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Le Finanze del Papa: perché ci sono, a cosa servono, quale è la loro storia

IOR | Il Torrione Nicolo IV, sede dell'Istituto per le Opere di Religione  | Veronica Giacometti / ACI Stampa IOR | Il Torrione Nicolo IV, sede dell'Istituto per le Opere di Religione | Veronica Giacometti / ACI Stampa

Cosa sono le finanze del Papa? Come si sono strutturate? Come funzionano e perché esistono? Sono moltissimi i libri che affrontano il tema, e lo fanno quasi sempre da un punto di vista giornalistico o scandalistico. A volte non tengono in considerazione le peculiarità della Santa Sede e dello Stato di Città del Vaticano. Altre volte si traducono in un semplice attacco, mosso sull’onda degli scandali. Mancava, però, un lavoro realmente scientifico sull’argomento.

Lo ha fatto il professor Pier Virginio Aimone Braida, un canonista che ha insegnato all’Università di Friburgo e che ora tiene un corso all’Urbaniana. Il libro si chiama “Le Finanze del Papa”, ed è stato pubblicato dall’Urbanian University Press. Con ACI Stampa, il professor Aimone Braida prova a fare il punto sul perché delle finanze della Santa Sede e il modo in cui sono gestite.

Perché la Santa Sede ha bisogno di un settore finanziario? 

Non so se la Santa Sede e lo Stato della Città del Vaticano abbiano bisogno specificamente di un settore finanziario. Un problema singolare nasce dall’intersecarsi della Santa Sede e dello Stato di Città del Vaticano, due soggetti giuridici distinti ma connessi intimamente. Certamente la Santa Sede (come ogni Ente ecclesiastico, diocesi, Istituto religioso, fondazione, scuola) può svolgere la sua specifica missione in questo mondo se può contare su un sostegno economico, sia per l’attività istituzionale, sia per il personale (3000 persone attualmente per oltre 2/3 ecclesiastici secolari o religiosi).

La Chiesa anglicana in Inghilterra ha un patrimonio economico di valore equivalente a quello della Santa Sede. I ‘commissioners’ gestiscono questo patrimonio e con le rendite sostengono l’attività istituzionale della Chiesa anglicana. Ho letto alcune informazioni sulla gestione (a lungo termine, comprendente anche un ingente patrimonio forestale) che rende oggi circa il 10% annuo.

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Lo Stato di Città del Vaticano ha circa 2000 dipendenti quasi tutti laici, svolge una attività del tutto secolare, é una piccola impresa e non mi nascondo che, ancorché utile, la sua attività e gestione pone diversi problemi (farmacia ed annona, buoni benzina ad esempio, sono necessari  o determinati solo da problemi di cassa?)

Tra i rilievi del suo libro, il fatto che Paolo VI intendeva affidare anche le finanze ad ecclesiastici. Perché questa scelta? E perché questa scelta non ha potuto funzionare? 

Paolo VI, lombardo, il quale, come sostituto e pro-segretario, conosceva molto bene la Curia e gli intrecci economici della Santa Sede molto ‘romani’ ha cercato di liberare sia lo Santa Sede sia lo Stato di Città del Vaticano da questi intrecci, nei quali laici ‘romani’, si pensi al ‘gestore’ dello SCV o agli amministratori dell’APSA e IOR, avevano molti poteri. Ha pensato dunque di affidare formalmente questi poteri ad ecclesiastici anche con la creazione della Prefettura per gli affari economici, che Benz riteneva la riforma più rilevante, per quanto riguarda le finanze, della Costituzione Apostolica Regimini Ecclesiae Universae e che invece sembra destinata a scomparire. Ma la gestione é rimasta in mano a laici ‘romani’. Anche nella scelta degli ecclesiastici non si fu talora molto felici : si pensi al Presidente dello IOR, scelto perché ‘americano’ e dunque se ‘americano’ bravo negli affari (così mi aveva detto tempo fa un ecclesiastico che ne sapeva, ormai in patriam vocatus, quando anche il direttore laico dello IOR, una santa persona, fu coinvolto in circostanze ‘complesse’). Ma anche il Prelato gestiva lo IOR in modo molto ‘romano’. Mi permetto di non fare alcun nome, non so se conosca l’ambiente di quel tempo e i nomi dei vari amministratori. Posso solo ricordare che Pio XI era ‘milanese’ e l’entourage anche ‘milanese’ ;   Pio XII era ‘romano’ e l’entourage anche ‘romano’ e che gli anni dopo la seconda guerra furono certamente anni ‘dell’onnipotenza’.

