuminazione divina nella mente dello scienziato trova riscontro nella già citata Costituzione conciliare della Chiesa nel mondo contemporaneo: “Chi si sforza con umiltà e con perseveranza di scandagliare i segreti della realtà, anche senza avvertirlo viene condotto dalla mano di Dio” (Gaudium et Spes, 36). L’umiltà richiamata dal testo conciliare è una virtù dello spirito necessaria tanto per la ricerca scientifica, quanto per l’adesione alla fede. L’umiltà crea un clima favorevole al dialogo tra il credente e lo scienziato e richiama l’illuminazione di Dio, già conosciuto e ancora ignoto, ma tuttavia amato, sia nell’un caso sia nell’altro, da chi umilmente ricerca la verità”.

Si arrivò nel 1992 ad una dichiarazione storica sulla questione. Il 31 ottobre il Papa ricevette dagli accademici il testo delle conclusioni della Commissione per lo studio della controversia tolemaica-copernicana.

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In occasione della Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze il Papa spiega che la questione galileiana è tanto importante perché “una doppia questione sta al cuore del dibattito di cui Galileo fu il centro. La prima è di ordine epistemologico e concerne l’ermeneutica biblica.  Ne deriva  dice il Papa che “L’irruzione di una nuova maniera di affrontare lo studio dei fenomeni naturali impone una chiarificazione dell’insieme delle discipline del sapere”.

C’è poi un aspetto pastorale che il Papa considera: “ In virtù della missione che le è propria, la Chiesa ha il dovere di essere attenta alle incidenze pastorali della sua parola. Sia chiaro, anzitutto, che questa parola deve corrispondere alla verità. Ma si tratta di sapere come prendere in considerazione un dato scientifico nuovo quando esso sembra contraddire delle verità di fede”.

Il Papa arriva in quel memorabile discorso ad una conclusione che è di riferimento anche oggi: “L’errore dei teologi del tempo, nel sostenere la centralità della terra, fu quello di pensare che la nostra conoscenza della struttura del mondo fisico fosse, in certo qual modo, imposta dal senso letterale della S. Scrittura. Ma è doveroso ricordare la celebre sentenza attribuita a Baronio: “Spiritui Sancto mentem fuisse nos docere quomodo ad coelum eatur, non quomodo coelum gradiatur”. In realtà, la Scrittura non si occupa dei dettagli del mondo fisico, la cui conoscenza è affidata all’esperienza e ai ragionamenti umani. Esistono due campi del sapere, quello che ha la sua fonte nella Rivelazione e quello che la ragione può scoprire con le sole sue forze. A quest’ultimo appartengono le scienze sperimentali e la filosofia. La distinzione tra i due campi del sapere non deve essere intesa come una opposizione. I due settori non sono del tutto estranei l’uno all’altro, ma hanno punti di incontro. Le metodologie proprie di ciascuno permettono di mettere in evidenza aspetti diversi della realtà”.

Giovanni Paolo II conclude con una indicazione di metodo: “Esiste, per l’umanità, un duplice genere di sviluppo. Il primo comprende la cultura, la ricerca scientifica e tecnica, cioè tutto ciò che appartiene all’orizzontalità dell’uomo e della creazione, e che si accresce con un ritmo impressionante. Se questo sviluppo non vuol restare totalmente esterno all’uomo, è necessario un concomitante approfondimento della coscienza come anche della sua attuazione. Il secondo modo di sviluppo concerne quanto c’è di più profondo nell’essere umano allorché, trascendendo il mondo e se stesso, egli si volge verso Colui che è il Creatore di ogni cosa”.