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Letture, dieci buone ragioni per andare a Messa la Domenica

"Sine dominico non possumus". Senza domenica non possiamo vivere.

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"Sine dominico non possumus". Senza domenica non possiamo vivere. Questa è la risposta di alcuni martiri ai loro persecutori che ci arriva dalle profondità della storia. Nell’Africa del IV secolo ad Abitene, cittadina dell’attuale Tunisia, si vivono i tempi molto duri della ennesima caccia ai cristiani, scatenata dall’imperatore Diocleziano. Viene proibito di celebrare la messa domenicale, minacciando di morte i trasgressori.

Ma la piccola, agguerrita comunità della cittadina non vuole piegarsi a questo editto e continua a celebrare di nascosto il giorno del Signore. Vengono scoperti e nessuno di loro rinnega la propria fede e prima di andare verso il martirio qualcuno proclama dinanzi a tutti: Non possiamo vivere senza la domenica, senza celebrare la messa.

L’episodio viene ricordato nel libro "Il bandolo della matassa", con sottotitolo "Dieci buone ragioni per andare a messa la domenica", scritto da Stefano Proietti, con una prefazione del cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza Episcopale Italiana.

Per molti credenti oggi, anche se si definiscono praticanti, andare a messa sembra essere diventato un optional, un fastidioso dovere o un vuoto rituale da seguire meccanicamente. Invece, ci ricorda l’autore, questo è il centro, il motore, meglio, il cuore della vita del cristiano, "culmine e fonte della nostra vita di credenti" sottolinea nella prefazione il cardinale Bassetti, il quale ricorda anche un altro episodio illuminante.

A 18 anni Lorenzo Milani, rampollo di una famiglia benestante, fa una scoperta straordinaria, dopo aver scoperto un vecchio messale, e ne parla ad un amico: "Ho letto la messa. Ma sai che è più interessante di “Sei personaggi in cerca d’autore”?. Un episodio che segna la sua vita futura, il suo destino.

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Tutto questo sembra molto lontano, dinanzi alla tiepidezza di tanti fedeli e dal modo in cui partecipano alla liturgia domenicale. Proietti, che è giornalista, saggista, e lavora presso l’Ufficio comunicazioni sociali della Cei, racconta delle sue stesse difficoltà nel “convincere” i propri figli adolescenti ad andare in chiesa la domenica. "E’ noioso, non ci trovo nulla", rispondono i ragazzi. E il padre cerca di spiegare perché invece andare a messa rappresenti un’esperienza unica. Da vivere in modo molto diverso dal trascinarsi in chiesa, chiacchierando e magari sbirciano continuamente lo smartphone.

Il “bandolo della matassa” si trova appunto nelle ragioni per cui si va, o si dovrebbe, andare a messa, le stesse ragioni che ci danno la forza di proseguire sulla strada della fede e, in buona sostanza, di vivere.
Ecco dunque alcune “regole” proposte dall’autore per cercare di riscoprire le ragioni della partecipazione alla celebrazione eucaristica e per farne rivivere la sorgiva bellezza. Regole dettate dall’esperienza e da una tradizione offuscata. Prepararsi per tempo, non arrivare di corsa o in ritardo, trovando il tempo anche per un raccoglimento interiore. Evitando di trasformare la chiesa in un punto di incontro per amici e conoscenti e di spensierate chiacchierate. Sarebbe opportuno che anche i sacerdoti non arrivassero di corsa in sagrestia per prepararsi, magari con un codazzo di conoscenti e fedeli che lo seguono fino al momento di vestirsi per la celebrazione, senza dimenticare che "vederlo uscire dalla sacrestia con i paramenti sacri addosso dovrebbe essere qualcosa di infinitamente più stupefacente perfino di quando, a Metropolis, vedevamo sbucare Superman dalla cabina telefonica in cui era entrato Clark Kent.

Insomma, la messa dovrebbe essere vissuta come un’esperienza straordinaria, unica, il miracolo dei miracoli, capace di generare uno stupore che si rinnova di volta in volta, senza alcun termine di paragone…
Capitolo canti: perché in tante parrocchie si canta poco e male?

D’accordo, per il coro spesso e volentieri ci si affida ai pochi, valorosi volontari, ed è certo più facile e pratico suonare la chitarra piuttosto che l’organo, ma non è detto che bisogna essere stonati, sciatti, o che i canti non siano adeguati. Passo per passo, momento per momento, vengono descritte la liturgia della parola, la consacrazione, la benedizione finale. Che non dovrebbe ridursi in un brusio di sottofondo, in mezzo al fuggi fuggi generale, tra un segno di croce frettoloso e le ennesime chiacchiere prima di uscire dalla chiesa.

In una interessante postilla l’autore spiega che il tradizionale "missa est" è stato tradotto generalmente con la formula "la messa è finita, andate in pace", esiste una seconda interpretazione con la traduzione "è stata inviata" (la particola consacrata, la comunione) ossia la comunione è inviata a tutti coloro che non possono partecipare alla messa, che così sono coinvolti nella vita sacramentale comunitaria.

Stefano Proietti, Il bandolo della matassa, Edizioni Dehoniane Bologna, euro 4,50, pp. 80

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