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Letture, Ungaretti un poeta religioso

Il commento di don Divo Barsotti sull'opera del grande poeta del novecento

Ungaretti nel 1968 |  | wikipedia Ungaretti nel 1968 | | wikipedia

Giuseppe Ungaretti “fra tutti i poeti egli è il più religioso, almeno fra i viventi; perché? Direi proprio per la purezza stessa della sua poesia, per la sua essenzialità. Non è un poeta didattico, non è un poeta narrativo, descrittivo, non è un poeta drammatico: è un lirico, un lirico puro. Ora, l’essenzialità della sua poesia spoglia non solo la sua espressione di ogni appoggio, ma spoglia il suo stesso sentimento, lo fa nudo, essenziale(…) Egli è il poeta che nella sua poesia essenziale si chiude nell’attimo che vive e non dona che l’attimo, non esprime che l’attimo; ma l’espressione dell’attimo è, precisamente per questo, espressione dell’eternità. Ridotto al minimo, egli dice tutto; ridotto al minimo, egli non si chiude più nel relativo. Tutta la sua poesia necessariamente postula l’immensità, si apre verso l’infinito, accenna al mistero”. Questo scrive nel 1961 don Divo Barsotti parlando del grande poeta che dimostra di amare e di capire profondamente. 

Il più religioso fra i poeti di quel suo tempo, e forse, potremmo anche azzardare a postulare, dei nostri stessi giorni.

Queste riflessioni si sono imposte grazie all’occasione dell’uscita il 20 novembre di un saggio particolarmente stimolante dedicato appunto a Ungaretti. Si tratta di “Lo sguardo di Ungaretti” di Carla Boroni Donati, dedicato, come recita anche il sottotitolo, alla “visività e all’influenza dell’arte figurativa nella poesia ungarettiana”. Un percorso intenso e ricco di suggestioni all’interno del complesso rapporto tra Ungaretti e le arti figurative. 

La sua poesia è fittamente intessuta di immagini, provenienti dalla prolungata concentrazione dello sguardo sulla natura e i paesaggi circostanti, di immagini iconiche provenienti dal mondo artistico, ma anche di immagini “mentali”, visionarie, oniriche, simboliche. In linea con i fermenti che stanno maturando nel periodo che va dalla fine dell’Ottocento agli anni Trenta e Quaranta, in Italia e in Europa. Il saggio in questione cerca di dare conto di tutti i diversi punti di vista che concorrono a rendere il rapporto poesia-visione-immagine-arte un elemento essenziale per la formazione della lirica ungarettiana, che si propone come verso che sgorga dalla vita stessa. 

Torniamo così alle parole di don Barsotti, riportate anche da Avvenire nel 2014, quando il sacerdote, pensatore e letterato spiega che “la poesia di Ungaretti è il suo diario: l’ha accompagnato lungo tutta la sua vita. E il cammino di Ungaretti è, o almeno potrebbe essere, esemplare come è esemplare il cammino di un uomo vero. Un cammino che sembra aver approdato a un Dio personale. Lo studio di anime come la sua è una via per scoprire anche noi stessi”. 

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Don Divo esprime anche un chiaro giudizio sulla produzione letteraria degli anni Sessanta, che ci appare in un certo senso profetica, perché si attaglia a quanto sperimentiamo attualmente: “Oggi la poesia è in ribasso perché una religiosità cosmica tende di per sé a una religione più alta, e se l’anima non realizza il passaggio da questo presentimento di Dio a un vero contatto con lui, la vita stessa dell’anima si corrompe. Tutto si disfà nelle mani dell’uomo, anche la bellezza dell’universo, perché l’universo in tanto è bello e ha valore per me in quanto precisamente è segno di quell’altra realtà che richiama. È la sacramentalità dell’universo”. Oggi quasi perduta.

L’universo sacro e misterioso: le immagini che scaturiscono dai versi del poeta tratteggiano proprio questa dimensione della realtà, anche quando si riferiscono alla solitudine, al dolore, alla morte. Vediamo le “foglie sugli alberi d’autunno” e sappiamo che esse rappresentano, per Ungaretti, l’immagine più concreta della caducità della vita umana, in particolare quella dei soldati – esperienza che lui ha vissuto al fronte della prima guerra mondiale – e nello stesso momento ci vengono dinanzi le decine e decine di immagini dipinte di boschi autunnali, di foglie accartocciate, di figure schiacciate contro cieli cupi e campi nella morsa del gelo. Per esempio un mesto tramonto dipinto in gioventù da Van Gogh, con gli alberi indorati di foglie sul punto di cadere a terra…

Come ricorda l’autrice del saggio, Ungaretti ha dedicato vari saggi a pittori e scultori, a testimonianza del suo costante lasciarsi “catturare” dalla loro presenza. A cominciare dal Barocco e con i grandi maestri, da Michelangelo a Bernini e Borromini, poi il periodo della riscoperta di maestri quali Masaccio, Piero della Francesca, Vermeer, fino a personalità complesse come Ensor. Arrivano gli anni della sua permanenza a Parigi con gli incontri straordinari con Picasso, Soffici, Modigliani, De Chirico, Carrà, Severini e gli anni “romani” e l’esperienza con la rivista Valori plastici e gli artisti Scipione, Mafai, Rosai, Morandi…E davvero i versi di Ungaretti sono popolate da uomini e donne che sembrano usciti da quadri di Rosai, o gli oggetti “metafisici” che si affacciano dalle tele di Morandi.

Se rileggiamo “La madre” ritroviamo quel senso di sacralità e di infinito di cui parla Barsotti e che si diffonde dalle opere di quegli artisti che il poeta ha conosciuto e ha amato. Rivediamo la madre che diventa statua ieratica davanti all’Eterno, con le “vecchie braccia tremanti” alzate come nel momento del trapasso, e “solo quando m’avrà perdonato/ Ti verrà desiderio di guardarmi/Ricorderai d’avermi atteso tanto/ E avrai negli occhi un rapido sospiro”.

Torniamo a leggere la grande poesia, torniamo a incontrare lo sguardo di Ungaretti fisso sulla realtà per perdersi nel suo mistero.

 

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Carla Boroni Donati, Lo sguardo di Ungaretti, pp.200, 18 euro Gammarò edizioni

Giuseppe Ungaretti, Vita d’un uomo, Mondadori editore, pp.266, euro 13