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Letture, Gino Santini in fotografo di San Leopoldo Mandic

Una mostra a Padova con le foto del santo e dei pellegrini a Fatima

S.Leopoldo Mandic (s.d.) |  |  © Gino Santini S.Leopoldo Mandic (s.d.) | | © Gino Santini

Un piccolo uomo dall’aria fragile, consunta, ma dal sorriso sereno, appena accennato: si appoggia ad un bastone, indossa un saio, quello dei frati cappuccini. Il colore della foto vira al seppiato, un colore che sa di storia, di passato, eppure quel sorriso, quella figura curva, piegata, emanano una forza che li rende vicini, contemporanei, o meglio senza tempo.

Questo scatto fotografico è diventato famoso, perché ritrae un piccolo frate, Leopoldo Mandic, già molto conosciuto e amato non solo a Padova, dove vive, nel convento che si trova a Santa Croce, ma in tutto il Nordest e ancora più in là, fino e oltre le terre slave, quelle croate, la patria di padre Leopoldo. La sua fama crescerà sempre più, e in pochi decenni il piccolo frate diventa uno dei santi più carismatici e amati dei nostri tempi.

La foto che lo ritrae non molto tempo prima della sua morte rivela anche una storia che vale la pena di conoscere. Quella di Gino Santini, fotografo padovano, alla cui  opera in questi giorni è dedicata una bella retrospettiva presso Palazzo Zuckermann, a Padova.
La mostra, dal titolo Gino Santini. Fotografie 1937-1970, è un’occasione per ammirarne la produzione in bianco e nero, il suo stile personale e l’originalità delle sue immagini. Le sue opere sono citate e riprodotte in moltissimi cataloghi di mostre, esposte e premiate  fin dai primi tempi della sua attività, quando poi ottiene, nel 1969,  l'ambito riconoscimento di EFIAP, ovvero Excellence de la FIAP, Fédération Internationale de l'Art Photographique.

I suoi primi successi, comunque,  risalgono al 1937 quando diventa  socio del Gruppo Fotografico Padova e poi del Dopolavoro Fotografico Padovano. Nel 1962 viene chiamato da Gustavo Millozzi a co-fondare il Fotoclub Padova, divenendone il primo vicepresidente. Fotografo rigoroso, ma anche artista dal tocco personale, ha cercato di creare, attraverso le sue immagini, una visione e un’interpretazione originali della realtà, scoprendo la poesia e la bellezza in piccoli particolari a prima vista insignificanti, umili. Covoni raccolti in un campo, un cagnolino davanti ad una porta sgangherata, una statua equestre avvolta nella nebbia della sera: tutto si trasforma, attraverso il suo obiettivo, in un universo misterioso e magico, un richiamo a qualcosa che si nasconde nelle pieghe della quotidianità e che rivela la bellezza autentica di quel che ci circonda. E poi i volti, quelli segnati e assorti di contadini, umili venditori di ciambelle, di giornali, una donna che si affaccia tra file di panni stesi, i ritratti commoventi della serie dei Pellegrini a Fatima, del 1956, in cui la fede e la pietà profonda del popolo si incarnano in volti e corpi piegati dalla fatica e insieme fatti rinascere dalla forza interiore, dalla speranza invincibile che li spinge sulle strade di Fatima, all’incontro con il Mistero. Segno della fede dello stesso artista.

Anni dopo, Santini si reca a Parigi e realizza un portfolio dedicato alla  Notte a Place Pigalle, nel 1965, in cui i protagonisti sono gli uomini e le donne che vanno in giro di notte nella capitale francese alla ricerca di divertimento e follia. Tra le luci di Pigalle, le signore in abiti sfavillanti, si aggirano barboni, invalidi stesi per terra, a mostrare il volto ferito di un’umanità che i locali notturni, la “gioia di vivere” parigina non riescono a nascondere. Nella serie dedicata al Circo, dello stesso anno, l’uomo diventa bambino, catturato dalla magia dei tendoni, degli animali, dei trucchi e dei giochi che il circo contiene, come un fantastico forziere colmo di meraviglie. Ma, anche in questo caso, la realtà presenta i suoi volti ambivalenti, fantasia e povertà, gioco e fatica, colte nei dettagli, il tendone un po’ logoro, gli attrezzi consumati, nessun costume sfarzoso. Tutta la magia, in un certo senso, si concentra nei gesti dei bambini, che cercano di curiosare, di carpire qualche segreto aggirandosi intorno al tendone chiuso.
Ed è appunto  Santini  ad eseguire il famoso scatto che ritrae  Padre Leopoldo,  in piedi, appoggiato al bastone, pochi anni prima della morte, una foto che poi cede alla comunità dei frati cappuccini, senza chiedere nulla in cambio, neppure che venga citata la paternità dello scatto, cosa che gli avrebbe portato certamente una bella   notorietà. Il santo viene ritratto in altre pose, seduto nella sua vecchia poltrona, assorto, e sempre un sorriso a sfiorargli il viso sciupato dalla malattia. Infine le immagini dei funerali del padre, solenni e insieme popolari.

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Nel bel volume che accompagna la mostra, e che rappresenta  un’ottima occasione per approfondire la conoscenza di questo autore, sfilano davanti agli occhi del lettore le immagini che disegnano il suo universo interiore: la sua città, Padova, il paesaggio straordinario dei Colli Euganei, creato dal connubio di natura e uomo, Venezia, i campi, gli alberi, la rive dei fiumi. Le città, le luci, i mendicanti, gli ambulanti, i bambini, gli animali. Il mondo, la vita, la fede. E quel sorriso di Padre Leopoldo, vicino e insieme fisso nell’eternità.

Gino Santini, Scritte con la luce. Fotografie 1937-1970, Edizioni FIAF, euro 18, 94 pp.