Il cieco nato guarito da Gesù, di cui ci parla il brano di Vangelo della IV  domenica di Quaresima, giunge a riconoscere che quell’uomo che gli ha restituito la vista è il “Signore”. Non gli attribuisce questo titolo per motivi di cortesia o di rispetto, ma perchè riconosce in Lui il Figlio di Dio. Questo ci porta a riconoscere che la fede del cristiano non è una fede in una qualsiasi divinità, non si risolve neppure in un vago sentimento religioso, e neppure in una forte emozione interiore, ma ha un contenuto ben preciso: essa è fede in Gesù Cristo, Figlio di Dio e figlio di Maria, vero Dio e vero Uomo. La catechesi e la predicazione, se non vogliono tradire la missione che il Signore Gesù ha affidato alla sua Chiesa, non possono limitarsi a presentare solo l’umanità di Cristo e tacere della sua divinità, perché un Gesù solo uomo non può salvare dai peccati e dalla morte. Oggi si parla molto di crisi della Chiesa, ma non possiamo dimenticare che essa ha sempre alla sua radice il mancato riconoscimento della divinità di Cristo. Tutto il resto consegue. Questa connessione – crisi di fede- crisi della Chiesa – è stata colta da un grande dottore della Chiesa, sant’Ilario, il quale  con grande lucidità scriveva che alcuni sarebbero giunti a confessare di credere in Cristo, negando però che era il Figlio di Dio (cfr De Trinitate, 6,48).

Davanti a Gesù che si rivela entra in gioco la libertà dell’uomo, il quale può decidere di aprirsi al Mistero di Dio che si rivela oppure di chiudersi in un orgoglio presuntuoso. E questo è il vero e grande peccato che fa scendere la notte sul mondo. L’uomo, quasi inebriato della sua grandezza, si affida alle opere delle sue mani e della sua intelligenza credendo di trovare la salvezza a prescindere da Dio, considerato il retaggio di un’epoca ormai superata.

E’ innegabile che è possibile compiere grandi opere indipendentemente dalla fede. L’industria, il commercio, la cultura, la scienza, la tecnica…possono svilupparsi a prescindere dalla fede e da Dio. Tuttavia appare sempre più evidente che l’uomo, nonostante le straordinarie conquiste che ha raggiunto, non è contento, non è tranquillo, è insoddisfatto. Anche la vita sociale è turbata da tante inquietudini,  incertezze e paure. L’uomo di oggi vive, ma il perché della vita gli sfugge. Gli manca qualcosa, o meglio Qualcuno: gli manca Dio. Infatti, come insegna Gesù, l’uomo non vive di solo pane, cioè di beni materiali, ma ha bisogno anche della Parola di Dio. Sant’Agostino vede nel cieco nato l’umanità intera che, lontana da Cristo, cammina nelle tenebre. Occorre che in essa si accenda una luce. E questa luce è Cristo.

Siamo chiamati a lasciare che il Signore invada la nostra vita e ad entrare in un processo di trasformazione interiore che deve portarci, per usare la bella espressione di san Paolo, a “rivestirci di Cristo” (Rm 13,14). Il fine ultimo, infatti, di ogni uomo è di diventare un altro Cristo, perché solo chi è trasformato in Lui potrà entrare nella casa del Padre. E’ questo l’unico e vero obiettivo dell’esistenza umana.