L'ultima riforma economica della Santa Sede ha visto dei passi avanti e poi passi indietro. Ora, in pratica, sembra si sia tornati allo status quo. Perché le riforme avviate nel triennio del 2010 al 2013 erano considerate insufficienti?

La risposta la dovrebbe trovare sia nelle provvisorie conclusioni del mio volumetto in cui emerge un certo scetticismo (ricordando la commissione ‘Gagnon’ che aveva il sostegno di Paolo VI) sia dalla considerazione che avrei aggiunto in una seconda edizione, riprendendo quanto viene detto nel romanzo di Tomasi di Lampedusa, che le é certamente noto : occorre che tutto cambi, perché tutto resti come prima. Tuttavia vi sono stati passi verso la buona direzione per trasparenza e affidabilità, ma manca ancora una visione organica ed é anche una questione di mentalità ‘romana’ e di rivalità molto umane e poco evangeliche.

Lei delinea la storia delle finanze pontificie, e il modo in cui le finanze si sono sviluppate nel corso dei secoli, addirittura. Mi chiedo: c'è un modo per definire un principio comune al modo in cui sono state gestite le finanze della Santa Sede? Una linea rossa interpretativa da seguire?

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Le circostanze hanno determinato la gestione finanziaria: l’introduzione dell’Obolo di San Pietro, la scelta di Pio IX (di passare dalla rendita agraria evanescente degli Stati pontifici al contributo libero dei fedeli) ; la grave penuria finanziaria tra il 1870 e il 1929 ; le risorse ingenti dopo il 1929 e fino al 1965 ; le notevoli difficoltà dei 20 anni seguenti ; le migliori prospettive degli anni novanta del XX secolo e l’equilibrio ristabilito; le nuove difficoltà del periodo successivo. Le finanze della Santa Sede sono comunque, a mio parere, di sopravvivenza: è la linea rossa di tutti questi periodi (salvo forse il periodo 1930-1960, più opulento).

Senza entrate tributarie qualunque entità, oggi, fatica. Le faccio un esempio. In Svizzera vi sono circa 2,5 milioni di cattolici. Le entrate tributarie (imposta ecclesiastica) annue ammontano a circa 1 miliardo di euro. Sono gestite da laici. I vescovi ne hanno a disposizione l’1%. La parrocchia di Givisiez nel Cantone di Friburgo, dove ho la residenza anagrafica, conta 2000 cattolici ha un bilancio annuo di circa 3 milioni di euro, gestiti da laici. Faccia il paragone con una parrocchia italiana o anche con le risorse della Santa Sede.

Spesso, il problema sulle finanze della Santa Sede è di tipo comunicativo. In molti casi si confonde Santa Sede con Città del Vaticano con le amministrazioni ecclesiastiche. In altri casi, semplicemente non si capisce l'utilità delle finanze della Santa Sede. Ma come si può davvero comunicare il tema "le finanze del Papa"? In che modo, secondo lei, liberarsi da un certo tipo di lettura che ormai imperversa sui giornali e su pubblicazioni anche considerate autorevoli? 

Trasparenza, trasparenza e ancora trasparenza. Nessuna paura. Dire le cose come stanno. Bilanci pubblici per tutti gli enti che fanno capo a Santa Sede e SCV, per la CEP, per i Dicasteri, per il personale, per gli investimenti mobiliari e immobiliari, sulle destinazione del denaro, salari, pensioni, locazioni. Non servirà a molto, ma a qualcosa forse.

Certamente sussiste una confusione semantica tra Santa Sede, Città del Vaticano, Diocesi di Roma, Istituti di vita consacrata presenti a Roma e anche Chiesa italiana: è tutto, per molti media, semplicemente il Vaticano, confusione talvolta voluta anche per ragioni ideologiche.

Si pensi alla destinazione tributaria italiana: alla Santa Sede, al ‘Vaticano’ non spetta assolutamente nulla, almeno direttamente (alla diocesi di Roma va in proporzione detta destinazione e la CEI sta aiutando con questi mezzi anche la Santa Sede ; prima per Roma e anche per l’Italia era il contrario) ma per molti media questa distinzione non sussiste.Non é certamente facile perché fanno vendere molto di più i preti che si occupano (male) di soldi.

Perplessità destano alcune pubblicazioni molto superficiali su quotidiani economici che dovrebbero essere più competenti, ma tant’é, le cose vanno così.