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Le storie di resurrezione nei "Fatti di Vangelo" della pandemia da Covid-19

Un libro di Luigi Accattoli e Ciro Fusco per raccontare la presenza di Cristo in chi prende cura degli altri

I Sacramenti in ospedale durante la pandemia  |  | Ufficio Stampa Policlinico Gemelli
I Sacramenti in ospedale durante la pandemia | | Ufficio Stampa Policlinico Gemelli
La copertina del libro  |  | Vitrend
La copertina del libro | | Vitrend

Il vaticanista Luigi Accattoli ha curato, insieme al collega Ciro Fusco, un opuscolo che raccoglie ‘settantadue storie italiane di morte e risurrezione nella stagione del Covid-19’, intitolato ‘Fatti di Vangelo in pandemia’: “Noi, autori di un’antologia di storie di vita, non ci sentiamo autorizzati a tirare un bilancio, ma dal nostro punto di osservazione azzardiamo una parola di maggiore fiducia: forse a quello che è mancato, se è mancato, nella voce della ‘Ecclesia docens’ ha in parte supplito la testimonianza data in vita e in morte dall’insieme dei singoli credenti”. 

Nel volume tante storie, che raccontano esperienze di vita, capaci di far  riscoprire il significato cristiano della cura: “Il messaggio positivo di questa esperienza… è quello di vedere una generazione di giovani medici e sanitari che si dedicano totalmente a questa emergenza. Nel loro servizio possiamo riscoprire la presenza del Signore, molto più potente, fedele e capillare delle forme a cui noi siamo abituati. Al di là delle forme della tradizione, c’è il mistero reale e presente del Cristo incarnato. E quindi chi si prende cura dei fratelli è Cristo che si prende cura di Cristo. Questo è il vero nome di tutto ciò che accade. E questo conferisce senso all’attesa, alla pazienza e anche al dolore”. 

Storie di Vangelo che dal blog, da cui è scaturito il libro, raccontano anche di sacerdoti, di medici e di infermieri: “I nostri morti sono tanti: 39.764 nel momento in cui scrivo. Da marzo a oggi se ne è andata, non riuscendo a respirare, una popolazione come quella della città di Macerata o di Rovereto. Ma poche, tra così tante vicende luttuose, hanno un contenuto testimoniale narrabile. 

Magari molte ce l’hanno per i familiari e per quanti hanno curato chi moriva: il modo di affrontare la morte e il testamento a esso affidato possono infatti essere comunicati anche con un sorriso, una lacrima, un movimento degli occhi. Qualche storia che si conclude con uno sguardo l’ho pure narrata, ma ho cercato spesso inutilmente un ultimo messaggio inviato con il telefonino, una parola di commiato…

Un paio delle mie storie narrano di famiglie che accompagnano una madre e una figlia al cimitero in regime di massima chiusura, con gli altri parenti costretti a seguire il rito della tumulazione dalla finestra…

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Michela Fanti (22 anni, di Treviso) appena laureata infermiera, e già disponendo di un altro lavoro, si offre per assistere i malati di COVID. Marta Ribul, volontaria internazionale bloccata in partenza per il Kenya, va infermiera all’ospedale COVID di Bergamo, dove compie 27 anni nel pieno dell’emergenza”.

Ad Accattoli chiediamo di spiegarci il motivo di raccontare la pandemia: “Per esercitare uno sguardo contemplativo sulla vita delle persone, come disse una volta papa Francesco. Anche in questo tempo cattivo lo Spirito fa germogliare semi di bene in ogni specie di terreno. Ed è bene raccoglierne il frutto. Per evitare che ci si smemori e si dimentichi il fuoco in mezzo al quale siamo passati”.

Come raccontare i fatti del Vangelo in tempo di pandemia? 

“Fatti di Vangelo, cioè testimonianze genuine di vita cristiana. Oggi vanno proposti con l’arte narrativa propria del giornalismo: viva e insieme documentale, sobria. Con i dati e le parole essenziali. Cercando le storie esemplari, che cioè possano valere come esempio o modello per tante altre. Mirando a quelle che sono portatrici di un seme di speranza”.

Cosa vuol dire speranza? 

“Cercare un orizzonte che vada oltre il dramma che stiamo vivendo. Credere che il Padre che è nei Cieli non abbandona l’umanità sua figlia. E dunque adoperarsi a preparare un domani migliore a questa umanità. Per esempio aiutando a realizzare una più consapevole pedagogia della responsabilità e della solidarietà tra gli individui e i popoli”. 

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Quale ‘ruolo’ hanno avuto i sacerdoti in questo tempo? 

“Nella sola Italia ad oggi ne sono morti per Covid più di 300, contando solo i diocesani. Se a questo numero aggiungiamo i religiosi, per i quali non c’è una stima sicura, avremmo un totale quantomeno paragonabile all’insieme dei medici (363) e degli infermieri (88) che hanno dato la vita nella cura dei malati. Anche molti preti sono morti infettandosi con le visite ai malati. Pastori medici e pastori preti, ha detto Francesco l’anno scorso nella domenica del Buon Pastore”.

Ne usciremo migliori?

“Credo di sì, ma non in automatico. Questa terribile prova (più di 130.000 morti in Italia, più di 5.000.000 nel mondo) ci farà più attenti al prossimo e a ciò che conta solo se coglieremo e metteremo a dimora la chiamata alla conversione che in essa è inscritta. Chi cammina per tanto tempo con la morte è poi tentato di dimenticare. Miglioreremo se non dimenticheremo”.